Francia: il piccolo uomo dell’Unione Europea

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 Emmanuel Macron, il coniglio dal cilindro di Bruxelles

 Come da pronostico il 39enne Emmanuel Macron è il nuovo presidente della Francia con il 66,06% dei voti, contro il 33,94% ottenuti dalla sfidante Marine Le Pen. Il ballottaggio per l’Eliseo, che diversi media internazionali avevano dipinto come l’impresentabile scontro tra populismo e tecnocrazia, è stato dunque vinto dal candidato del neonato movimento En Marche!, espressione degli interessi della finanza e dei “poteri forti” di Bruxelles.

Il neo presidente, non appena eletto, ha dato appuntamento per i ringraziamenti ai propri sostenitori all’ombra dell’inquietante piramide del Louvre, un luogo scelto non a caso per rimarcare una netta discontinuità con le piazze storiche della sinistra (Bastiglia) e della destra (La Concorde) francese.

Altrettanto simbolica, e senza precedenti, è stata la decisione del nuovo inquilino dell’Eliseo di rendere omaggio all’investitura ufficiale ricevuta dai vertici dell’Unione Europea, facendo intonare l’Inno alla Gioia prima dell’inno nazionale della Marsigliese.

La scelta di festeggiare la propria vittoria sulle note ufficiali dell’Unione Europea è stato un evidente e beffardo schiaffo agli euroscettici appena sconfitti, con il quale Macron ha voluto sottolineare, una volta di più, quella che sarà la principale linea d’azione del proprio operato politico. Nel suo discorso da vincitore il leader di En Marche! si è detto pronto «a scrivere una nuova pagina della nostra storia di fiducia e speranza», con l’obiettivo di ricostruire «il legame tra l’Europa e i popoli che la compongono, tra l’Europa e i suoi cittadini».

La vittoria di Macron è dunque una vitale boccata di ossigeno per la malridotta Unione Europea che tira un gran sospiro di sollievo di fronte alla netta affermazione del proprio candidato in pectore. Il primo a congratularsi è stato il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, che ha affidato a Twitter la propria soddisfazione, scrivendo: «Felice che i francesi abbiano scelto un futuro europeo. Insieme per un’Europa più forte e più giusta». Alle parole di Juncker hanno fatto eco quelle del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk che si è, a sua volta, congratulato con il popolo francese: «(…) per aver scelto la Libertà, l’Uguaglianza e la Fraternità e per aver detto no alla tirannia delle fake news».

Alle dichiarazioni di giubilo dei vertici dell’Unione Europea hanno fatto rapidamente seguito quelle di tutti i principali leader europei tra cui quelle dello stesso presidente uscente Francois Hollande: «L’ho chiamato questa sera per felicitarmi calorosamente per la sua elezione a presidente della Repubblica. La sua ampia vittoria conferma che una grande maggioranza dei nostri concittadini ha voluto riunirsi attorno ai valori della Repubblica e marcare il suo attaccamento all’Ue e all’apertura della Francia al mondo».

Dalla Germania, la cancelliera Angela Merkel, si è espressa attraverso il suo portavoce Steffen Seiber che si è complimentato con il neo presidente francese, twittando: «Auguri di cuore a Emmanuel Macron. La sua è una vittoria per un’Europa unita». Anche dall’Italia, sono giunte le congratulazioni del premier Paolo Gentiloni che ha parlato di «una speranza che si aggira per l’Europa», a cui hanno fatto seguito quelle analoghe di Matteo Renzi, che in un tweet ha dichiarato come l’affermazione di Macron rappresenti una «straordinaria pagina di speranza per la Francia e per l’Europa».

Al di là dell’indiscutibile vittoria di Macron, un dato non trascurabile di queste elezioni presidenziali è il record negativo raggiunto in questo secondo turno dall’astensionismo che ha toccato la cifra storica del 25,3%, la più alta mai registrata per un ballottaggio dal lontano 1969. Secondo i dati diffusi dal Ministero degli Interni francese, il leader di En Marche! si è aggiudicato 20.257.167 voti, il doppio rispetto ai 10.584.646 ottenuti dalla candidata del Front National, che ha comunque conquistato un record mai conseguito prima dal proprio partito, incassando quasi 11 milioni di voti che ne fanno, come sottolineato dalla stessa Le Pen, «il primo partito d’opposizione».

