(Fides) Un excursus su tutto l’insegnamento di Giovanni Paolo II

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Gli insegnamenti di Giovanni Paolo II

VATICANO – GLI INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II (1)


La Redemptor hominis, prima enciclica di Giovanni Paolo II (prima parte)
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – “Il redentore dell’uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia. A Lui si rivolgono il mio pensiero e il mio cuore in questa ora solenne, che la Chiesa e l’intera famiglia dell’umanità contemporanea stanno vivendo”. Con queste parole si apre la “Redemptor hominis”, prima enciclica di Giovanni Paolo II, che segna e determina le linee guida e il programma dell’intero pontificato. All’inizio la riflessione si concentra sulla realtà della Chiesa; il Papa si pone nel solco del magistero del Vaticano II e dei suoi più immediati predecessori, Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo I e, dopo la sottolineatura dell’importanza del principio di collegialità nel governo della Chiesa, ricordato dal Concilio Vaticano II, e le iniziative ecumeniche tese al ristabilimento dell’unità fra i cristiani, la trattazione investe il mistero della redenzione in Gesù Cristo, fondamento della realtà ecclesiale e “stabile principio e centro permanente” della sua missione.
La Chiesa è chiamata a portare Cristo redentore all’uomo, che solo nel Verbo incarnato può trovare la luce che illumini il suo mistero; Giovanni Paolo II non parla qui dell’ uomo astratto, ma reale, concreto e storico. Un uomo che, nel mondo contemporaneo, “vive sempre più nella paura”, minacciato dal frutto stesso “del lavoro delle sue mani, del suo intelletto, delle tendenze della sua volontà”: da un progresso senza leggi etiche, dallo sfruttamento della terra senza una razionale e onesta pianificazione, da una tecnica che spesso è in contrasto con il suo progresso morale e spirituale, da una civiltà materialista che lo rende schiavo e da un totalitarismo che nega i suoi diritti naturali, in particolare quello alla libertà religiosa. A queste “paure” si deve aggiungere la ingiusta e sempre più vasta separazione del mondo in ricchi e poveri, generata dall’ “abuso della libertà, che è legato proprio a un atteggiamento consumistico non controllato dall’etica, ed esso limita contemporaneamente la libertà degli altri, cioè di coloro che soffrono rilevanti deficienze e vengono spinti verso condizioni di ulteriore miseria e indigenza.” (Agenzia Fides)


VATICANO – GLI INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II (1)
La Redemptor hominis, prima enciclica di Giovanni Paolo II (seconda parte)
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – La Chiesa annuncia Cristo all’uomo che vive nella situazione del mondo contemporaneo, “lontana dalle esigenze oggettive dell’ordine morale, come dalle esigenze della giustizia e, ancor più, dell’amore sociale”; questa missione si realizza attraverso “la fedeltà alla Parola”, il “servizio alla verità” e l’azione redentrice della vita sacramentale, il cui “centro e vertice” è l’eucarestia, sacramento in cui si realizza “più perfettamente” l’unione con Cristo.
L’enciclica unisce a questa descrizione del bisogno di redenzione dell’uomo e delle difficoltà i cui si trova il mondo contemporaneo uno sguardo sulla persona umana pieno di stima e rispetto. Giovanni Paolo II dedica un intero paragrafo al rapporto fra la libertà dell’uomo e la missione della Chiesa, che si deve porre alla sequela di Gesù e degli apostoli, i primi evangelizzatori, che hanno conservato “una profonda stima per l’uomo, per il suo intelletto, la sua volontà, la sua coscienza e la sua libertà”, e usa l’espressione bellissima di “stupore” per descrivere il sentimento di ammirazione di fronte al valore e alla dignità della persona.
Di fronte ad interpretazioni riduttive della “Redemptor hominis” rimane vero il giudizio del filosofo francese Jean Guitton, che ci aiuta a mettere a fuoco il cuore del messaggio: “Così è accaduto in Francia. E, nei titoli dei nostri giornali, mi sono accorto del primo controsenso: l’Enciclica è presentata quale promozione dei diritti dell’uomo e quale subordinazione della fede all’uomo. Certamente l’Enciclica difende l’uomo da ogni schiavitù. Il Verbo si è fatto uomo. Ma la parola Redemptor che è messa lì quasi una stella per guidarci, indica sufficientemente che l’uomo non è il termine e il fine: l’Enciclica, come la Rivelazione biblica, come il Vangelo, come la Tradizione della Chiesa (come l’insegnamento di Giovanni XXXIII, di Paolo VI e di Giovanni Paolo I), subordina nel Cristo l’uomo a Dio. Essa non è antropocentrica, simile alle filosofie moderne derivate da Hegel; essa è teocentrica, è cristocentrica. Il Cristo vi appare in nuovo splendore; la scienza moderna, la storia moderna ci aiutano a comprendere meglio l’intuizione comune a quelle due colonne primordiali che furono San Paolo e San Giovanni: che il Cristo è il centro della storia e del cosmo. Ed è questo, sono certo, l’asse, lo slancio, il senso dell’Enciclica.” Complessivamente nella “Redemptor hominis” troviamo già espressi e delineati i temi e le linee guida che caratterizzeranno il magistero di Giovanni Paolo II negli anni successivi: il confronto con le problematiche politiche e morali del mondo contemporaneo, la ripresa del Vaticano II, l’impostazione cristocentrica che definisce la natura della Chiesa, la sua vita liturgica e sacramentale, e la grande importanza attribuita allo slancio missionario ed ecumenico. (Agenzia Fides)


VATICANO – GLI INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II (3)
Un nuovo umanesimo
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – “Cristo rivela pienamente l’uomo a se stesso” ha scritto Giovanni Paolo II nella Redemptor hominis; l’esperienza cristiana è dunque capace di fare emergere tutta la verità dell’essere umano.
Da questa nuova prospettiva sulla natura umana, originata dalla fede, nasce un “umanesimo autentico”, una concezione dell’uomo che ne sottolinei il valore e la dignità, e nel contempo anche il pericolo, sempre presente, di perdere la propria grandezza, nella dimenticanza della relazione con Dio ed esaltazione dell’autonomia umana. L’uomo realizza se stesso, la promessa contenuta nella sua natura, solo rispettando la verità di sé, quindi nel riconoscere la dipendenza dal Padre e nell’incontro con il Figlio.
Da qui nasce la grande ammirazione del Papa di fronte alla persona, alla sua esistenza, libertà e ragione e l’affermazione del suo pieno compimento solo in una prospettiva di fede, e al contrario della sua auto-distruzione per la tentazione di autonomia antropocentrica.
Giovanni Paolo II, partendo da questa concezione, si pone in dialogo con le problematiche sociali, etiche e filosofiche del mondo contemporaneo, proponendo un nuovo umanesimo, fondato nella fede in Gesù Cristo, in cui emerge con forza la strenua difesa della vita, libertà e ragione dell’uomo. Gli assi portanti di questa proposta sono indubbiamente le lettere encicliche Centesimus annus per la dottrina sociale, Veritatis splendor ed Evangelium vitae per quanto riguarda l’etica, e Fides et ratio sul rapporto fra fede e ragione. (Agenzia Fides)


