Continua la catena di atti terroristici: aspiranti suicidi
– donne per di più – si trasformano in bombe che provocano
vittime le quali ormai si contano a un dipresso come
quelle di una guerra attuale.
Un terrorismo siffatto è guerra o no?
Si può disquisire all’infinito.
Ma se la guerra si descrive come uso della forza per
bloccare o distruggere il nemico, ebbene qui si dispiegano
armi e si contano morti.
L’obiezione secondo cui, però, non si è di fronte a un
conflitto dichiarato e talvolta si registrano atti
distruttivi nemmeno rivendicati da precisi soggetti
politici, non fa che aggravare la situazione.
Non più un annuncio pubblico di inizio e di termine delle
ostilità; non più un fronte contrapposto a un altro.
Piuttosto il pericolo diffuso un poco dappertutto in quella
che dovrebbe essere una convivenza civile pacifica: un
pericolo che può danneggiare a piacere o a capriccio o a
modo di vendetta, dove non vige nemmeno la legge del
taglione: occhio per occhio, dente per dente, e non più in
là; e la paura sempre all’erta.
Non senza un’ombra di vigliaccheria esercitata e subita.
I nostri pacifisti – anche quelli che ritenevano la
violenza levatrice della storia – non scendevano in piazza
contro ogni guerra considerata un male per principio?
E il terrorismo merita un’assoluzione generale?
Dove si sono rifugiati?
Hanno desistito dalla loro protesta e dal compito educativo
che si sono attribuiti?
Il terrorismo attuale è guerra giusta?
Sembra che no.
Almeno perchè si rivela dubbia l’intenzione di legittima
difesa.
E tale violenza non solo colpisce di fatto persone estranee
alla lotta, ma si attua proprio là dove si possono mietere
numerose vittime innocenti per suscitare il più grande orrore
possibile.
Addio Giovanni XXIII con la guerra quasi sempre da condannare
oggi.
I nostri pacifisti militanti hanno cambiato le motivazioni per
le quali agivano?
Oppure distinguono tra violenza e violenza?
Tra morti e morti?
E in base a quale criterio?
Il terrorismo a cui assistiamo può essere qualificato come
guerra di risposta e non guerra preventiva?
Si ammetterà che non è del tutto agevole stabilire chi ha
iniziato un conflitto: spesso si risale nei decenni, se non
proprio nei secoli, soprattutto se si gonfia a dismisura il
concetto di sopraffazione subìta.
Nella condizione attuale, poi, risulta problematico
determinare il punto di avvio di una contesa anche perchè
attacco e/o contrattacco spesso sono tanto vicini da
sovrapporsi senza soverchia possibilità di distinzione.
E tuttavia , almeno nel caso del terrorismo contemporaneo,
non si cerca esattamente il momento di minore attenzione da
parte dell’avversario?
O ci si deve sempre considerare in stato di guerra sempiterna?
Ma allora, i nostri pacifisti lottatori e manifestanti non
debbono schierarsi a maggior ragione contro il terrorismo?
E invece, dove sono?
Viene il sospetto che essi protestino contro la guerra soltanto
quando questa è attribuibile a una precisa potenza politica.
Il resto sarebbe tutto lecito e benedetto.
Così facendo, essi rischiano di suscitare – magari senza
volerlo – un clima di odio che predispone a schierarsi con una
delle parti confliggenti: soprattutto tendano a distogliere
l’attenzione da focolai di guerra che non siano riconducibili
allo schema prescelto.
Detto fuori dai denti: che non siano riconducibili alla logica
antiamericana.
O si immagina ipertrofico il potere del nordoccidente: l’unico
che esisterebbe senza possibilità di confronti: unico e
universale.
Dopodichè nettamente si separa il bene dal male senza troppo
badare alle sfumature.
I nostri pacifisti di principio e forse di convenienza o di
autoinganno non potrebbero sostare un poco a ripensare le loro
ragioni di lotta?
E se vogliono essere coerenti, perchè non protestare anche per
i lutti provocati da kamikaze fanatici?
A meno che le loro finalità siano diverse dalla pace.
Talvolta lo si sospetta.
Ebbene, se così è, lo ammettano.
Si potrà discutere senza soverchi sottintesi.
I cattolici, poi, non tirino per i capelli qualche frase del
Vangelo.
Non si illudano che la vera dottrina della Chiesa sulla guerra
inizi soltanto con le loro trovate, le loro frasi fatte e le
loro manifestazioni non sempre quiete e chiare.
Non pretendano di avere sempre in mano la chiave interpretativa
della giustezza o meno della dottrina sociale alle diverse
contingenze concrete.
+ Mons. Alessandro Maggiolini
(C) il Giornale, lunedì 19 maggio 2003