La visione della Chiesa sull’evoluzione (parte II)
Padre Edward Oakes indica come superare le difficoltà nel riconciliare scienza e fede
MUNDELEIN (Illinois), domenica, 11 settembre 2005 (ZENIT.org).- Sin dai tempi dell’enciclica “Humani Generis” di Papa Pio XII, i fedeli si sono impegnati nel delineare una corretta impostazione cattolica in merito all’evoluzione biologica e alla questione delle origini dell’uomo.Secondo Padre Edward Oakes, professore di teologia presso l’Università di St. Mary of the Lake, nel trattare questioni che si trovano al confine tra scienza e teologia, è sempre bene tornare al metodo di Tommaso d’Aquino.
In questa intervista rilasciata a ZENIT, egli ha spiegato in che modo le ultime scoperte scientifiche, unitamente all’apporto di San Tommaso d’Aquino e dei Padri della Chiesa, possano contribuire a riconciliare la dottrina cattolica e l’evidenza scientifica, a fronte di altri tentativi falliti come ad esempio quello del movimento Intelligent Design.
Quali sono i vincoli di fede che i cattolici devono rispettare riguardo le origini dell’uomo? Adamo è stato veramente il nostro progenitore, o è invece esistita un’intera razza di esseri umani originali, dotati di anima immortale, come suggerirebbe la fedele interpretazione della parola ebraica “adamo”?
Padre Oakes: A mio avviso, il dibattito tra “monogenismo” – la dottrina che afferma che tutti gli esseri umani condividono i medesimi progenitori – e “poligenismo” – secondo cui le razze derivano da linee evolutive indipendenti – è impostata in modo errato, in quanto entrambe sono vere, a seconda del periodo dell’evoluzione del genere umano preso in considerazione.
Tutti noi, del resto, abbiamo due genitori, quattro nonni, otto bisnonni, eccetera. Ma il numero di questi antenati putativi tenderebbe ad aumentare in modo spropositato: in ogni generazione il numero degli ascendenti cresce in modo esponenziale passando da due a otto, a 16, a 32, e così via.
Per contro, appare poi ancora più strano che il numero degli abitanti del pianeta tende a restringersi man mano che si va indietro nel tempo. Questo significa che i nostri antenati, all’inizio dei tempi saranno stati solo uno o due. Ad esempio, se due dei miei nonni erano cugini di primo grado, io avrei solo sei bisnonni e non otto.
Alcuni studi molto interessanti sono stati svolti sulla base dei registri anagrafici dei Mormoni dello Utah, da cui si scopre che gran parte delle persone originarie della Caucasia e che ora abitano negli Stati Uniti possono far risalire la loro genealogia ad una singola coppia vissuta nell’Europa dell’VII secolo. Similmente, gli americani di altre provenienze potranno fare lo stesso con le loro terre di origine.
Per maggiori informazioni su questi aspetti della “genetica demografica” si veda “The Mountain of Names: A History of the Human Family”, di Alex Shoumatoff.
Dunque, secondo questo processo si arriva ad una singola coppia? Secondo la genetica, sì. La teoria dell’evoluzione si fonda proprio sull’ipotesi dell’esistenza di antenati comuni.
Inoltre, se la genetica stabilisce che è esistita una coppia primaria, quella coppia a sua volta potrà tracciare la sua discendenza da genitori ancestrali comuni. Pertanto, secondo la genetica, sia il monogenismo che il poligenismo sono compatibili, anche se in momenti diversi lungo il percorso evolutivo. Si veda al riguardo “Storia e geografia dei geni umani”, di Luigi Luca Cavalli-Sforza (ed. Adelphi, 2000).
La questione teologica riguarda quindi l’ipotesi di arrivare in effetti fino ai progenitori Adamo ed Eva come descritti dalla Bibbia? A questo punto siamo giunti al nocciolo della questione.
Spesso i cristiani hanno contestato aspetti della teoria dell’evoluzione sulla base della infallibilità delle Scritture. Ma io ritengo che il vero problema riguardi la dottrina del peccato originale.
Personalmente non vedo alcun conflitto tra l’evoluzione e il peccato originale; ho tentato di spiegarne i motivi in un articolo che ho scritto nel novembre del 1998 nella rivista First Things, dal titolo “Original Sin: A Disputation”, in cui tali questioni sono trattate in modo più approfondito.
Che tipo di teoria evolutiva è compatibile con la dottrina cattolica? Fino a che punto un cattolico può seguirla?
Padre Oakes: Come ho già detto, se per evoluzione si intende “discendenza con modificazioni” allora la teoria evolutiva è certamente accettabile: è un dato di fatto. Anassagora diceva che “in ogni cosa del cosmo sono presenti tutti i semi di tutte le cose”, un’impostazione che si addice bene, a mio avviso, non solo all’evoluzione ma anche all’insegnamento patristico del “logoi spermatikoi” che si trova in ogni essere razionale – e, secondo Sant’Agostino, in ogni essere identificabile.
La mia preoccupazione riguarda piuttosto i tentativi più superficiali di riconciliare l’evoluzione con la religione cristiana. Soprattutto perché si tratta di due impostazioni che a mio avviso non si trovano affatto in conflitto: “se una cosa non è rotta non occorre ripararla”.
Mi riferisco soprattutto al movimento Intelligent Design; un qualcosa a cui almeno io, come cattolico, non ho intenzione di aderire.