VATICANO – GLI INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II (3)
La dottrina sociale (prima parte)
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Nel magistero di Giovanni Paolo II ha svolto un grande ruolo l’elaborazione della dottrina sociale e il giudizio sulla realtà politica e sociale e sugli avvenimenti storici; importanza probabilmente legata alla sensibilità di un uomo che aveva vissuto personalmente gli orrori dei due totalitarismi, che sconvolsero il secolo passato ed investirono in pieno la nazione polacca durante gli anni della sua giovinezza e del suo lavoro pastorale come arcivescovo di Cracovia; inoltre il periodo del suo pontificato è caratterizzato da importanti ed epocali sconvolgimenti che hanno cambiato la politica mondiale e le sue problematiche, come la caduta dei regimi comunisti dell’Europa orientale nel 1989 e l’attacco terroristico da parte del fondamentalismo islamico l’11 settembre 2001 con la conseguente guerra al terrorismo.
L’annuncio della dottrina sociale è considerato decisivo perché strumento della missione evangelica della Chiesa, e “in quanto tale, annuncia Dio e il mistero di salvezza in Cristo a ogni uomo e, per la medesima ragione, rivela l’uomo a se stesso.”
Nell’agosto del 1980 in Polonia, in seguito agli scioperi operai dei cantieri navali di Danzica, era nato ufficialmente il sindacato cattolico di Solidarnosc, una delegazione del quale fu ricevuta dal pontefice a Roma fra il 15 e il 18 gennaio 1981; un mese dopo avere lasciato il policlinico Gemelli, in seguito all’attentato in Piazza S. Pietro del 13 maggio, e soli nove giorni dopo l’apertura del I Congresso nazionale di Solidarnosc a Danzica, il 14 settembre 1981 Giovanni Paolo II pubblica, nel novantesimo anniversario della Rerum novarum di Leone XIII, la Laborem exercens, la sua prima enciclica sociale, da molti interpretata come tentativo di fondare e difendere dal punto di vista filosofico e teologico l’esperienza di lotta sociale in pieno svolgimento in Polonia.
Papa Wojtyla affronta la questione sociale mettendo al centro della sua riflessione la natura del lavoro e la dignità del lavoratore, attingendo sicuramente anche alla sua esperienza personale di lavoratore operaio nella Cracovia occupata dalle truppe tedesche. Accanto alla difesa dei diritti dei lavoratori, della proprietà privata, sempre comunque finalizzata al bene comune, e dei sindacati, Giovanni Paolo II si sofferma anche, seguendo tutta la dottrina sociale della Chiesa, sul “principio di priorità del lavoro nei confronti del capitale”, criticando la teoria economica dell’ “economismo”, concezione che “considera il lavoro esclusivamente in base alla sua finalità economica”. Il Papa espone nel documento la dimensione spirituale del lavoro; per mezzo del lavoro l’uomo si fa specchio “dell’azione stessa del Creatore dell’universo”, con il lavoro gli uomini sono chiamati ad “imitare Dio”; il lavoro riguarda l’essere dell’uomo, non il fare, è un diritto della persona necessario per la sua completa realizzazione umana; il lavoro è stato nobilitato da Cristo, che per gran parte della sua vita terrena è stato un lavoratore e la fatica è vista come possibile partecipazione alla Passione di Cristo.
Meno di un anno dopo il viaggio apostolico dell’aprile 1987 nel Cile di Pinochet, caratterizzato dagli scontri fra polizia e contestatori durante la messa del 3 aprile al parco O’Higgins di Santiago, e in Argentina, il Papa pubblicava il 19 febbraio 1988 l’enciclica Sollicitudo rei socialis, formalmente datata il 30 dicembre 1987 per la commemorazione del ventesimo anniversario della Popolorum progressio, enciclica di Paolo VI dedicata allo sviluppo dei paesi del terzo mondo. (Agenzia Fides)


VATICANO – GLI INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II (4)
La dottrina sociale (seconda parte)
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Giovanni Paolo II mette l’accento sul dovere e la responsabilità morale dell’aiuto da parte dei paesi sviluppati verso quelli in via di sviluppo, e sottolinea nello stesso tempo il fatto che il peggioramento delle condizioni del terzo mondo dall’epoca della Polorum progressio sia anche dovuto, insieme alle responsabilità delle nazioni sviluppate, a “indubbie, gravi omissioni da parte delle stesse nazioni in via di sviluppo e, specialmente, da parte di quanti ne detengono il potere economico e politico”; la critica del Papa investe sia il capitalismo liberista, sia il collettivismo marxista, ideologie “imperfette e tali da esigere una radicale correzione” e che portano in sé una “tendenza all’imperialismo, come si dice comunemente, o a forme di neo-colonialismo”; lo scontro fra queste ideologie, trasferito nel terzo mondo, è definito un “diretto ostacolo alla vera trasformazione delle condizioni di sottosviluppo nei paesi in via di sviluppo o in quelli meno avanzati.”; sulle pagine del “New York Times”, dopo la pubblicazione dell’enciclica, il Papa fu accusato di porre sullo stesso piano e di condannare ugualmente marxismo e capitalismo.
Circa tre anni dopo la Sollecitudo rei socialis, per celebrare il centenario della Rerum novarum, veniva firmata il 1 maggio 1991 la terza, più importante e innovativa enciclica sociale di Papa Wojtyla, la Centesimus annus. Intanto però il treno della storia aveva proseguito la sua corsa e due avvenimenti, in particolare, avevano segnato la politica mondiale. Durante il 1989, in seguito a rivoluzioni per lo più pacifiche, erano crollati, a partire dalla Polonia i regimi comunisti dell’ Europa orientale; nel giro di alcuni mesi l’ordine di Yalta, che aveva dominato il mondo dopo la seconda guerra mondiale, era stato stravolto dalla fine di uno dei due blocchi.
Nella notte fra il 16 e 17 gennaio del 1991 scoppia la guerra del Golfo Persico. Una coalizione di stati occidentali e arabi, guidata dagli Stati Uniti e sotto l’egida dell’ONU, attacca l’Irak di Saddam Hussein, colpevole di aver occupato all’inizio di agosto il piccolo sceiccato del Kuwait, ricco di petrolio; dando così il via allo scontro armato con più paesi coinvolti dalla fine della seconda guerra mondiale; il confronto militare durerà fino la fine di febbraio quando le truppe irakene lasciarono il Kuweit.
L’intento che origina la Centesimus annus è identificato nel “guardare indietro” per “scoprire nuovamente la ricchezza dei principi fondamentali” della Rerum novarum, ma anche nel “guardare intorno, alle cose nuove, che ci circondano e in cui ci troviamo, per così dire immersi” e nel “guardare al futuro, quando già s’intravede il terzo millennio dell’era cristiana, carico di incognite, ma anche di promesse.” Già nell’introduzione del documento viene dunque sottolineato l’approccio di questa enciclica, caratterizzato da un profondo legame con i problemi dell’attualità; Giovanni Paolo II si propone di giudicare culturalmente gli ultimi avvenimenti politici e la realtà socio-economica empirica.
Il documento Papale inizia con un omaggio a Papa Leone XIII, la cui originale applicazione dei principi morali cattolici alla situazione sociale ed economica della fine del XIX secolo aveva creato quello che Giovanni Paolo II chiama “un paradigma permanente per la Chiesa”; la dignità del lavoro e dei lavoratori, il diritto alla proprietà privata, il diritto di associazione, quindi ai sindacati, il diritto ad un giusto salario, il diritto alla libertà religiosa, erano principi ormai entrati nell’eredità culturale della Chiesa. (Agenzia Fides)


VATICANO – GLI INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II (5)
La dottrina sociale (terza parte)


Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Leone XIII aveva anche previsto il fallimento del socialismo, determinato da un errore antropologico nella concezione dell’uomo, legato all’ateismo; da questa visione culturale errata della persona umana, che riduce il valore singolo uomo e della sua libertà a “semplice elemento e molecola dell’organismo sociale”, deriva, secondo Giovanni Paolo II il crollo, anche da un punto di vista economico, dei regimi comunisti.
La Centesimus annus non propone una via alternativa fra capitalismo e marxismo, “la Chiesa non ha modelli da proporre”, e in questo rappresenta una novità nei confronti della dottrina sociale precedente. Vi è una valorizzazione dell’economia libera di mercato, in quanto espressione della creatività umana e spazio in cui si esercita la libera responsabilità delle persone, e una distinzione fra diversi modelli di questa; seguiamo Giovanni Paolo II nella risposta alla domanda sulle prospettive future dopo la caduta del comunismo e se il capitalismo sia il modello da proporre ai paesi che “cercano la via del vero progresso economico e civile.”:
“Ritornando ora alla domanda iniziale, si può forse dire che, dopo il fallimento del comunismo, il sistema sociale vincente sia il capitalismo, e che verso di esso vadano indirizzati gli sforzi dei paesi che cercano di ricostruire la loro economia e la loro società? È forse questo il modello che bisogna proporre ai paesi del terzo mondo, che cercano la via del vero progresso economico e civile?
La risposta è ovviamente complessa. Se con capitalismo si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di economia d’impresa, o di economia di mercato, o semplicemente di economia libera. Ma se con capitalismo si intende un sistema in cui la libertà del settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa.” .
Papa Wojtyla sottolinea con forza come la fine del marxismo non significhi la fine dell’ingiustizia, dello sfruttamento, della emarginazione, e della alienazione umana, intesa come perdita del senso dell’esistenza; egli riconosce la positività della libertà di mercato, ma nota come questa sia solo un elemento della libertà umana e quando viene assolutizzata nella continua ed esclusiva ricerca del profitto origini fenomeni quali il consumismo e la distruzione ecologica.
Lo stato ha il compito di difendere il bene comune, in questo senso deve regolare l’economia libera, ma ha dei limiti che non può prevaricare, determinati dal rispetto della libertà e creatività individuale; sempre riguardo il concetto di stato si legge che “la Chiesa apprezza la democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governanti la possibilità sia di eleggere e controllare i governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno.” Un’autentica democrazia è possibile comunque solo “in uno stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana”; una democrazia, non fondata nella verità, senza valori e legata ad una concezione filosofica agnostica e relativista “si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia.”
La forte sottolineatura e valorizzazione della libertà dell’uomo si rispecchia anche nella concezione della società; la società, come l’individuo, ha una “soggettività” che si esprime nelle associazioni intermedie e volontarie: “diversi gruppi intermedi, cominciando dalla famiglia fino ai gruppi economici, sociali, politici e culturali, che, provenienti dalla stessa natura umana, hanno -sempre dentro il bene comune- la loro propria autonomia.”; da qui il necessario sostegno da parte dello stato a tali associazioni intermedie. Si tratta della riformulazione, secondo una nuova prospettiva e terminologia, del tradizionale principio di sussidiarietà della dottrina sociale cattolica.
Anche riguardo la problematica dello sviluppo dei paesi del terzo mondo la Centesimus annus introduce nuove categorie e concetti più adeguati al mondo contemporaneo; in primo luogo il Papa, riprendendo il principio della “destinazione universale dei beni della terra”, afferma che fra questi oggi occorre considerare anche “la proprietà della conoscenza, della tecnica e del sapere”, bene, necessario per lo sviluppo non solo economico ma umano, che occorre diffondere nei paesi del terzo mondo. Inoltre, confrontandosi con le tesi terzomondiste favorevoli all’isolamento economico dei paesi più poveri, si osserva: “L’esperienza recente ha dimostrato che i paesi che si sono esclusi hanno conosciuto stagnazione e regresso, mentre hanno conosciuto lo sviluppo i paesi che sono riusciti a entrare nella generale interconnessione delle attività economiche a livello internazionale. Sembra, dunque, che il maggior problema sia quello di ottenere un equo accesso al mercato internazionale, fondato non sul principio unilaterale dello sfruttamento delle risorse naturali, ma sulla valorizzazione delle risorse umane.”
Partendo dal presupposto che “la potenza terrificante dei mezzi di distruzione” e la “sempre più stretta connessione” fra i popoli della terra rendono arduo, se non impossibile, limitare le conseguenze di un conflitto, Giovanni Paolo II, citando la sua contrarietà al recente conflitto nel Golfo Persico, ripete il suo “no” alla guerra, “che distrugge la vita degli innocenti, che insegna a uccidere e sconvolge ugualmente la vita degli uccisori, che lascia dietro di sé uno strascico di rancori e di odi, rendendo più difficile la giusta soluzione degli stessi problemi che l’hanno provocata.”, e ribadisce la necessità di ricercare strumenti di soluzione dei conflitti internazionali alternativi allo scontro armato. Durante il suo pontificato Wojtila rimarrà fedele a questa linea di contrarietà all’utilizzo della guerra come soluzione delle problematiche politiche. (Agenzia Fides)


VATICANO – GLI INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II (6)
La dottrina etica (prima parte)
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Nel 1987, nella lettera apostolica Spiritus Domini, pubblicata nel bicentenario della morte del grande teologo morale del settecento S.Alfonso de Liguori, Giovanni Paolo II esprime l’intenzione di affrontare “più ampiamente e più profondamente le questioni riguardanti i fondamenti stessi della teologia morale.” L’enciclica Veritatis splendor, annunciata dunque fin dal 1987, reca la firma del 6 agosto 1993, circa sei anni più tardi; nel frattempo il 7 dicembre 1992 era stato presentato al pubblico il Catechismo della Chiesa cattolica, in cui si trova l’esposizione completa e sistematica della dottrina morale cristiana. La Veritatis splendor affronta direttamente il problema dei fondamenti della dottrina morale e rappresenta una chiara presa di posizione rispetto ad alcuni indirizzi teologici postconciliari e alla confusione riguardo la concezione del “bene”,tipica dell’epoca moderna; nel documento si trova nel contempo una visione nuova della teologia morale, che porta a compimento, in questo campo, l’opera di rinnovamento teologico iniziata con il Concilio Vaticano II.
L’uomo è veramente libero e questa è la base di ogni serio concetto di moralità, ma la libertà umana è strettamente collegata alla verità e alla legge; la vera libertà non è l’assolutizzazione della scelta autonoma, ma può trovare la sua vera e piena realizzazione solo nell’adesione al bene, la cui legge è iscritta nel cuore dell’uomo, nella sua coscienza, e può essere scoperta attraverso la luce della ragione naturale, “riflesso nell’uomo dello splendore del volto di Dio”. Nell’uomo vi è una tensione, una domanda di significato, di “vita eterna”, che genera l’aspirazione alla bontà e all’eccellenza.
Qui la persona può trovare il compimento del suo destino; la domanda morale è prima che una una domanda sulle regole da osservare, una domanda di pienezza di significato della propria vita; così Giovanni Paolo II, all’inizio dell’enciclica, commenta la domanda che il giovane ricco rivolge a Gesù: “Maestro che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?”: “Nel giovane, che il Vangelo di Matteo non nomina, possiamo riconoscere ogni uomo che, coscientemente o no, si avvicina a Cristo, redentore dell’uomo, e gli pone la domanda morale. Per il giovane, prima che una domanda sulle regole da osservare, è una domanda di pienezza di significato per la vita.”
La libertà non si oppone più alla legge divina, non deve più piegarsi ad essa come nella teologia morale preconciliare, ma trova nell’obbedienza ad essa e nella sequela di Cristo la sua stessa realizzazione e il suo vero significato.
La Veritatis splendor afferma con forza l’esistenza di atti “intrinsecamente malvagi”, come l’omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia, lo stesso suicidio volontario; rifacendosi alla dottrina morale dei suoi predecessori Wojtyla sottolinea inoltre come per la Chiesa non sia lecito “fare il male, perché ne venga il bene”, ponendosi in contrasto con le tesi “intenzionaliste”, tendenti a ridurre il valore di un’azione alla sola intenzione del soggetto che la compie, e con le teorie etiche “teleologiche, consequenzialiste e proporzionaliste, che negano l’esistenza di norme morali negative riguardanti comportamenti determinati e valide senza eccezioni.” Una retta concezione della libertà umana e dei suoi limiti è necessaria per il sorgere di una società più giusta e una vera democrazia, affinché la “libertà umana non distrugga se stessa”. (Agenzia Fides)


