Il percorso della santità in quattrocento tappe
Una mostra a Milano illustra il rapporto fra i due grandi. Convertito e battezzato nel 387, il futuro padre della Chiesa cambierà i rapporti fra potere religioso e politico
- Nella notte di Pasqua del 387 dopo Cristo, a Milano, il vescovo Ambrogio battezza Aurelio Agostino, l’intellettuale originario di Tagaste (l’odierna Souk Arhas in Algeria), che diventerà vescovo di Ippona e che influenzerà la cultura europea con il suo pensiero, come del resto l’opera di Ambrogio darà un’impronta ai rapporti Chiesa-potere politico nel segno della reciproca autonomia. Quella solenne liturgia celebrata nella speranza che Cristo risorga, che la morte sia vinta e si compia la promessa di rinascita, è evento sul crinale tra due epoche. Il mondo antico collassa, l’Impero si sgretola tra congiure di palazzo, guerre che prosciugano le casse statali, inflazione, carestie, disastri economici, invasioni, spinte secessioniste. E il nuovo, che pur c’è, annunciato da scossoni e spinte, da trasformazioni concrete anche se difficili da leggere, stenta ad affermarsi.
Il 387, sullo sfondo degli accadimenti e dell’insieme di fatti che segnerà il corso successivo, è il tema di una grande mostra che si sta allestendo a Milano presso il Museo Diocesano e il Palazzo delle Stelline: 387 d.c. – Ambrogio e Agostino Le sorgenti dell’Europa . La rassegna, che verrà inaugurata il 7 dicembre prossimo e chiuderà il 2 maggio del 2004, ospiterà oltre 400 pezzi provenienti dalle più prestigiose raccolte del mondo e oggetti che mai erano stati prestati da Paesi oggi islamici ma di antica tradizione cristiana.
Si ammireranno avori, gemme, vetri dorati, monete, materiali fittili (come una collezione di lucerne africane, appartenente al Civico museo archeologico di Milano, con scene bibliche ed evangeliche, vero catechismo «a fumetti» ante litteram, esposta per la prima volta), manoscritti del ‘300 e ‘400. Un insieme che dà l’idea della forza, della potenzialità fondativa d’un’epoca di transizione ritenuta ingiustamente oscura e piena di rovine.
Senza forzature sulla storia, è un fatto che imparare a conoscere il passato in componenti trascurate o giudicate diversamente aiuta a comprendere il presente, nella sua memoria, nei processi che l’hanno preparato, nelle sue tensioni. Nell’ultimo scorcio del secolo IV, ribolle il crogiolo in cui verrà a costituirsi un’identità occidentale composita; lì emergerà il diffondersi anche conflittuale di un comune sentire religioso, culturale, civile, economico; lì finirà per configurarsi una koiné europea, base comune dal bacino del Mediterraneo al Baltico, dall’Atlantico agli Urali.
Milano, in quei tempi, condivideva il ruolo di capitale con Treviri (fra Maastricht e Strasburgo), Sirmio (nei Balcani, alla confluenza tra Sava e Danubio, presso quella che oggi è Belgrado), Costantinopoli; per la mostra una sede obbligata, dunque, ricca di suggestioni, quasi un laboratorio nello sforzo di risalire alle origini e di capire.
Crocevia per la collocazione geografica (a ridosso dei passi alpini) e la cultura naturalmente di scambio, comunicazione e convivenza tra etnie, mentalità, tradizioni, Milano è il campo dove si fronteggiano le forze prorompenti che scuotono il passaggio dal tardo antico al Medioevo.