Ora per il Front National, la cui prossima, già imminente sfida saranno le elezioni legislative di giugno, si prospettano grandi cambiamenti, a partire sembra dal nome stesso del partito, come reso noto dalla sua leader: «Il Front National ora deve rinnovarsi», affrontare «una trasformazione per creare una nuova forza politica che sia all’altezza delle necessità del Paese».

Sempre riguardo le statistiche di voto, è interessante riportare infine i dati di un sondaggio Ifop realizzato per il quotidiano La Croix e il settimanale Pèlerin, secondo il quale Macron, oltre che sul decisivo appoggio trasversale finalizzato a sbarrare la strada all’ “estremista” Le Pen, ha potuto contare anche sul voto cattolico. Il candidato di En Marche! avrebbe infatti ottenuto il 62% dei voti complessivi dei cattolici. Una cifra pari addirittura al 71% tra i praticanti “regolari”, ossia tra coloro che vanno regolarmente a Messa, che paradossalmente scende, fermandosi al 54% tra i cattolici praticanti ossia “occasionali”.

In ultima analisi, la conquista dell’Eliseo da parte del tecnocrate per eccellenza Emmanuel Macron, se da un lato è certamente figlia del tracollo dei tradizionali partiti politici, rimasti ai margini del ballottaggio presidenziale, dall’altro rappresenta un indubbio capolavoro politico degli oligarchi dell’Europa senza se e senza ma, che in pochissimo tempo sono stati capaci di creare da zero e presentare un candidato politicamente “vergine”, con tutte le carte in regola per far convergere su di sé il necessario consenso.

In questa prospettiva, Macron, banchiere d’affari della Rothschild e “figlio” politico dell’influente economista Jacques Attali, presentato come l’“uomo nuovo”, simbolo della discontinuità, è un presidente dell’establishment, già vecchio, uno straordinario coniglio tirato fuori dal cilindro dai maghi di Bruxelles che ora possono sfregarsi le mani avendo a capo della Francia un giovane e fedele scudiero alle loro dirette dipendenze.

(Lupo Glori per https://www.corrispondenzaromana.it/emmanuel-macron-il-coniglio-dal-cilindro-di-bruxelles/)

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Per farci diventare schiavi

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 Educazione sessuale a scuola? Inutile, lo dimostra un macrostudio

  Molto spesso i cosiddetti “programmi di educazione sessuale”, generalmente promossi da organizzazioni sovranazionali come le Nazioni Unite (oltretutto in stretta collaborazione con organizzazioni Lgbt), non sono altro che un tentativo surrettizio di formare bambini ed adolescenti non ad una educazione affettiva ma alla mera sessualità genitale, accompagnata dall’ideologia gender, alla contraccezione e, quando va male, all’interruzione di gravidanza.

Non è una fissa dei comitati in difesa della famiglia, ma lo hanno ammesso gli stessi “educatori”, lo hanno rivelato gli insegnanti, lo hanno scoperto i genitori e sono purtroppo quotidiane storie di cronaca (ecco alcuni casi di cui si è parlato in Italia a Forlì nel 2015, in Friuli Venezia Giulia nel 2015, a Massa Carrara nel 2015, a Milano nel 2016, nonché alcune immagini dei libri presentati nelle scuole ecc.)

Le famiglie possono oggi avvalersi anche di un importante macrostudio realizzato dall’organizzazione Cochrane, una rete globale di ricercatori nel campo della salute, definiti dal Canadian Medical Association Journal come «la miglior risorsa per la ricerca metodologica e per lo sviluppo della scienza della meta- epidemiologia». I ricercatori, provenienti dall’University of York, dalla Liverpool School of Tropical Medicine, dal South African Medical Research Council e dalla Stellenbosch University, hanno esaminato i dati provenienti da più di 55.000 giovani 14-16enni sottoposti a “programmi di salute sessuale e riproduttiva” provenienti dall’Africa sub-sahariana, dall’America Latina e dall’Europa, seguendoli da uno a 7 anni.