VATICANO – GLI INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II (7)
La dottrina etica (seconda parte)

Città del Vaticano (Agenzia Fides) – L’anno 1994 è dominato dalle polemiche fra Santa Sede e amministrazione americana, sotto la presidenza di Clinton, per i lavori di preparazione della Conferenza mondiale su popolazione e sviluppo del Cairo , che si svolse dal 5 al 13 settembre e vide lo scontro di due diverse concezioni culturali per la definizione della dichiarazione finale, in particolare sul tema dell’aborto, che il governo americano voleva definire “diritto umano fondamentale e strumento di pianificazione familiare”, dei metodi per il controllo demografico e sulla concezione della famiglia. Sei mesi dopo la conferenza, nel marzo del 1995, Giovanni Paolo II pose la firma all’enciclica Evangelium vitae sul valore e l’inviolabilità della vita umana, che si apre con una panoramica delle minacce alla dignità umana nel mondo contemporaneo, riassunte nell’espressione “cultura della morte”. La vita è dono di Dio e le democrazie che negano l’inalienabile diritto alla vita, dal concepimento sino alla morte naturale si trasformano in “stato tiranno”, che nega gli stessi diritti dell’uomo; è questa “una minaccia capace, al limite, di mettere a repentaglio lo stesso significato della vita democratica”: “Rivendicare il diritto all’aborto, all’infanticidio, all’eutanasia e riconoscerlo legalmente, equivale ad attribuire alla libertà umana un significato perverso e iniquo: quello di un potere assoluto sugli altri e contro gli altri. Ma questa è la morte della vera libertà.”
Nell’enciclica Giovanni Paolo II prende anche posizione riguardo il rapporto fra legge morale e civile, e sulle problematiche civili che investono il cittadino cristiano: “L’aborto e l’eutanasia sono dunque crimini che nessuna legge umana può pretendere di legittimare. Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza.”
Nessun parlamentare cristiano può votare tali leggi; tuttavia veniva riconosciuta la possibilità che “quando non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista, un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all’aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica.”
Un certo realismo morale si ritrova anche nella trattazione della sospensione delle cure mediche di malati terminali, consentite quando “certi interventi medici non [sono] più adeguati alla reale situazione del malato, perché ormai sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare o anche perché troppo gravosi per lui e per la sua famiglia.” Anche l’uso di cure antidolorifiche, che possono abbreviare la vita, può essere lecita, purché il loro scopo sia quello di alleviare la sofferenza e non l’accelerazione della morte del paziente. Novità sono introdotte riguardo la pena di morte; Giovanni Paolo II limitava il criterio di “difesa della società”, introdotto dal Catechismo del 1992 come criterio di giustificazione della pena capitale, ai casi di “assoluta necessità” e notava che “oggi, però a seguito dell’organizzazione sempre più adeguata dell’istituzione penale, questi casi sono ormai molto rari, se non addirittura inesistenti.” (Agenzia Fides)


VATICANO – GLI INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II (8)
Fede e ragione

Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Giovanni Paolo II il 31 ottobre 1992, dopo avere ascoltato la relazione della Commissione pontificia sul caso Galileo, chiede un nuovo dialogo e incontro fra religione e scienza, in quanto, pur essendo due ordini diversi di conoscenza, fede e ragione non possono contraddirsi.
Il tema è ripreso dall’enciclica Fides et ratio, presentata al pubblico il 15 ottobre 1998, soli quattro giorni dopo la canonizzazione della pensatrice di origini ebree Edith Stein, poi divenuta suora carmelitane e morta nel campo di concentramento nazista di Aushwitz. Si trattava della prima grande presa di posizione pontificia sul rapporto fra fede e ragione dal documento Dei filius del Vaticano I (1869-1870) e l’enciclica Aeterni Patris di Leone XIII, che aveva proposto il pensiero di S.Tommaso come modello della filosofia e teologia cattoliche. Queste le prime parole del documento: “La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità. È Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui, perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso.”
Viene introdotta, rispetto all’impostazione e terminologia tomista, una prospettiva esistenziale; l’uomo ha delle “domande di fondo che caratterizzano il percorso dell’esistenza umana: chi sono? da dove vengo e dove vado? perché la presenza del male? cosa ci sarà dopo questa vita?”.
La ricerca inizia come tentativo di rispondere a questi interrogativi. Il Papa afferma con forza, in contrasto con il relativismo, lo scetticismo e l’irrazionalismo di gran parte della filosofia del XX secolo, la capacità della ragione dell’uomo di cogliere la verità, la bellezza, l’uomo è aperto all’essere, ha la possibilità di conoscerlo. La rivelazione completa questo itinerario conoscitivo dell’uomo alla ricerca del senso della vita, con un patrimonio di conoscenza che non proviene da una speculazione, ma dall’accogliere nella fede la parola di Dio.
Ragione e fede, come anche scienza, filosofia e teologia, sono due ordini di conoscenza che non si contrappongono, ma si completano a vicenda; la fede porta a compimento l’itinerario di ricerca della ragione, la ragione aiuta ad approfondire le verità di fede; siamo di fronte ad una ragione aperta alla fede ed a una fede ragionevole: “la verità che ci proviene dalla Rivelazione è, nello stesso tempo, una verità che va compresa alla luce della ragione”.
La riflessione di Giovanni Paolo II rifiuta ogni svalutazione delle capacità della ragione umana e riduzione fideistica o razionalistica della conoscenza legata alla rivelazione; in altri termini riprende con forza l’insegnamento tradizionale della Chiesa sulla distinzione ma non separazione fra fede e ragione, ma lo arricchisce, rafforza e rinnova con l’introduzione di una prospettiva esistenziale e una poderosa fondazione biblica. (Agenzia Fides)