Quali sono le sue obiezioni al movimento Intelligent Design?
Padre Oakes: Principalmente che gli aderenti a questo movimento sembrano confondere sistematicamente la finalità con il progetto: poiché normalmente si progetta un qualcosa per una finalità, spesso i due concetti sono considerati equivalenti, mentre in realtà sono diversi.
Mi sembra, a tale riguardo, che il grande medievalista Etienne Gilson abbia centrato bene la distinzione nel suo libro “Da Aristotele a Darwin e ritorno. Saggio su alcune costanti della biofilosofia” (ed. Marietti, 2003). Questo è quanto afferma a pagina 9 e 10 [traduzione non ufficiale dall’edizione inglese, ndt]:
“Aristotele concepisce l’artista [colui che disegna o progetta] come un particolare caso della natura [l’ambito della finalità]. Per questo motivo, nella sua filosofia della natura, l’arte imita la natura, piuttosto che il contrario. Ogni uomo è in maggiore o minore misura un artista, un artigiano, un ingegnere, e per questo conosciamo, in modo più o meno nitido, ma con certezza, il modo in cui l’arte opera”.
“Tuttavia, fintanto che siamo esseri naturali, siamo prodotto delle innumerevoli attività biologiche di cui non conosciamo praticamente nulla, o molto poco. Il modo in cui la natura opera ci sfugge. La sua finalità è spontanea, non elaborata. …”
“In natura, la finalità, il ‘telos’, opera come ogni artista vorrebbe essere in grado di operare; come gli artisti più grandi, o come tutti gli artisti nei momenti ispirati, improvvisamente padroni dei propri strumenti, che creano con la rapidità e l’infallibile sicurezza della natura”.
“Così è stato Mozart, che componeva mentalmente un quartetto, mentre metteva per iscritto quello precedente. Così Delacroix, che ha dipinto in venti minuti il busto e il mantello di Giacobbe, sulla parete di San Sulpicio”.
“Un ingegnere, un artista, che lavorasse con la sicurezza di un ragno che tesse la sua tela o di un uccello che costruisce il suo nido, sarebbe l’artista più perfetto mai visto. Ma non è così”.
“Gli artisti più grandi e più fecondi riescono ad attingere solo da lontano alle forze sempre vive della natura che modellano gli alberi e, attraverso gli alberi, i frutti. È per questo che Aristotele afferma che vi è più intenzionalità [‘to hou heneka’], più bene e più bellezza nelle opere della natura che in quelle dell’arte”.
Ho voluto citare questo passaggio in modo così esteso non solo per sottolineare come l’arte cerchi di emulare la natura, ma anche per accennare a come l’arte può riaggiustare le cose. Si pensi ad Amleto, la cui tormentata coscienza lo porta ad agire in modo sbagliato in quasi ogni occasione dopo aver appreso dell’uccisione del padre.
Non sono d’accordo neanche con il modo in cui il movimento Intelligent Design abbia inteso combinare la distinzione tomistica tra causalità primaria e secondaria. Secondo questo movimento, qualora venisse dimostrata scientificamente la necessità dell’intervento di Dio al fine di dare luogo alle diverse specie, l’impostazione dei darwinisti atei verrebbe messa in crisi.
Non sono d’accordo. A mio modo di vedere, la causalità secondaria di San Tommaso può essere lasciata libera senza timore di mettere a repentaglio la provvidenza divina sul mondo.
Ma non rischia così di estromettere Dio dal mondo, come nel concetto deista del Dio orologiaio?
Padre Oakes: Direi di no. Si ricordi che per San Tommaso, la causalità primaria di Dio non si riferisce ad un momento iniziale della creazione dopo il quale subentra la causalità secondaria che regola da quel momento in poi il divenire delle cose.
No, Dio deve sostenere il mondo in ogni momento della sua esistenza. Dio mantiene il mondo in essere perché Dio è “Colui che è”. Dio è l’Essere in sé. E l’universo “è”, sebbene in modo derivato, grazie all’autosufficienza dell’Essere divino.
La causalità primaria, in altre parole, non è tanto come l’accensione di un motore, quanto piuttosto come un canto che sussiste nella misura in cui il cantante continua a cantare. E questo non incide affatto sulle leggi che regolano le onde sonore, l’armonia musicale, la biologia delle corde vocali, e così via.
Inoltre, la dottrina della provvidenza come causalità primaria e permeante non afferma assolutamente che Dio procuri direttamente, come causalità secondaria, taluni eventi, al fine di ottenere un bene successivo.
Un credente potrà certamente dire: “Dal grembo di mia madre tu mi hai chiamato”. Ma questo non significa che Dio abbia condotto i genitori ad incontrarsi esattamente come si sono inizialmente conosciuti.
Ad esempio, mi ricordo di uno studente il cui padre aveva conosciuto la madre durante un lungo ricovero in ospedale a causa di un incidente stradale. La futura moglie e madre era infatti l’infermiera che lo seguiva mentre era sotto trazione. Non possiamo dire che Dio ha causato l’incidente che ha poi portato al concepimento del mio studente, anche se il ragazzo può ben scorgere la mano di Dio che lo ha portato all’esistenza!
Vorrei concludere augurando che la Santa Sede voglia affrontare questo argomento controverso con la medesima serenità e sicurezza con cui il Papa Giovanni Paolo II aveva trattato il tema dell’evoluzione.
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