La conclusione a cui sono arrivati è che tali corsi scolastici «non hanno alcun effetto sul numero di giovani persone infette da HIV ed altre malattie sessualmente trasmissibili o la riduzione del numero di gravidanze indesiderate». E’ stato anche rilevato che soltanto quando le scuole hanno fornito incentivi per rimanere a scuola oltre l’orario standard, come la divisa scolastica gratuita o piccoli pagamenti in contanti, si è verificato un miglioramento del 22% nel tasso di malattie sessualmente trasmissibili e gravidanze indesiderate. Miglioramento che però, come detto, non si è verificato se le scuole proponevano corsi di educazione sessuale.

Il pilastro dell’attuale approccio per l’educazione sessuale non funziona e anzi, come è stato scritto nel 2007 in un importante editoriale del British Medical Journal, «contrariamente a quanto si possa pensare, invece di migliorare la salute sessuale, interventi di educazione sessuale possono peggiorare la situazione».

Per molti sarà una sorpresa, non per noi però dato che lo abbiamo segnalato in circostanze precedenti (offriamo un ulteriore studio come controprova, pubblicato sul Journal of Policy Analysis and Management nel 2006, in cui si conclude: «Gli avversari di tali programmi hanno ragione nell’osservare che l’educazione sessuale è associata con esiti negativi per la salute, ma generalmente sbagliano nell’interpretare questa relazione causale. I sostenitori di tali programmi, invece, sono generalmente corretti nel sostenere che l’educazione sessuale non incoraggia attività sessuali a rischio, ma sbagliano nell’affermare che gli investimenti in programmi scolastici di educazione sessuale producono benefici misurabili per la salute»).

Al contrario, se osserviamo la letteratura scientifica, gli unici buoni risultati si sono verificati nei casi in cui i programmi scolastici educavano al valore dell’astinenza, del custodirsi e custodire la propria sessualità, dell’attesa al completo dono di sé in una fase più matura, dedicandolo alla persona con cui si sarà deciso di condividere la vita e, per l’appunto, tutto se stessi. Studi sull’efficacia di questi programmi sono apparsi su diverse riviste scientifiche, come Review of Economics of the Household nel 2011, su Archives of Pediatrics and Adolescent Medicine nel 2010, sul Journal of Adolescent Health nel 2005, ecc. Il prof. Furio Pesci, docente di Storia della pedagogia all’Università La Sapienza di Roma, ha spiegato: «L’educazione sessuale e affettiva non è mai stata considerata – nemmeno dai sostenitori della laicità o del laicismo più accesi – come uno dei fini della scuola».

Questo quadro fornito dalla letteratura scientifica più recente sembra confermare la posizione della Chiesa, ben espressa dal presidente della CEI, card. Angelo Bagnasco: «l’educazione all’affettività e alla sessualità per la sua specificità unica, per la sua peculiarità, per la sua delicatezza, non dovrebbe far parte del quadro strutturale della scuola». Anche perché i programmi titolati «lotta all’omofobia, al bullismo, alla educazione ai valori ed al rispetto – tutti intendimenti sacrosanti – diventano il grimaldello per far passare una visione antropologica ben diversa, che va a toccare una dimensione affettiva e sessuale che è molto di più che l’italiano, il latino, il greco, le scienze e la storia perché tocca una visione delle cose, un mondo valoriale, che è troppo delicato e troppo grave».

Le alternative proposte dal card. Bagnasco sono che «su esplicita richiesta dei genitori, la scuola offra qualche momento extra curricolare, ma che non faccia parte del quadro generale del programma». Inoltre, è doveroso «che i genitori riprendano in mano, con opportuni aiuti, l’educazione affettiva dei propri figli e sarebbe la cosa migliore». Riteniamo decisamente valida sopratutto quest’ultima indicazione.

 

La redazione, per http://www.uccronline.it/2017/04/05/educazione-sessuale-a-scuola-inutile-lo-dimostra-un-macrostudio/ del 5 aprile 2017

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Scuole elementari: sesso violento spiegato ai bimbi

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 Porcospini, la violenza del sesso spiegato ai bambini

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 Da un paio d'anni a questa parte moltissimi genitori hanno avuto un brutto risveglio.
Hanno scoperto che, a scuola, i loro figli vengono sottoposti a programmi che diffondono l'ideologia omosessualista; ovviamente senza il loro consenso (informato ma anche no).
Con il pretesto di insegnare il rispetto e combattere il bullismo e le discriminazione, ai bambini viene insegnato che il mondo maschile e femminile sono solo una convenzione, per di più cattiva e pericolosa.