VATICANO – GLI INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II (9)
La Chiesa di Cristo
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – All’interno del magistero di Giovanni Paolo II è molto ricca la riflessione teologica ed ecclesiologica, il cui centro è indubbiamente la concezione cristocentrica presentata nella Redemptor hominis; la Chiesa nasce dal mistero di Cristo ed ha come unico compito, come abbiamo già sottolineato, quello di rivolgere lo sguardo dell’uomo verso il suo Redentore.
Una linea guida del pensiero di Wojtyla è la ripresa e rivisitazione del Concilio Vaticano II e la proposta di una retta interpretazione di esso, che spesso si pone in contrapposizione con le tendenze più progressiste della teologia. È questa una preoccupazione costante del pensiero del Papa anche testimoniata dal Sinodo straordinario dei vescovi, che si svolse dal 25 novembre all’8 dicembre 1985 e aveva come argomento la “commemorazione, valutazione e promozione” del Concilio Vaticano II nel XX anniversario della sua conclusione. Anche lo slancio ecumenico, in particolare verso la Chiesa ortodossa, e il grande Giubileo dell’anno 2000, meta di un cammino di conversione della Chiesa e possibile inizio di un suo rinnovamento, sono due tematiche che ricorrono continuamente nel suo magistero.
In questo sommario e sintetico accenno dei temi e delle problematiche di fondo dei documenti teologici ed ecclesiologici del Papa possiamo anche osservare come il Santo Padre rimanga sempre distante da un astratto pensiero teologico, dedicando alla meditazione della S.Scrittura un ruolo fondamentale e mettendo sempre in luce le conseguenze dei principi nella vita del singolo uomo, della Chiesa e della società. (Agenzia Fides – SEGUE)

VATICANO
GLI INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II (10)
Le encicliche sul Padre e sullo Spirito Santo
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – La Redemptor hominis, incentrata sul mistero della redenzione di Cristo, trovò suo compimento nella Dives in misericordia e nella Dominum et vivificantem, le due encicliche, rispettivamente sulla misericordia di Dio e lo Spirito Santo, che completano la riflessione di Giovanni Paolo II sulle Persone della Trinità. La Dives in misericordia, firmata il 30 novembre 1980, inizia con queste parole: “Dio ricco di misericordia è colui che Gesù Cristo ci ha rivelato come Padre: proprio il suo Figlio, in se stesso, ce l’ha manifestato e fatto conoscere.” L’amore misericordioso di Dio, cominciato già “nel mistero stesso della creazione” e continuato nell’esperienza di tradimento e perdono del popolo ebraico, viene pienamente svelato nel Figlio, Gesù Cristo, nella sua morte e resurrezione. Il figlio della parabola del “figliol prodigo” è visto come immagine dell’ “uomo di tutti i tempi”, cosciente di avere “sciupato” la sua figliolanza, di avere perso la sua dignità e la verità di sé; i beni perduti vengono restituiti dal Padre al di là di ogni giustizia in un abbraccio amoroso.
“Nella parabola del figlio prodigo non è usato neanche una sola volta il termine giustizia, così come nel testo originale, non è usato quello di misericordia; tuttavia il rapporto della giustizia con l’amore, che si manifesta come misericordia, viene con grande precisione inscritto nel contenuto della parabola evangelica. Diviene più palese che l’amore si trasforma in misericordia, quando occorre oltrepassare la precisa norma della giustizia: precisa e spesso troppo stretta.”
Giovanni Paolo II non si ferma ad una interpretazione dei testi biblici e a una riflessione teologica, ma presenta i risvolti sociali di questo rapporto fra amore misericordioso e giustizia.
In una società in cui l’uomo è pieno di paura e inquietudine per “il male sia fisico che morale”, che minaccia direttamente “la libertà umana, la coscienza e la religione”, la “giustizia da sola non basta” a costruire la nuova “civiltà dell’amore”; occorre permettere “a quella forza più profonda che è l’amore di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni.”
Bisognerà aspettare il 1986 per avere l’enciclica Dominum et vivificantem, una vera e propria esortazione, in vista del Giubileo del 2000, alla Chiesa occidentale, perché tenga in maggiore considerazione la terza Persona della Trinità, e al mondo, affinché accolga il dono dello Spirito Santo.
Lo Spirito Santo è un “dono di Cristo” e continua nella storia la Sua opera redentrice: “Tra lo Spirito Santo e Cristo sussiste, dunque, nell’economia della salvezza, un intimo legame, per il quale lo Spirito Santo opera nella storia dell’uomo come un altro consolatore, assicurando in maniera duratura la trasmissione e l’irradiazione della buona novella, rivelata da Gesù di Nazaret.”
La Sua effusione è vista come “nuova comunicazione salvifica di Dio”, un “nuovo inizio in rapporto al primo, originario inizio del donarsi salvifico di Dio, che si identifica con lo stesso mistero della creazione”.
Anche in questo caso il Santo Padre è lontano da ogni meditazione astratta e sottolinea con forza il bisogno che ha il mondo di accogliere l’opera dello Spirito, che agisce nella Chiesa, per riconoscere il proprio peccato e i “segni e segnali di morte”, come la corsa agli armamenti nucleari, l’indifferenza di fronte alla povertà, il mancato rispetto della vita, il terrorismo; per accettare il bisogno di redenzione e costruire una società più giusta.
L’enciclica, la più lunga e articolata meditazione Papale sullo Spirito Santo, assunse anche un grande significato ecumenico verso le chiese orientali, per la grande attenzione dedicata dalla teologia orientale al tema dello Spirito, e in quanto è lo Spirito Santo che “indica le vie che portano all’unione dei cristiani”, ed è anzi “la fonte suprema di questa unità”. (Agenzia Fides – SEGUE)


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GLI INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II (11)
Gli stati di vita nella Chiesa (prima parte)
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Giovanni Paolo II a partire dal 1987 convocò tre assemblee ordinarie del Sinodo dei vescovi per mettere a tema le implicazione della riflessione ecclesiologica del Vaticano II, incentrata sul concetto di “communio”, riguardo i tre stati di vita del cristiano, laicato, sacerdozio e vita consacrata, e per richiamare alla comune vocazione alla santità cui sono chiamati tutti i battezzati.
Il Sinodo sui laici si svolse dal 1 al 30 ottobre 1987, vide la partecipazione di sessanta uditori laici, e portò alla pubblicazione, il 30 dicembre 1988, della esortazione apostolica Christifideles laici, che raccoglieva le conclusioni dei lavori sinodali.
Ogni cristiano con il battesimo è chiamato ad una vita di santità, e per i laici la vocazione alla santità è “intimamente connessa con la missione”. La responsabilità missionaria dei laici si realizza nel mondo, continuano nel mondo l’opera redentrice di Cristo; la santificazione del mondo, inteso come società, cultura, lavoro è “l’ambito e il mezzo della vocazione cristiana dei fedeli laici”.
Giovanni Paolo II sottolinea sia il pericolo del clericalismo, che riduce la missione dei laici a una brutta copia di quella del clero, negandone la specificità, sia la tentazione che il laicato viva il suo “essere Chiesa” solo durante le celebrazioni della domenica mattina e non in ogni momento e luogo della loro vita, come dimensione, che, in forza del battesimo, dà forma a tutta l’esistenza.
I laici, nella prospettiva di Giovanni Paolo II, sono dunque parte integrante della Chiesa e vivono la missione e la comune vocazione alla santità secondo una specifica modalità.
Sempre sul tema del laicato nella Familiaris consortio, l’esortazione apostolica datata 22 novembre 1981 e frutto del Sinodo dei vescovi che si tenne a Roma nell’autunno del 1980, sul tema “la famiglia cristiana”, il Papa presenta i fondamenti teologici e sacramentali del matrimonio e della famiglia, definita “uno dei beni più preziosi dell’umanità”. Il matrimonio è descritto come espressione dell’amore intratritrinitario di Dio; largo spazio nel documento è anche dedicato ai compiti delle famiglie cristiane all’interno della società contemporanea.
Il Sinodo dei vescovi sulla formazione dei sacerdoti si tenne da 1 al 28 ottobre 1990 e fu completato il 25 marzo 1992 con la pubblicazione dell’esortazione apostolica postsinodale Pastores dabo vobis.
La figura del sacerdote e della sua missione all’interno della Chiesa trova la sua fonte e origine nella persona e missione di Gesù Cristo: “I presbiteri sono, nella Chiesa e per la Chiesa, una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo Capo e Pastore, ne proclamano autorevolmente la parola, ne ripetono i gesti di perdono e di offerta della salvezza, soprattutto col Battesimo, la Penitenza e l’Eucarestia, ne esercitano l’amorevole sollecitudine, fino al dono totale di sé per il gregge, che raccolgono nell’unità e conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito. In una parola, i presbiteri esistono ed agiscono per l’annuncio del Vangelo al mondo e per l’edificazione della Chiesa in nome di Cristo Capo e Pastore.”
Riguardo la formazione al sacerdozio si afferma che questa trova il suo fondamento in una piena formazione umana; per essere sacerdoti occorre in primo luogo essere pienamente uomini, maturi secondo tutte le diverse dimensioni della persona. (Agenzia Fides – SEGUE)


