(il Foglio) Carlo I, profeta di ”un’altra” Europa

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LE POLEMICHE PER CARLO I D’ASBURGO SUGLI ALTARI


Un santo “protettore dei perdenti”? Le Monde ironizza ma sbaglia


“Carlo I, l’ultimo degli Asburgo, beatificato a Roma nel ridicolo”, era il titolo di un editoriale sul Monde del 30 settembre, nel quale si definiva Carlo I “santo patrono dei perdenti”. Lo storico Roberto de Mattei dice al Foglio che l’ironia del quotidiano francese appare fuori luogo visto che…



Da domenica scorsa l’ultimo degli Asburgo, Carlo I, morto trentacinquenne in esilio e in povertà a Madeira, è il beato Carlo d’Austria, additato da Giovanni Paolo II come un esempio da seguire “in particolare per coloro che esercitano responsabilità politiche oggi in Europa”.


“Carlo I, l’ultimo degli Asburgo, beatificato a Roma nel ridicolo”, era il titolo di un editoriale su Le Monde del 30 settembre, nel quale si definiva Carlo I “santo patrono dei perdenti”, e s’interpretava la decisione vaticana come frutto di nostalgia per “i re cattolici d’antan”.


Lo storico Roberto de Mattei, che ha seguito per motivi di studio il processo di beatificazione di Carlo I, dice al Foglio che l’ironia del quotidiano francese appare fuori luogo “visto che di fronte alla storia il grande sconfitto non è Carlo d’Asburgo, ma gli artefici della Prima guerra mondiale. Come quell’Eduard Benes, che fu il teorico dell’interventismo rivoluzionario e poi vide il suo paese occupato prima dai nazisti e poi dai comunisti, e che morì suicida nel 1948.


Sconfitti della storia appaiono oggi i nemici di Carlo, la cui figura, pur nella sventura della sua sorte, assume il ruolo profetico di un destino che l’Europa avrebbe potuto avere e che non ebbe”.


Ed è un esercizio inutile, a giudizio di de Mattei, “cercare una logica politica nei processi di beatificazione e canonizzazione. Vanno considerati per quello che sono: atti con i quali la Chiesa propone al popolo cristiano modelli, esempi concreti di virtù.


Le vite dei ‘candidati’ sono passate al vaglio, così come, quando esistono, i loro scritti, e non può avvenire beatificazione o canonizzazione se non c’è stato anche un miracolo riconosciuto. Non si tratta quindi di atti ‘politici’ della Chiesa ma di un atto religioso.


Vale, semmai, il ragionamento inverso. Spesso, come è avvenuto anche per la beatificazione di Marco d’Aviano, nel 2003, arrivano ostacoli politici dall’esterno, che intralciano e ritardano le decisioni della Chiesa.


Esemplare, da questo punto di vista, è la vicenda del processo di beatificazione di Pio IX, che avrebbe dovuto concludersi già negli anni precedenti alla Seconda guerra mondiale, ma fu ostacolato dal fascismo perché poteva creare imbarazzo nel momento in cui si andava costruendo il concordato tra Stato italiano e Chiesa.


La beatificazione di Papa Mastai avrebbe proposto una rilettura del Risorgimento antitetica a quella del fascismo, che della tradizione risorgimentale si proclamava erede e che voleva rinverdire il mito della terza Roma mazziniana. L’ostilità a Pio IX, come sappiamo, passò intatta dal fascismo all’antifascismo, e abbiamo dovuto aspettare Giovanni Paolo II per arrivare alla beatificazione.


Per quanto riguarda Carlo I, ricordo – eravamo negli ultimi anni del pontificato di Paolo VI – un colloquio con il cardinale Palazzini, allora prefetto della Congregazione dei santi, alla quale competono beatificazioni e canonizzazioni. Chiesi al cardinale come mai la causa di beatificazione dell’ultimo degli Asburgo fosse rimasta arenata per tanto tempo. E lui mi rispose che c’erano problemi di ostilità politica, che coinvolgevano sia Carlo I sia quattro martiri della guerra civile spagnola, a loro volta beatificati da Giovanni Paolo II.


Insomma, i tempi non erano maturi, come ricordava anche Vittorio Messori sul Corriere della Sera di domenica, che parla, nei confronti di Carlo I, di “odi convergenti sia della sinistra repubblicana e del liberalismo massonico sia del nazismo”.


Oggi, più modestamente, il beffardo corsivista del Monde dà voce, secondo de Mattei, “a quell’indistruttibile mitologia progressista di sapore ottocentesco, fatta di visione ascensionale dell’umanità, che vede nella casa d’Austria e nella Chiesa gli ostacoli alla realizzazione del paradiso in terra, i nemici per eccellenza delle ‘magnifiche sorti e progressive’.


La Prima guerra mondiale ha avuto tra le sua cause ideologiche la volontà di distruzione dell’impero asburgico. La mentalità con cui oggi si vorrebbe mettere sul banco degli imputati gli Asburgo, o dileggiare l’ultimo imperatore in quanto ‘santo patrono dei perdenti’, è la stessa che in Francia portò alla ghigliottina Luigi XVI.


Non c’è molto da replicare a chi, quasi un secolo dopo la fine della monarchia erede del Sacro romano impero, ritiene ovvio continuare a praticare la damnatio memoriae di un personaggio come Carlo I, che esercitò con eroismo le virtù cristiane di fede, speranza, carità.


A meno che”, conclude de Mattei, “a scandalizzare non sia il fatto che a diventare beato sia un sovrano. Ma anche i re possono essere santi.


E i francesi, con il loro san Luigi, dovrebbero saperlo bene”.


 


Il Foglio 5 ottobre 2004