(Avvenire) Gheddo: Nessun’altra civiltà ha prodotto tanto progresso

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RELIGIONE E SOCIETÀ


Missione incompiuta


«C’è stato un tempo di certezze,oggi invece i credenti esaltano il dubbio e accusano la nostra civiltà di non aver più nulla da dare; anche i missionari vivono una crisi di autostima Ma il progresso dell’umanità nell’epoca cristiana non si è verificato in alcun’altra cultura»


Di Roberto Beretta

Prima e dopo il diluvio. Da prete ha vissuto la rivoluzione copernicana della Chiesa, il pre e il post Concilio. Da missionario ha viaggiato il terzo mondo nell’epoca coloniale, ne ha visto nascere l’indipendenza, ne osserva ora la globalizzazione. Da giornalista ha fatto la guerra del Vietnam e ha potuto valutare gli effetti dell’11 settembre nei Paesi islamici… Pochi come padre Piero Gheddo, insomma, hanno avuto il privilegio di attraversare un cinquantennio che ha profondamente cambiato il mondo, e di scrutarlo da tante angolazioni insolite.
Padre Gheddo, nel suo ultimo libro lei confessa: «Sono nato nel tempo delle certezze»…
«Sì, oggi non ci rendiamo più conto che c’è stato un tempo di sicurezza assoluta, nella fede ma anche nelle cose umane. C’era fiducia nel progresso, nella scienza, nella filosofia… Col Sessantotto invece è venuto il tempo dei dubbi».
Un contributo negativo?
«No, in sé no. Ma prima si discutevano i metodi, mentre c’erano un punto di partenza e uno di arrivo sicuri. Oggi invece si esalta il dubbio sulle finalità, anche tra i credenti».
Dunque il dubbio è stato dannoso alla civiltà occidentale?
«L’ha portata fuori strada. Per oltre un millennio è stata ben chiara l’ispirazione che doveva guidare il cammino dei popoli, cioè il Vangelo; sarebbe difficile trovare prima del ‘700 un politico, uno scienziato, un filosofo che non condividesse queste mete».
Con molti errori, peraltro. Con tante esagerazioni. Pensiamo a Galileo, o a Lutero…
«Errori di cui la Chiesa chiede giustamente perdono. Ma, in un quadro storico millenario, essi rappresentano solo la maturazione lenta nei popoli cristiani di ciò che il Vangelo dice: la libertà di coscienza, la libertà della donna, i diritti umani».
Dunque nel ’68 crolla il sistema delle certezze.
«Non il sistema, ma le certezze. Non per nulla la radice della teologia della liberazione è il raduno di Medellin nel 1968, che poneva il p rincipio molto positivo della liberazione dei popoli poveri e oppressi (e la Chiesa in America latina è maturata enormemente in questi 40 anni), ma poi lo volgeva in negativo perché si è scelta la scorciatoia del marxismo».
Non si è fatto abbastanza «mea culpa» tra i cattolici?
«Quasi per nulla, se non per casi individuali. Gli eredi del comunismo non si sono mai liberati da quella pesantissima eredità, anche nella Chiesa. Quando il grande padre Turoldo nel 1973 a Torino mi diceva: “Il socialismo trionferà in tutto il mondo perché è l’unica speranza dei poveri”, si trattava di un’idea largamente condivisa nelle sinistre cattoliche italiane. E non hanno avuto il coraggio umano di ammettere che avevano sbagliato. Tant’è vero che quella mentalità, che fa a pugni con la storia e col mondo globalizzato, è ancora molto viva nel mondo cristiano. Per esempio tra i no global, quando vedono tutto il male nell’America e nel mercato, secondo il solito manicheismo, tant’è che molti profeti vogliono abbattere gli Usa come il mostro del male. Un altro atteggiamento sbagliato è quello tenuto di fronte alle culture: si pensa che la civiltà occidentale abbia fatto solo danni, mentre non si vedono gli ostacoli immensi che le culture locali pongono all’introduzione del terzo mondo nell’età moderna».
Le ideologie e i muri sono crollati, è vero. Ma abbiamo visto anche il tramonto di tante speranze, per esempio vincere la fame nel mondo.
«Non credo che quelle speranze siano tramontate. Forse abbiamo solo capito che non si può cambiare il mondo in una generazione. La soluzione alla povertà dei popoli sta nell’educazione, necessariamente lenta, ai diritti umani della persona, che sono poi principi evangelici. Attenzione: non sostengo affatto che l’Occidente sia un modello dei popoli poveri, perché stiamo vivendo una decadenza morale e religiosa. Però neanche che siamo la rovina del terzo mondo e che non abbiamo più nulla da dare: 2000 anni di esperienza cristiana dove li mettiamo?».
