LA RU486 SARA’ PRESTO AUTORIZZA TA, UNA VIOLAZIONE DELLA 194
Arriva la pillola abortiva, una pessima notizia per le donne (e non solo)
(il Foglio 18-12-2007)
Roma. Il focus dedicato ieri dal Corriere
della Sera alla Ru486 (con tanto di commento
di Lina Sotis: “La pillola abortiva c’è
in tutti i paesi civili. Da noi no. Cosa dobbiamo
pensare?”) prendeva spunto dalla
notizia che la Exelgyn, l’azienda francese
che produce il mifepristone, principio attivo
della Ru486, ha avviato la richiesta di
autorizzazione per introdurlo in Italia, come
già accade in altre nazioni europee.
L’approvazione definitiva, prevista per la
primavera, spetta ora all’Agenzia del farmaco
(Aifa), e si tratterà di una semplice
formalità, visto che le regole comunitarie
stabiliscono che un paese non possa rifiutare
un preparato adottato altrove nell’Unione.
Della benevolenza dell’Aifa è difficile
dubitare, visto che nel suo bollettino
dedicato alla letteratura scientifica sull’argomento
non c’è grande traccia dei fatti che
da almeno tre anni a questa parte continuano
a sollevare allarmi sull’aborto chimico.
Non si parla, per esempio, delle sedici donne
morte per aver abortito con la Ru486.
L’associazione SaFe (Salute Femminile) documenta
questo dato sia sulla base delle
comunicazioni del Center for Disease Control
and Prevention americano, sia su quanto
è emerso nel corso di inchieste parlamentari
inglesi, australiane, americane dedicate
alla pillola abortiva. Accanto ai decessi
– nel 2005 il New England Journal of
Medicine ha scritto che, a parità di periodo
di gestazione, la mortalità legata alle Ru486
è dieci volte superiore all’aborto chirurgico
– ci sono poi centinaia di effetti avversi riportati
dagli Annals of Pharmacotherapy
statunitensi e confermati dalla Food and
drug administration, l’ente americano dei
controllo dei farmaci. Un assaggio – molto
parziale – parziale del catalogo è questo: 9
casi di pericolo di vita, 116 nei quali è stata
necessaria una trasfusione, 88 infezioni, di
cui 18 severe, 6 eventi trombotici, e altri 232
casi di ospedalizzazione.
Non è certo per così poco che si scoraggiano
i supporter dell’aborto-fai-da-te, una
pillola e via. Un’altra cosa che non dicono,
o che fanno scivolare tra parentesi, è che in
molti casi l’aborto con la Ru486 si conclude
solo dopo settimane. E quando il ginecologo
Silvio Viale dell’Ospedale Sant’Anna di
Torino spiega che “nel 90 per cento dei casi
i farmaci hanno funzionato come previsto”,
ammette che in un ragguardevole 10
per cento dei casi questo non è avvenuto,
ed è stato necessario reintervenire. Viale
ha somministrato la Ru486 a 272 donne nel
corso di una sperimentazione sulla quale è
tuttora aperta un’inchiesta della procura
torinese. Non certo per aver disatteso
un’ordinanza dell’allora ministro Storace,
come scrive il Corriere, ma per aver violato
la legge 194, là dove stabilisce che l’aborto
debba effettuarsi e concludersi nelle
strutture ospedaliere. Le sue pazienti, invece,
Viale le mandava a casa tra la prima e
la seconda somministrazione della pillola,
e dopo. Non è l’unico. Nel 2006, una donna
che aveva preso la pillola abortiva a Siena,
è stata operata d’urgenza al Policlinico Gemelli
di Roma, dove era arrivata con una
grave emorragia.
Rallegriamoci, però. L’arrivo della pillola
abortiva farà anche dell’Italia un paese
“civile”. Un paese dove si comincerà a spostare
l’aborto dall’ospedale alle mura della
casa, “senza il trauma dell’intervento chirurgico”,
come spiega il roseo schemino del
Corriere. Prenda la pillola, signora, e poi,
prego, si accomodi fuori e resti sola con le
emorragie, i crampi, le nausee, il dolore, la
paura e il rischio, per un periodo variabile
da tre giorni a sei settimane. E’ la sottovalutazione
culturale e simbolica dell’aborto, la
chiave del marketing della Ru486. Promet-
te una “minore invasività”, giura di alleggerire,
di trasformare in fatto domestico quello
che nessuno può addomesticare, di ridurre
tutto a procedura asettica, astratta e privatissima.
Basta non vedere, basta che succeda
a casa, e sarà come se non fosse successo.
Chissà se qualcuno ha raccontato all’Aifa
che il settanta per cento delle donne
che hanno assunto la Ru486 all’interno di
una sperimentazione dell’Oms, ben lontane
dall’apprezzare sofferenze e paure solitarie,
hanno detto che lo rifarebbero esclusivamente
in ospedale.
No, l’arrivo della Ru486 in Italia non ha
nulla a che fare con l’incivilimento del paese,
ma in compenso farà molto felici i medici
alla Silvio Viale, che non vedono l’ora di
lavarsene le mani, di quel lavoro così sgradevole.