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GLI INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II (12)
Gli stati di vita nella Chiesa (seconda parte)
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Si sottolinea l’importanza di una approfondita formazione culturale in filosofia e teologia, per rendere il Vangelo “credibile di fronte alle legittime esigenze della ragione umana”, all’interno di un mondo che, in molti paesi, ha raggiunto un alto livello di istruzione. L’immagine di seminario proposta da Giovanni Paolo II è quella di una “comunità educativa in cammino”, la “continuazione nella Chiesa della comunità apostolica stretta intorno a Gesù”, che prima di mandare i suoi a predicare e guarire li vuole vicini a sé, li invita a “stare con lui”.
La riflessione sul sacerdozio è completata dalla lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, pubblicata il 29 maggio 1994; con questa lettera Giovanni Paolo II, riprendendo la dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede Inter insigniores dell’ottobre 1976, affermava in modo chiaro e definitivo l’impossibilità del sacerdozio femminile.
L’esortazione postsinodale Vita Consecrata del 25 marzo 1996, conclude e completa invece i lavori del Sinodo dei vescovi dell’ottobre 1995 dedicato al tema “la vita consacrata e la sua funzione nella Chiesa e nel mondo”. Il documento non si sofferma sulle problematiche che investivano gli ordini religiosi, in particolare la crisi vocazionale in Europa e nell’America settentrionale, che avevano caratterizzato invece i lavori dell’assemblea, ma ribadisce con forza la natura e l’essenza della vita consacrata.
La vita religiosa, il cui valore è sempre stato riconosciuto dalla Chiesa, è definita “cuore stesso della Chiesa” e “dono di Dio Padre alla sua Chiesa per mezzo dello Spirito”.
La vita spirituale degli uomini e delle donne che consacrano la loro vita a Dio e al Suo servizio trova la sua fonte nell’ “amore per la bellezza divina”; sono persone che attraverso il proprio ritiro dal mondo dedicano la loro vita alla contemplazione e alla proclamazione della bellezza divina. L’immagine testamentaria, usata dal Santo Padre, è quella della trasfigurazione sul monte Tabor, nella quale Pietro, Giacomo e Giovanni contemplano il volto radioso e trasfigurato di Cristo.
I voti acquistano particolare significato di testimonianza nel mondo contemporaneo: il voto di obbedienza mostra, contro tutta la cultura dominante, come libertà ed obbedienza si completino a vicenda; quello di povertà nega l’odierna “idolatria del Creato”; il voto di castità infine sfida l’edonismo e testimonia la “potenza dell’amore di Dio nella fragilità della condizione umana”, in quanto “la persona consacrata attesta che quanto è creduto impossibile dai più diventa, con la grazia del Signore Gesù, possibile e autenticamente liberante.”
Ricca è anche la riflessione di Giovanni Paolo II sulla figura e la missione del vescovo; possiamo, a questo proposito, ricordare la lettera apostolica Apostolos tuos del luglio 1988, che definiva i limiti dell’autorità delle conferenze episcopali, un’innovazione introdotta con il Concilio, e soprattutto il Sinodo ordinario dei vescovi dell’ottobre 2001 sul tema “il vescovo: servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo”, che ebbe come documento conclusivo l’esortazione apostolica Pastores gregis, pubblicata il 16 ottobre 2003. (Agenzia Fides – SEGUE)


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GLI INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II (13)
Catechesi e vita sacramentale
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Giovanni Paolo II firma la sua prima esortazione apostolica Catechesi tradendae, il giorno del primo anniversario della sua elezione al pontificato, il 16 ottobre 1979. La catechesi, uno dei fondamentali doveri” della Chiesa” ed “esperienza antica” quanto la Chiesa stessa, nasce dal volere di Gesù Cristo, come sua ultima consegna agli apostoli, prima di salire al Padre. Gesù Cristo, nostro “unico maestro” è non solo origine della catechesi, ma anche suo contenuto: “Si vuole sottolineare, innanzitutto, che al centro stesso della catechesi noi troviamo essenzialmente una persona: quella di Gesù di Nazareth, …. L’oggetto essenziale e primordiale della catechesi è- per usare un’espressione cara a S.Paolo, come pure alla teologia contemporanea- il mistero del Cristo. Catechizzare è, in un certo modo, condurre qualcuno a scrutare questo mistero in tutte le sue dimensioni: …. È, dunque, svelare nella persona di Cristo l’intero disegno eterno di Dio, che in essa si compie. È cercare di comprendere il significato dei gesti e delle parole di Cristo, dei segni da Lui operati, poiché essi ad un tempo nascondono e rivelano il suo mistero. In questo senso, lo scopo definitivo della catechesi è di mettere qualcuno non solo in contatto, ma in comunione, in intimità con Gesù Cristo: Egli solo può condurre all’amore del Padre nello Spirito e può farci partecipare alla vita della Santa Trinità.”
Ritroviamo un forte accento cristologico anche nella lettera apostolica Dominicae cena del febbraio 1980 sul “mistero e culto dell’eucarestia”, che nella Redemptor hominis era stata definita il “centro e vertice della vita sacramentale”; il culto eucaristico, che “ci rende Cristo sacralmente presente”, è visto e meditato in questo documento in stretta relazione con la vita del sacredoti e della Chiesa. Al sacramento dell’eucarestia è anche dedicata l’ultima enciclica di Giovanni Paolo II, Ecclesia de eucharistia, del 17 aprile 2003; inizia con queste parole: “La Chiesa vive dell’eucarestia. Questa verità non esprime soltanto un’esperienza quotidiana di fede, ma racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa.”
Nell’enciclica si trovano importanti considerazioni sul rapporto fra eucarestia e problematica ecumenica, con l’affermazione della necessità della piena comunione “nei vincoli della professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico” per la concelebrazione, e sul decoro e la dignità della celebrazione eucaristica.
Nell’ottobre del 1983 si svolse il Sinodo dei vescovi che aveva come tema “la riconciliazione e penitenza nella missione della Chiesa”; del dicembre del 1984 è l’esortazione apostolica Reconciliatio et Paenitentia, che raccoglie le conclusioni del Sinodo. Intanto però Giovanni Paolo II, nel dicembre del 1983, aveva dato personalmente una testimonianza di riconciliazione facendo visita in carcere ad Mehmet Alì Agca, l’uomo che gli aveva sparato il 13 maggio 1981 in Piazza S.Pietro.
Ponendosi in contrapposizione rispetto ad una visione esclusivamente positiva della natura umana, il documento afferma che un vero umanesimo deve riconoscere che il peccato è “parte integrante della verità sull’uomo”, in quanto la persona è libera e compie atti morali; la riconciliazione inizia con la croce di Cristo e sua espressione è la confessione individuale, che, contro la pratica sempre più diffusa delle “confessioni e assoluzioni generali”, è definita “diritto inviolabile e inalienabile”. (Agenzia Fides – SEGUE)