 Non c'è alcuna "alleanza" tra famiglia e scuola di Stato: oggi occorre che i genitori vigilino su tutto quanto viene propinato ai figli, perchè quasi mai li si informa di quel che vien fatto dentro le scuole di ogni organo e grado.


 
Mentre la VII Commissione della Camera sta esaminando il testo unificato che punta a introdurre la cosiddetta educazione di genere nelle scuole, emergono nuove segnalazioni di genitori preoccupati per i contenuti di alcuni corsi sulla sessualità, rivolti ai loro figli già a partire dalle elementari.
 
Tra questi il progetto Porcospini, promosso dalla onlus Specchio Magico (con sede in provincia di Lecco, dove sono attivi alcuni dei corsi e da dove ci arrivano le segnalazioni) e destinato ai bambini di quarta e quinta, con il fine in sé lodevole di prevenire il maltrattamento e l’abuso sui minori. Il progetto, beneficiario nel 2012 di un finanziamento del dipartimento per le pari opportunità e presentato al programma europeo Daphne III, lo scorso aprile è stato illustrato perfino alla sala “Aldo Moro” della Camera dei deputati; ha il sostegno della Soroptimist International e dei Lions Clubs e, secondo quanto riferito sul sito dai promotori, è ad oggi diffuso in 34 scuole.
 
Ma in che cosa consiste più precisamente il progetto? Come si legge nella scheda di presentazione, l’idea di Porcospini nasce sul modello descritto dal medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, Alberto Pellai (del quale il nostro quotidiano ha già parlato), nel libro “Parole non dette. Come insegnanti e genitori possono aiutare i bambini a prevenire l’abuso sessuale”.
 
Sempre nella scheda, si possono leggere alcuni dei temi generali degli incontri, come per esempio “scoprire cosa vuol dire innamorarsi, fare l’amore, concepire un bambino, la gravidanza e il parto”. Intanto, viene spontaneo chiedersi: sicuri che si tratti di contenuti idonei per bambini di 9-10 anni? Uno dei moduli successivi vuole poi orientare il bambino a “capire le differenze tra il «tocco positivo» e il «tocco negativo»”, altrimenti detto “gioco del semaforo”, come lo stesso Pellai spiegò durante un incontro nel 2014 (riferito dal settimanale triestino Vita Nuova), rispondendo alla domanda di un genitore che gli chiedeva se fosse vero che “i bambini vengono invitati a toccarsi parti specifiche del corpo, nessuna esclusa”: il bambino decide cioè se il semaforo sia rosso, giallo o verde, a seconda di chi vuole toccarlo e dove.
 
Parte del progetto è anche l’invito ai bambini a scrivere “cose belle e brutte del sesso” (alle elementari? E a quale fine?) e a tenere un diario in cui annotare le proprie impressioni sul corso. Come riporta Generazione Famiglia, ai bambini viene detto di non mostrare il diario ai genitori, ma questi possono chiedere agli educatori di prenderne visione. “Ai bambini diremo di non farvelo vedere, di lasciarlo a scuola. Naturalmente noi, se lo richiedete, ve lo daremo”. Ma se il messaggio è questo, volenti o nolenti, viene di fatto insegnato ai bambini che possono nascondere determinate cose ai genitori, primi responsabili dell’educazione dei figli.
 
Lascia perplessi anche il fatto che si invitino i bambini a fare domande su tutto ciò che può riguardare la sfera sessuale (“è accaduto che si sia parlato di pornografia”, è stato raccontato in fase di presentazione del progetto), perché si corre il rischio di intaccarne il senso del pudore, senza contare che ciascuno di loro ha un diverso livello di sviluppo.
 