La città è pressata fra attese di cambiamento ora di tipo messianico, ora frutto di necessità vista la crisi e insicurezze diffuse. Ha preso il posto di Roma, è divenuta centro di riferimento e insieme piattaforma di transito, vitale e brulicante, sede della corte e quindi del potere e della burocrazia che al ruolo compete e, nel contempo, terra di campagne e di attività produttive, quartiere di eserciti e approdo di nuovi popoli; è abitata da imprenditori e mercanti, salariati e mendicanti, patrizi ricchi di latifondi e nuovi filosofi, maestri d’armi e poeti, ministri di culti consueti e adepti di nuove religioni giunte dall’Oriente vicino e da quello più lontano, raffinati artigiani dell’Africa proconsolare e della Siria; è percorsa da usura e corruzione, tensioni sociali e violenza, ma in essa non si esita a invocare giustizia, anche per bocca e azione decisa del vescovo in difesa dei deboli. È fatto privato e circoscritto, eppure contiene gli aspetti simbolici dell’accadimento epocale il battesimo celebrato nell’edificio i cui resti, ben restaurati, sono oggi visitabili sotto il sagrato del Duomo di Milano. Nel rito e nella storia di fronte stanno due uomini, che rappresentano due età, due mondi, due culture. Ambrogio nel 387 ha una cinquantina d’anni, è di famiglia patrizia originaria di Roma con ascendenze greche (l’«ambrosia», il cibo degli dei dell’Olimpo), nasce a Treviri dove il padre ricopriva un alto incarico al seguito dell’imperatore, si è formato a Roma nella casa avita fra il Monte Capitolino e l’Isola Tiberina prendendo confidenza con i classici latini e greci e il cristianesimo che fiorisce soprattutto grazie all’opera delle donne dell’aristocrazia; dopo cinque anni di esperienza nella magistratura a Sirmio, viene eletto consularis, governatore, responsabile dell’ordine pubblico per buona parte del Nord Italia con sede a Milano. E qui, nell’autunno del 374, è sorprendentemente nominato vescovo a furor di popolo, certo per la sua pietas, ma anche per le doti morali di amministratore della giustizia, di «ponte» tra esigenze opposte, tra istituzioni e regole ereditate e novità che irrompono sulla scena e che esigono atti di governo.
L’altro, Agostino, ha vent’anni meno, è di padre pagano e madre cristiana, passa per diverse esperienze filosofiche e religiose; consapevole dei suoi mezzi intellettuali lascia l’Africa portando con sé una compagna e il figlio avuto da lei, Adeodato; cerca affermazione a Roma, è brillante, capace, affermato, tanto che il praefectus urbis gli procura un posto di insegnante a Milano con l’intenzione di contrastare la fama acquisita da Ambrogio, in nome della cultura dell’antica Roma «tradita» dal vescovo, che su quel solido ceppo ha innestato la giovane, ancora fragile pianta del cristianesimo. La conoscenza di Ambrogio da parte di Agostino ha un esito diverso dalle attese. Il secondo resta affascinato, ha un crisi intellettuale e personale che gli procura sofferenze e disturbi anche fisici, sino alla conversione e alla richiesta del battesimo. E dall’incontro dei due si sprigiona un’energia inaspettata, una sorta di forza «costituente».
La mostra ricostruisce i percorsi ortogonali che si incrociano nella realtà e vengono amplificati dal simbolo potente del fonte battesimale, il luogo in cui l’uomo vecchio muore e nasce il nuovo, viene rigenerata l’Alleanza tra Dio e creatura, cielo e terra, trascendenza e storia. Ecco documentati da oggetti, itinerari, tavole cronologiche, carte geografiche il Nord, la Germania di Ambrogio emblema della romanità ormai diffusa dalla Britannia a Oriente; il Sud, l’Africa di Agostino, terra di colonizzazione, in realtà fonte di arricchimento umano, culturale, religioso, artistico; l’Est, le turbolente regioni Illiriche, gli odierni Balcani (da quelle parti, ad Adrianopoli, nel 378 i Visigoti avevano distrutto l’esercito romano e ucciso l’imperatore Valente), sino a Costantinopoli, al mondo greco ben conosciuto da Ambrogio; l’Ovest, con Alemanni, Burgundi, Franchi, Svevi, Vandali che si stanzieranno in Gallia e nella penisola iberica, da dove i Vandali scenderanno poi nella patria di Agostino, finendo per far coincidere nel linguaggio corrente il loro nome con l’appellativo di «distruttori», in realtà popolo con gli altri «barbari» di straordinario interesse per le future vicende europee.
Accade che la mostra si svolga nel mezzo delle polemiche circa la citazione delle radici giudaico-cristiane nella Costituzione europea. I promotori incominciarono a lavorare al progetto più di tre anni fa e nella fase di impostazione del lavoro finirono per preferire il termine «sorgenti» a quello di «radici», pur preso in esame. Sembrò che la parola «sorgente» esprimesse in modo efficace contenuti di vitalità, immediatezza e durata, fecondità e potenza generativa cui attingere.
La scelta non è questione solo lessicale, ma di un criterio da offrire a chi si interroga culturalmente, scruta nel presente i segni del passato con lo sguardo rivolto al futuro. Sull’elemento sorgivo punta l’attenzione la Mostra, non su una rivendicazione di acquisizioni e meriti passati: se Ambrogio e Agostino, il loro incontro, meritano di essere ricordati per quello che possono continuare a dire, oltre a quanto pur di fondamentale hanno offerto nel 387 e dintorni.
Esposti avori, gemme, vetri dorati, monete e manoscritti di antica tradizione | |
Marco Garzonio |