La prova? Inflessibili obiettori che
si dichiarano disposti a fare i prescrittori di
Ru486, come raccontava, entusiasta, il dottor
Massimo Srebot in una puntata di Otto
e mezzo di qualche tempo fa. La verità è
che l’arrivo di kill pill renderà necessario
modificare la 194, come è analogamente avvenuto
in Francia per la legge Veil. Il metodo
chimico non può garantire, infatti, che
l’aborto avvenga nelle strutture pubbliche,
come stabilisce la legge. Un regalo-contentino
per chi da tempo chiede di “modernizzare”
la 194.
della Sera alla Ru486 (con tanto di commento
di Lina Sotis: “La pillola abortiva c’è
in tutti i paesi civili. Da noi no. Cosa dobbiamo
pensare?”) prendeva spunto dalla
notizia che la Exelgyn, l’azienda francese
che produce il mifepristone, principio attivo
della Ru486, ha avviato la richiesta di
autorizzazione per introdurlo in Italia, come
già accade in altre nazioni europee.
L’approvazione definitiva, prevista per la
primavera, spetta ora all’Agenzia del farmaco
(Aifa), e si tratterà di una semplice
formalità, visto che le regole comunitarie
stabiliscono che un paese non possa rifiutare
un preparato adottato altrove nell’Unione.
Della benevolenza dell’Aifa è difficile
dubitare, visto che nel suo bollettino
dedicato alla letteratura scientifica sull’argomento
non c’è grande traccia dei fatti che
da almeno tre anni a questa parte continuano
a sollevare allarmi sull’aborto chimico.
Non si parla, per esempio, delle sedici donne
morte per aver abortito con la Ru486.
L’associazione SaFe (Salute Femminile) documenta
questo dato sia sulla base delle
comunicazioni del Center for Disease Control
and Prevention americano, sia su quanto
è emerso nel corso di inchieste parlamentari
inglesi, australiane, americane dedicate
alla pillola abortiva. Accanto ai decessi
– nel 2005 il New England Journal of
Medicine ha scritto che, a parità di periodo
di gestazione, la mortalità legata alle Ru486
è dieci volte superiore all’aborto chirurgico
– ci sono poi centinaia di effetti avversi riportati
dagli Annals of Pharmacotherapy
statunitensi e confermati dalla Food and
drug administration, l’ente americano dei
controllo dei farmaci. Un assaggio – molto
parziale – parziale del catalogo è questo: 9
casi di pericolo di vita, 116 nei quali è stata
necessaria una trasfusione, 88 infezioni, di
cui 18 severe, 6 eventi trombotici, e altri 232
casi di ospedalizzazione.
Non è certo per così poco che si scoraggiano
i supporter dell’aborto-fai-da-te, una
pillola e via. Un’altra cosa che non dicono,
o che fanno scivolare tra parentesi, è che in
molti casi l’aborto con la Ru486 si conclude
solo dopo settimane. E quando il ginecologo
Silvio Viale dell’Ospedale Sant’Anna di
Torino spiega che “nel 90 per cento dei casi
i farmaci hanno funzionato come previsto”,
ammette che in un ragguardevole 10
per cento dei casi questo non è avvenuto,
ed è stato necessario reintervenire. Viale
ha somministrato la Ru486 a 272 donne nel
corso di una sperimentazione sulla quale è
tuttora aperta un’inchiesta della procura
torinese. Non certo per aver disatteso
un’ordinanza dell’allora ministro Storace,
come scrive il Corriere, ma per aver violato
la legge 194, là dove stabilisce che l’aborto
debba effettuarsi e concludersi nelle
strutture ospedaliere. Le sue pazienti, invece,
Viale le mandava a casa tra la prima e
la seconda somministrazione della pillola,
e dopo. Non è l’unico. Nel 2006, una donna
che aveva preso la pillola abortiva a Siena,
è stata operata d’urgenza al Policlinico Gemelli
di Roma, dove era arrivata con una
grave emorragia.
Rallegriamoci, però. L’arrivo della pillola
abortiva farà anche dell’Italia un paese
“civile”. Un paese dove si comincerà a spostare
l’aborto dall’ospedale alle mura della
casa, “senza il trauma dell’intervento chirurgico”,
come spiega il roseo schemino del
Corriere. Prenda la pillola, signora, e poi,
prego, si accomodi fuori e resti sola con le
emorragie, i crampi, le nausee, il dolore, la
paura e il rischio, per un periodo variabile
da tre giorni a sei settimane. E’ la sottovalutazione
culturale e simbolica dell’aborto, la
chiave del marketing della Ru486. Promet-
te una “minore invasività”, giura di alleggerire,
di trasformare in fatto domestico quello
che nessuno può addomesticare, di ridurre
tutto a procedura asettica, astratta e privatissima.
Basta non vedere, basta che succeda
a casa, e sarà come se non fosse successo.
Chissà se qualcuno ha raccontato all’Aifa
che il settanta per cento delle donne
che hanno assunto la Ru486 all’interno di
una sperimentazione dell’Oms, ben lontane
dall’apprezzare sofferenze e paure solitarie,
hanno detto che lo rifarebbero esclusivamente
in ospedale.
No, l’arrivo della Ru486 in Italia non ha
nulla a che fare con l’incivilimento del paese,
ma in compenso farà molto felici i medici
alla Silvio Viale, che non vedono l’ora di
lavarsene le mani, di quel lavoro così sgradevole.
La prova? Inflessibili obiettori che
si dichiarano disposti a fare i prescrittori di
Ru486, come raccontava, entusiasta, il dottor
Massimo Srebot in una puntata di Otto
e mezzo di qualche tempo fa. La verità è
che l’arrivo di kill pill renderà necessario
modificare la 194, come è analogamente avvenuto
in Francia per la legge Veil. Il metodo
chimico non può garantire, infatti, che
l’aborto avvenga nelle strutture pubbliche,
come stabilisce la legge. Un regalo-contentino
per chi da tempo chiede di “modernizzare”
la 194.
Nicoletta Tiliacos