Non rassicura poi constatare che nella scheda del progetto si riportino, a supporto, le matrici degli Standard per l’educazione sessuale in Europa, il noto documento presentato nel 2010 dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), un organo che a volte persegue più finalità politiche che scientifiche. Basti ricordare alcune “chicche” di quegli standard dell’Oms, che consiglia di trasmettere informazioni su “gioia e piacere nel toccare il proprio corpo, masturbazione infantile precoce” già nella fascia d’età 0-4, quando si suggerisce inoltre di aiutare i bambini ad “acquisire consapevolezza dell’identità di genere” (concetto tipico della teoria del gender, secondo cui il genere sarebbe slegato dal sesso); di informare i bambini di 6-9 anni dell’esistenza di “diversi metodi contraccettivi” e di “mettere in grado” quelli di 9-12 anni di “utilizzare preservativi e contraccettivi correttamente in futuro”. E via lungo questo solco che si commenta da sé e che non capiamo in quale modo possa tornare utile all’educazione del bambino.
 

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e si vieta anche l’obiezione di coscienza!

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  L'IRRICEVIBILE PROPOSTA DI VIETARE L'OBIEZIONE DI COSCIENZA.

IL VERO FONDAMENTO DELL'OBIEZIONE DI COSCIENZA.

 

L’editoriale parso sulla rivista Micromega del 25 febbraio di Paolo Flores d’Arcais intitolato “Aborto, abrogare l’obiezione è l’unica soluzione”, prendendo spunto dalla vicenda laziale dell’assunzione, da parte della Regione, di due medici ginecologi non-obiettori vincolati contrattualmente alla pratica delle interruzioni di gravidanza (i due neo-assunti si impegnano a praticare aborti pena il licenziamento per inadempienza contrattuale), si fa promotore d’una sostanziale modifica della legge 194 con l’abrogazione del diritto all’obiezione di coscienza ivi sancito.

Si potrebbe rispondere al direttore di Micromega in molti modi, ad esempio ricordando il rilievo costituzionale del diritto all’obiezione di coscienza, oppure, scendendo sul terreno delle sue argomentazioni, rilevando che la pratica degli aborti non è la funzione propria del medico ginecologo (che è invece la cura delle patologie afferenti l’apparato genitale femminile) e che dunque il rifiuto a praticarli da parte dei ginecologi obiettori non è assimilabile al rifiuto di un ipotetico militare di carriera (ipotesi svolta come esempio da Flores d’Arcais) che rinnegasse l’uso delle armi, dove l’uso delle armi è il proprio del militare.

Piuttosto i medici obiettori sono assimilabili a quegli insegnanti che, innanzi alla pretesa d’un regime di trasformarli in indottrinatori della gioventù all’ideologia ufficiale, volessero continuare a insegnare lettere, storia, matematica, geografia, etc. ovvero ad essere insegnanti e non diventare propagatori dell’ideologia di partito. Oppure a quei medici che, di fronte a improprie richieste dello Stato (es. distinguere i pazienti per razza, applicare protocolli eugenetici e non di cura,  ad esempio, finalizzati alla eliminazione di certi soggetti) volessero continuare ad essere medici e semplicemente medici, ovvero professionisti dediti alla cura del malato.

La professione del medico ginecologo consta nella cura delle malattie di un determinato apparato del corpo umano femminile e, dal momento che la gravidanza non è una malattia e l’aborto non è una cura, non nella pratica di ivg. La dignità della professione medica, così come la sua deontologia, anche ove non si volesse considerare la natura in se stessa criminale dell’aborto, imporrebbero ai medici il rifiuto di detta pratica. Non è quindi anti professionale, come sostiene Flores d’Arcais, il rifiuto, bensì lo è l’acconsentirvi trattandosi di una pratica che in nulla può essere definita come curativa  e, dunque, estranea (in quanto omicidio, poi, contraria) alla ratio della professione medica.

Ciò detto, dobbiamo avere il coraggio di riconoscere la debolezza di una posizione pro-vita che facesse forza sul diritto all’obiezione di coscienza così come sancito dalla 194 o come emergente dal dettato costituzionale interpretato dalla giurisprudenza della Consulta. Debolezza non solo perché tale diritto sarebbe facilmente negabile da una iniziativa legislativa o da un nuovo pronunciamento della Corte Costituzionale, non solo perché i segni di un progressivo cedimento ed erosione ci sono già tutti (l’iniziativa della Regione Lazio è un esempio ma la negazione del diritto all’obiezione di coscienza potrebbe facilmente venire dalla giurisprudenza europea  in materia di aborto, etc.) ma perché è la ratio dell’obiezione di coscienza così come intesa dal nostro vigente ordinamento ad essere in se stessa problematica.  Lo dobbiamo dire, ammettendo così che molti, troppi impegnati nella battaglia per la vita si sono lasciati abbagliare, come allodole, dagli specchietti della 194 sino all’assurdo odierno di cattolici schierati a difensori della 194, impegnati a rivendicarne lo spirito e la piena attuazione.