E la «teologia debole»? C’è chi teorizza, nella Chiesa e tra missionari, una posizione sottomessa, perché ogni annuncio sarebbe prevaricazione.
«È vero che nel Vangelo non si dice che dobbiamo essere maggioranza o imporci per la nostra forza: Cristo non ha mai promesso la vittoria ai suoi. Ma se questo deriva da un indebolimento di fede, ciò non va bene. Bisogna tornare alla convinzione che la risposta a tutti i problemi dell’uomo viene da Cristo».
Una visione integralista, qualcuno direbbe. E i «laici»? E i non credenti?
«Il problema della fede personale se lo veda ognuno con Dio; però quando una civiltà pensa di bastare a se stessa (vedi l’attuale dibattito sulla costituzione Ue) non c’è speranza: la nostra civiltà non può salvarsi da sola. Giovanni Paolo II dice che senza Vangelo non c’è sviluppo dell’uomo e di questo sono convinto, per averlo visto tante volte sul campo. Lo afferma anche la storia: dove hanno portato le ideologie senza Cristo?».
E dove ci hanno portato 2000 anni di vita cristiana?
«A migliorare enormemente il mondo… Non parliamone nemmeno: il progresso dell’umanità nell’epoca cristiana è stato spaventoso, e non si è verificato in nessun’altra civiltà umana prima dell’incontro con l’Occidente. Altre civiltà hanno avuto sì splendore artistico, filosofico, scientifico: ma l’uomo non era al centro. L’universalismo cristiano non esiste da nessun’altra parte. A poco a poco e con diversi errori il Vangelo ha maturato nella civiltà occidentale una visione della vita che parte dalla dignità di ogni uomo».
Invece il terzo mondo sembra che vada di male in peggio. Le speranze nate dopo il colonialismo e poi al crollo dei muri sono state amaramente frustrate.
«Non sarei così pessimista. Ci sono anche Paesi che sono cresciuti. Cito sempre l’India: ha molti problemi, ma non ha più carestie, è democratica… E posso nominare ancora la Thailandia, la Malesia, la Corea del Sud o i Paesi de ll’America Latina. Certo, c’è l’Africa: che ha patito un cammino troppo accelerato e non graduale all’indipendenza. Non abbiamo preparato i popoli ad autogovernarsi».
E la missione, com’è cambiata in questi 50 anni?
«Abbiamo visto il passaggio dalle missioni estere alle Chiese locali. Siamo trascorsi dalla fondazione delle comunità locali, che i missionari hanno realizzato fino a metà del Novecento, all’irrobustimento delle giovani Chiese».
Ma anche dal boom dei missionari italiani all’attuale invecchiamento del clero inviato nel terzo mondo…
«Il mondo missionario italiano vive una scissione; le risposte che diamo ai temi della missione e dell’aiuto umanitario sono diverse. Da troppe parti non si fanno più in modo chiaro proposte vocazionali, non si parla più dell’annunzio di Cristo, si punta tutto su soluzioni economiche, si dà un’immagine del missionario come di un rivoluzionario o di un assistente sociale».
C’è anche una crisi d’autostima: prima si partiva lancia in resta per battezzare, anche con esagerazioni; adesso solo parlare di conversioni sembra una bestemmia.
«È vero. Manchiamo di fierezza, e proprio perché non abbiamo più la certezza della fede».
Don Milani scrisse che un giorno verranno missionari cinesi in Occidente. Lo crede anche lei?
«Ne sono convinto, anzi ci sono già 1800 sacerdoti terzomondiali che lavorano in Italia, e non parliamo delle suore. Il mistero della storia sta qui: oggi i popoli cristiani conoscono un periodo di grande decadenza morale e religiosa. Anche se, d’altro canto, si registra una rinascita delle fede nel profondo delle persone, nel volontariato, nei gruppi».
Dunque, alla fine lei resta ottimista?
«C’è stato un progresso enorme nella Chiesa: se ricordo com’erano certi preti quando sono stato ordinato io… Per fortuna c’è stato il Vaticano II! Oggi è stato abbattuto e mortificato il formalismo, il nemico degli anni Cinquanta; e poi il trionfalismo, il giuridi smo. Non ancora il clericalismo, purtroppo… Tutto si gioca su luci e ombre, ma io sono ottimista».