(il Foglio) Allarme eutanasia, la sinistra comincia le manovre

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Due proposte di legge: una prevede il “testamento biologico”, l’altra tre esperti al capezzale


Prove tecniche in Parlamento per un’eutanasia senza galera

Roma. “Non voglio vivere sino a non sentire più la voce
dei miei tifosi”, dice Maggie dal suo letto di disabile implorando
al suo coach Frankie un ultimo gesto. E’ la scena
più struggente di “Million Dollar Baby”, il film di e con
Clint Eastwood che ha vinto l’Oscar. E Frankie, che è un
duro, ma anche uno pieno di dubbi e di rimorsi, lui che ha
accettato di allenare quella povera cameriera che sognava
il riscatto salendo sul ring, lui che per 23 anni è andato
a messa ogni giorno, si consulta col suo prete e alla fine decide
di accontentarla. Le stacca il tubo che la collega 24
ore su 24 alla bombola d’ossigeno, le inietta una dose micidiale
di adrenalina, e dopo averle sfiorato la bocca per
un bacio, le chiude gli occhi e scompare nel nulla. In Italia
Frankie, se fosse stato scoperto e denunciato, sarebbe
finito in galera. L’eutanasia infatti è un reato, come lo è in
America. E chi provoca la morte di un terzo, seppure consenziente,
è passibile secondo il nostro codice penale d’una
condanna per omicidio, omicidio del consenziente, o di
istigazione al suicidio.
Eppure sono in molti oggi a voler sottrarre l’uscita della
vita a ogni sorta di arbitrio del destino. Ormai, anche la
fine della vita, non solo l’inizio, potrebbe essere oggetto
della libera determinazione del singolo. A dettar legge non
è solo il rifiuto del dolore, ma il rifiuto di sopravvivere in
condizioni disastrate, come quelle connesse a malattie terminali,
degenerative, a traumi irreversibili che ti costringono
a restare “artificialmente” in vita grazie alle macchine.
Intanto, vuoi per effetto del trionfo paradossale della
tecnica, vuoi come rifugio per chi è incapace di dare
senso alla vita quando la stessa “qualità della vita” è compromessa,
le associazioni per la morte degna si moltiplicano,
diventando lobby influenti. A Torino, è Exit, associazione
per il diritto a una morte dignitosa, ad aver elaborato
la proposta di legge presentata da Giuliano Pisapia
di Rifondazione comunista per introdurre il “testamento
biologico”. Un atto cioè con cui un individuo, nel pieno
possesso delle sue facoltà, potrà disporre di non voler essere
sottoposto ad alcun trattamento terapeutico, qualora
venisse colpito da malattia terminale, da trauma irreversibile
o implicante l’uso permanente di macchinari e strumentazioni.
A Roma invece è Libera Uscita, altra associazione
per la morte dolce, presieduta da Giancarlo Fornari,
ad aver sostenuto la proposta di legge per la depenalizzazione
della eutanasia, presentata dal senatore Alessandro
Battisti della Margherita, da esponenti dei Ds come
Franco Bassanini, Guido Calvi, Antonio Falomi, insieme a
rappresentanti dei Verdi, di Rifondazione e dello Sdi. Dichiaratamente
laica e rigorosamente atea, la proposta mira
a un consenso trasversale. Sulla falsariga della legge
olandese (in vigore dal 1993 e ora estesa anche ai minori
di 12 anni), circoscrive la richiesta di eutanasia ai maggiorenni,
“capaci di intendere e di volere”, purché effettuata
“in modo ponderato e reiterato” e “in piena autonomia
e libertà”. E sottopone la decisione finale al vaglio di tre
medici, uno specialista della patologia da cui è affetto il
paziente, un altro medico scelto dal paziente e un terzo
medico indicato dall’Ordine. “Approvarla sarebbe ammettere
la burocratizzazione della morte” commenta
Francesco d’Agostino del Comitato di Bioetica.
In realtà, più dell’industria del cinema, può lo spirito
del tempo. Un sondaggio segnala che oramai è il 60 per cento
degli italiani ad essere favorevole alla legalizzazione dell’eutanasia,
specie in caso di malattie terminali, mentre
vent’anni fa non lo era neanche il 25. Eppure nonostante
questi dati, la battaglia in Parlamento s’annuncia difficile,
tra i due fronti contrapposti e irriducibili dei fautori della
“qualità della vita” da un lato, e dei difensori della ”indisponibilità
della vita” dall’altro, come lo sono Riccardo Pedrizzi
di An, oppositore della depenalizzazione, o il leghista
Alessandro Cè che si batte per il divieto di ogni forma
di eutanasia, ma intende salvaguardare i diritti dei pazienti
nei confronti dell’accanimento terapeutico.


il Foglio 2-3-2005