L’errore è antico, essersi illusi, forse per spirito irenico, che bastasse il riconoscimento dell’obiezione di coscienza per rendere accettabile lo scandalo dell’omicidio di Stato a danno dei concepiti non ancora partoriti. Una simile logica è perversa e pervertitrice perché porta alla pacifica accettazione del male, ad un relativismo cinico. Che lo Stato uccida pure, che l’ospedale in cui lavoro uccida pure, che il collega con il quale lavoro gomito a gomito tutti i giorni uccida pure, purché non lo debba fare io. Ovviamente non intendiamo affermare che tale cinismo sia dei medici obiettori, piuttosto rileviamo che questa è la logica  della 194 riguardo l’obiezione di coscienza.

Vi è in tutto ciò uno spaventoso e inaccettabile soggettivismo quasi che il bene e il male siano questione tutta individuale, di personale coerenza con una propria soggettiva convinzione. L’obiezione di coscienza è intesa come un diritto alla coerenza con la propria opinione, indifferentemente da quale sia questa opinione, dalla sua fondatezza o meno, dalla sua verità o falsità.

E i cattolici, non tutti ma molti, ci sono cascati, in questa logica folle. Che poi, paradossalmente, è la stessa logica dei radicali nel loro sostenere aborto, eutanasia, etc. .. la logica dell’autodeterminazione individuale. L’obiezione di coscienza come sancita dall’ordinamento vigente è una particolare declinazione del principio di autodeterminazione, lo stesso invocato a fondamento dei pretesi diritti all’eutanasia, al suicidio (assistito), all’aborto (letto, peraltro, come autodeterminazione della donna), etc. Assente, completamente assente, il piano oggettivo della verità, del bene, della giustizia. Tutto è risolto nel “diritto” a disporre liberamente di sé, ad obbedire unicamente alla propria opinione: il nichilista lo eserciterà nel suicidio, il testimone di Geova (per citare un esempio svolto da Flores d’Arcais) nel rifiutare la trasfusione di sangue, il ginecologo pro-vita nel rifiutarsi di praticare aborti.

Ovviamente i ginecologi e gli infermieri fanno bene a esercitare l’obiezione di coscienza , lo scriviamo per non essere fraintesi. Ciò che contestiamo è la logica della 194 (obiezione di coscienza compresa) e non la sacrosanta e doverosa scelta pro-vita degli obiettori. La 194 è diabolica anche lì dove appare buona, ovvero dove concede il diritto all’obiezione di coscienza perché lo sancisce secondo la ratio liberal-radicale del principio di autodeterminazione individuale, del soggettivistico diritto alla coerenza con la propria opzione. Il rifiuto ad uccidere degli obiettori diventa una mera opzione soggettivamente scelta, parimenti  opzione soggettivamente scelta è quella di uccidere dei non-obiettori. E a garantire il diritto della opzione pro-vita è la legge positiva dello Stato che introduce l’omicidio di Stato dei concepiti non ancora partoriti.

L’obiezione vera non è quella prevista dalla 194 ma quella classico-cristiana, quella che il professor Castellano ha denominato “obiezione della coscienza” (per distinguerla dalla “obiezione di coscienza” della vulgata contemporanea) ovvero il giudizio della ragione pratica che riconosce come male l’obbedienza ad una certa norma perché la norma stessa è riconosciuta come ingiusta. L’obiezione della coscienza non rivendica il diritto alla coerenza  con una propria convinzione ma il dovere di disobbedire e resistere alla legge ingiusta, non si colloca nel soggettivo ma giudica la norma positiva alla luce di un ordine oggettivo di giustizia razionalmente conosciuto, non si chiude nel privato ma, dichiarando ingiusta la norma che disobbedisce, pone la questione sul piano pubblico del bene (comune) e della legittimità.