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GLI INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II (14)
La missione (prima parte)
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Con la lettera apostolica Egregiae virtutis, del 31 dicembre 1980, Giovanni Paolo II aveva proclamato compatroni di Europa Cirillo e Metodio, i due fratelli di Tessalonica che nell’IX secolo, con una missione approvata sia dal vescovo di Roma, sia dal patriarca di Costantinopoli, evangelizzarono la Moravia, dando inizio alla conversione dei popoli slavi. Con questa lettera il Papa proponeva la visione di un’Europa cristiana che travalicava la “cortina di ferro” e comprendeva gli stessi paesi slavi dell’est comunista. Il 2 giugno 1985 una intera epistola enciclica è dedicata ai due missionari; la Slavorum apostoli, che affronta il tema della cattolicità della Chiesa, della problematica missionaria dell’inculturazione e del rapporto fra cultura e Vangelo.
Partendo dal metodo missionario di Cirillo e Metodio, che usarono la lingua natia, slava, nella liturgia e non il latino, inventando, per questo l’alfabeto cirillico, Giovanni Paolo II sottolinea come la Chiesa di Cristo sia cattolica proprio in quanto capace di valorizzare la cultura dei diversi popoli e “completarla con la luce della rivelazione”: “L’evangelo non porta all’impoverimento o allo spegnimento di ciò che ogni uomo, popolo e nazione, ogni cultura durante la storia riconoscono e attuano come bene, verità e bellezza. Piuttosto, esso spinge ad assimilare e a sviluppare tutti questi valori: a viverli con magnanimità e gioia e completarli con la misteriosa e esaltante luce della Rivelazione.”
La Slavorum apostoli assumeva un forte significato ecumenico verso la Chiesa orientale e politico di critica verso i regimi comunisti –solo il 19 ottobre 1984 era stato assassinato in Polonia padre Jerzy Popieluszko- in quanto, con la celebrazione della conversione dei popoli Slavi, ricordava le comuni radici cristiane dell’Europa e la sua fondamentale unità culturale. (Agenzia Fides – SEGUE)


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GLI INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II (15)
La missione (seconda parte)
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – All’inizio del 1988 presso la Pontificia Università Urbaniana si tenne un congresso internazionale dal titolo “La salvezza oggi”, durante il quale, confrontandosi con un clima culturale e intellettuale che si andava affermando all’interno della Chiesa cattolica, che, partendo da una falsa interpretazione del Concilio Vaticano II, perdeva di vista la vera natura della missione cristiana, il cardinale Jozef Tomko, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, si poneva le seguenti domande: che senso aveva pregare Gesù Cristo se egli non era il Redentore del mondo, la salvezza degli uomini? Perché dare la propria vita per l’annuncio del Vangelo, se questo era solo una delle molteplici forme assunte dalla rivelazione divina? Come instaurare un vero dialogo con le altre religioni, se i cristiani non erano certi della loro stessa fede? Cosa serviva la Chiesa se l’evangelizzazione era ridotta a promozione della giustizia sociale?
In questo quadro e per rispondere a tali domande nasce la Redemptoris missio, la grande enciclica sulla “permanente validità del mandato missionario” della Chiesa, cui Giovanni Paolo II appose la firma il 7 dicembre 1990.
La Chiesa è “missionaria per sua natura, poiché il mandato di Cristo non è qualcosa di contingente e esteriore, ma raggiunge il cuore stesso della Chiesa”. Compito della Chiesa è dirigere lo sguardo, la coscienza e l’esperienza di tutta l’umanità verso il mistero di Cristo. Lui è l’unico salvatore e non è possibile “introdurre una qualsiasi separazione tra il Verbo e Gesù Cristo”, in modo tale che il secondo appaia una manifestazione fra tante della Parola di Dio: “Gesù è il Verbo incarnato, persona una e indivisibile. Non si può separare Gesù da Cristo, né parlare di un Gesù della storia, che sarebbe diverso dal Cristo della fede. La Chiesa conosce e confessa Gesù come il Cristo, il Figlio del Dio vivente: Cristo non è altro che Gesù di Nazaret, e questi è il Verbo di Dio fatto uomo per la salvezza di tutti.”
La salvezza, cui tutti sono chiamati, è solo in Cristo, ma Giovanni Paolo II afferma, seguendo l’insegnamento del Vaticano II, che coloro che “non hanno la possibilità di conoscere o di accettare la rivelazione del Vangelo, di entrare nella Chiesa” possono accedere alla salvezza “in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la Chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale. Questa grazia proviene da Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito Santo.”
La missione della Chiesa si rivolge all’uomo nel pieno rispetto della sua libertà: “La Chiesa propone, non impone nulla: rispetta le persone e le culture, e si ferma davanti al sacrario della coscienza.”
L’inculturazione, la traduzione dei valori cristiani nel linguaggio di una diversa cultura, è processo lungo, faticoso, ma necessario, che trova il suo fondamento nel metodo dell’incarnazione scelto da Dio; deve rispettare due principi: “la compatibilità con l’ evangelo e la comunione con la Chiesa universale. Certo la giustizia sociale è un fine della missione ecclesiale, ma deve essere perseguito attraverso l’educazione e la formazione delle coscienze delle persone per mezzo dell’annuncio di Cristo, “risvegliando le coscienze con l’evangelo”, e non operando “direttamente sul piano economico o tecnico o politico” o dando “un contributo materiale allo sviluppo”.
Nel documento il Papa indica tre grandi campi di missione “ad gentes” ancora bisognosi di essere dissodati: zone in Africa, America latina, Oceania, e in particolare in Asia, ancora non evangelizzate; i “mondi e i fenomeni sociali nuovi”, come le immense megalopoli nei paesi in via di sviluppo e i giovani, i profughi, gli immigrati nelle società tradizionalmente cristiane; i “moderni areopaghi”, identificati nei mass media, le associazioni per i diritti umani, la tutela dell’infanzia e della donna, il movimento ecologista , il mondo della scienza e le istituzioni giuridiche e politiche internazionali.
Giovanni Paolo II durante il suo pontificato non formulò solamente una dottrina della missione “ad gentes”, ma si impegnò in prima persona, come testimoniano i suoi numerosi viaggi apostolici in terre lontane e le “Assemblee speciali del Sinodo dei vescovi” per l’Africa, l’Asia, l’Oceania e per il Libano, terra martoriata dalla guerra. (Agenzia Fides – SEGUE)



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GLI INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II (16)
Ecumenismo
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Dopo anni di attività e dialogo inter-religioso, culminati nell’incontro di preghiera per la pace di Assisi del 1986, Giovanni Paolo II dedica all’impegno ecumenico la sua dodicesima enciclica, Ut unum sint, che reca la data del 25 maggio 1995. Il documento si apre con l’appello “siano una sola cosa”, che “il Concilio Vaticano II ha riproposto con così appassionato impegno” e si presenta come una rilettura dei documenti conciliari su questo tema.
Il cammino ecumenico verso l’unità delle chiese cristiane è concepito come cammino di “conversione del cuore”, la cui “anima” è la preghiera; non c’è vero ecumenismo senza conversione del cuore. Il vero dialogo ecumenico “ha il carattere di una comune ricerca della verità, in particolare sulla Chiesa”; nasce dalla preghiera ed ha questa come suo frutto, adempie “contemporaneamente alla funzione di un esame di coscienza.”
L’unità, che si può realizzare solo “nella comune adesione all’integrità del contenuto della fede rivelata”, esiste già come dono fatto da Cristo alla sua Chiesa; l’impegno ecumenico consiste nell’esprimere tale unità teologicamente e attraverso una adeguata forma ecclesiastica nella legittima diversità.
Giovanni Paolo II rivolgeva grande attenzione alla Chiesa ortodosse d’oriente, definite “chiese sorelle”, unite a Roma nella comunione fondata sul battesimo, la successione apostolica, il sacerdozio e l’eucarestia. Il modello per vivere tale comunione viene individuato nell’esperienza di unità del primo millennio: “In questa prospettiva, la Chiesa cattolica null’altro vuole se non la piena comunione tra Oriente e Occidente. In ciò si ispira all’esperienza del primo millennio”
Oriente e occidente sono portatori di tradizioni, culture, patrimoni spirituali, che seppure diversi, provengono da una stessa origine e si completano a vicenda; sono “i due polmoni” con i quali la Chiesa di Cristo deve riprendere a respirare. Vengono qui ripresi i temi della Orientale lumen, la lettera apostolica pubblicata solo tre settimane prima, dove si rendeva omaggio all’eredità culturale e liturgica della cristianità orientale, patrimonio della Chiesa intera.
Nella Ut unum sint sono anche ricordati i risultati conseguito a partire dal Vaticano II dal dialogo con le chiese riformate, con le quali comunque rimanevano aperti importanti questioni teologiche: il rapporto fra S.Scrittura e tradizione, la natura dell’eucarestia, il ministero sacerdotale, l’autorità dottrinale della Chiesa, Maria come immagine della Chiesa.
Troviamo una nuova grande apertura nell’invito rivolto dal Papa ai cristiani ortodossi e riformati perché lo aiutassero nella riflessione su una nuova modalità di esercizio del primato di Pietro, definito “perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità”, che nel corso della storia per gli errori e i peccati degli uomini, per i quali Giovanni Paolo II, seguendo Paolo VI, implora “perdono” è divenuto motivo e simbolo di divisione. “Quale vescovo di Roma so bene, e lo ho riaffermato nella presente lettera enciclica, che la comunione piena e visibile di tutte le comunità, nelle quali in virtù della fedeltà di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio ardente di Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l’aspirazione ecumenica della maggior parte delle comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova.” (Agenzia Fides – SEGUE)


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GLI INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II (17)
Maria, Madre della Chiesa (1)
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – A testimonianza della grande devozione di Giovanni Paolo II per la figura della Madre di Gesù, tipica di tutto il popolo polacco raccolto intorno al santuario di Czestochowa, la Redemptor hominis si concludeva proprio con il pensiero rivolto a Maria, cui si deve rivolgere la preghiera dell’uomo per essere introdotto nel mistero di Gesù Cristo.
Nel 1987 il Papa dedicherà a Maria la sua sesta enciclica, Redemptoris Mater. Nell’avvicinarsi dell’anno 2000 il Papa sente il bisogno di rivolgere lo sguardo verso Maria Madre di Gesù e Madre della Chiesa, che occupa un “preciso posto nel piano della salvezza”, in quanto unisce i due grandi momenti dell’azione dello Spirito Santo nella storia salvifica, il concepimento di Gesù e la discesa dello Spirito durante la Pentecoste. La Chiesa deve guardare a sua Madre, che è “al centro della Chiesa in cammino”, per la sua conversione e unità, in vista di fine millennio; qui trova la sua ragione ultima la proclamazione dell’anno mariano, iniziato proprio nel giugno 1987.
Giovanni Paolo II affronta anche il tema dell’importanza di Maria per le donne; la superiorità della “Chiesa mariana” del discepolato rispetto alla “Chiesa petrina” del ministero sottolinea la fondamentale uguaglianza di tutti i cristiani nel battesimo, fra uomini e donne, laici e religiosi, che precede qualsiasi distinzione di funzione; inoltre Maria è un modello “che getta luce sulla donna in quanto tale”, che “che trova in lei il segreto per vivere degnamente la sua femminilità e attuare la sua vera promozione”.
Questa tematica è ripresa nella Mulieris dignitatem, la lettera apostolica del 15 agosto 1988, che chiude l’anno mariano; è una meditazione fondata teologicamente e biblicamente sulla dignità della donna; il mancato rispetto della donna e la distorsione del rapporto uomo-donna nascono, non principalmente da un fattore culturale, ma dal peccato, che rompe la comunione di persone voluta da Dio e fondamento dell’uguaglianza di uomini e donne, fatti a Sua immagine. Uguaglianza, che comunque secondo il Papa, non elimina la differenza vocazionale. La vocazione femminile vive di due “dimensioni particolari nella realizzazione della personalità femminile”: maternità e verginità, che trovano una sintesi nella figura di Maria.
Quattro anni più tardi con la lettera apostolica del 16 ottobre 2002, Rosarium virginis Mariae, il Santo Padre introdurrà i “misteri luminosi” all’interno della preghiera del rosario alla Santa Vergine, cambiando una tradizione secolare e affermando un più stretto legame fra culto di Maria e centralità di Gesù Cristo. (Agenzia Fides – SEGUE)


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GLI INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II (18)
La Chiesa in cammino verso il Terzo Millennio
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Il 14 novembre 1994 viene pubblicata la lettera apostolica Terzo millennio adveniente, sul grande Giubileo del 2000, un tema definito “chiave ermeneutica” dell’intero pontificato e da sempre presente nel magistero di Giovanni Paolo II fin dalla prima sua enciclica Redemptor hominis, dove il periodo che avrebbe condotto al 2000 era definito “nuovo avvento”.
Il grande significato dell’anno 2000 si fonda nel fatto di essere il bimillenario dell’incarnazione, il momento in cui Dio ha risposto alla ricerca del divino da parte dell’uomo, mandando suo Figlio, per permettere agli uomini di “vivere della pienezza della vita in Dio”. Cristo ha rivelato l’uomo a se stesso, la verità dell’essere umano; per questo l’anno 2000 segna anche il bimillenario della nascita di un nuovo umanesimo.
Con l’incarnazione, scrive il Santo Padre, “l’eternità è entrata nel tempo”, è stata rivelata la verità del tempo, il Figlio di Dio, entrando nel mondo, ha elevato il tempo, facendolo entrare nella vita stessa di Dio; nasce dunque il dovere di santificare il tempo e il Giubileo trae proprio da questo concetto la sua origine. La preparazione per la fine del millennio è vista come cammino di conversione e preghiera per la Chiesa, in vista di una nuova primavera di vita cristiana.
Nel gennaio del 2001, mentre si chiudeva il grande Giubileo, Giovanni Paolo II firmava la lettera apostolica Novo millennio ineunte, in cui, per così dire, faceva un bilancio dell’anno giubilare e delineava il compito della Chiesa per il futuro. L’eredità del Giubileo era vista nell’incontro con Cristo e nella contemplazione del Suo volto e il compito dei cristiani nel comunicare Cristo agli uomini, che “chiedono ai credenti di oggi non solo di parlare di Cristo, ma in un certo senso, di farlo loro vedere.” (Agenzia Fides – FINE)