L’obiezione della coscienza è sempre una contestazione del potere che ha legiferato perché in se stessa afferma, mentre disobbedisce, l’illegittimità della norma contestata. L’obiezione della coscienza è sempre, se è vera obiezione, una sfida al potere ingiusto, un “Non ti è lecito!” (Mc 6, 18) detto in faccia allo Stato.

Si diceva che i cattolici, i pro-vita sono stati in molti abbagliati dagli specchietti per allodole della 194 e ora si giunge così al paradosso che, mentre i laicisti radicali culturalmente e legislativamente vincitori lavorano per modificare la 194 in senso peggiorativo, i cattolici se ne fanno difensori.

La militanza cattolica e pro-vita deve invece fuggire dalla trappola liberal-radicale, rifiutare la logica del principio di autodeterminazione (che sostanzia pure il principio dell’obiezione di coscienza intesa come diritto al coerenza con se stessi, con la propria opinione), esercitare la vera obiezione della coscienza ovvero disobbedire alla legge perché ingiusta, dichiararla ingiusta, dichiararla illegittima, riaffermare il principio razionale per il quale una legge ingiusta non è legge ma corruzione della legge e non obbliga proprio nessuno. Affermare con forza che una legge non è “che un comando della ragione ordinato al bene comune, promulgato da chi è incaricato di una collettività” (S. th. I-II, q. 90, a. 4),  non un atto di volontà sovrana, e che dunque  “la  legge  umana  in  tanto  è  tale  in  quanto  è  conforme  alla  retta ragione  e  quindi  deriva  dalla  legge  eterna.  Quando invece  una  legge  è  in  contrasto  con  la  ragione,  la  si  denomina  legge  iniqua;  in  tal  caso  però  cessa  di  essere  legge e diviene piuttosto un atto di violenza” (S. th. I-II, q. 93, a. 3, ad 2).  Contestare, insomma, il positivismo giuridico e il convenzionalismo normativo, riaffermare il diritto naturale per non finire, come purtroppo oggi molti, a tentare di difendere la vita con i principi dei radicali e trovarsi poi quasi inavvertitamente a difendere i principi dei radicali  mettendo tra parentesi la difesa della vita.

L’obiezione all’aborto deve essere contestazione di legittimità alla legge che lo consente, deve essere affermazione della verità che l’aborto è omicidio, che chi lo pratica non esercita una opzione tra opzioni ma si macchia di un orrendo delitto. In ultima analisi l’obiezione all’aborto non può essere irenica verso chi lo compie, verso lo Stato che lo consente e pratica, se vera obiezione è necessariamente denuncia di illegittimità e accusa.

Don Samuele Cecotti, 03-03-2017
per: http://www.vanthuanobservatory.org/notizie-dsc/notizia-dsc.php?lang=it&id=2460
 

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Educazione sessuale di regime

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Sarò un sentimentale. Sarò un romantico. Sarò un retrogrado integralista trapiantato dal medioevo. Insomma, sarò quel che vi pare, ma io non mi rassegno.

I fatti: un genitore della provincia di Vicenza mi ha inviato copia di un libricino in uso a sua figlia di quinta elementare. Il titolo del libro è “Col cavolo la cicogna”, scritto e diffuso dal dott. Alberto Pellai, guru dell’educazione sessuale molto ben introdotto anche nel mondo cattolico. L’autore – con la sua fatica – si ripromette di andare a insegnare ai nostri figli come conoscere “Tutta la verità sull’amore e sessualità”.

Considerando la natura della pubblicazione, il sottotitolo mi pare un tantino borioso, ma tant’è…

Io però vengo dalla generazione romantica e cavalleresca e per me – seguendo le poche parole di mio padre in merito – le donne non si toccano neanche con un fiore, quindi leggere che a bambini e bambine di 9 anni (dicasi nove anni) si spieghi – con dovizia di particolari e con l’ausilio di immagini dettagliate (vedi pagina 114) – il funzionamento della vulva, del meato uretrale e del clitoride mi provoca qualche fastidio. Quando poi leggo a pag. 137 che “due persone che si amano molto (…) Possono decidere di fare l’amore cioè di esprimere quello che provano in un modo molto speciale: stanno molto vicini e così l’uomo può far entrare il suo pene nel corpo della donna attraverso l’apertura della vagina”, il fastidio lascia posto all’orrore.

Si, avete capito bene, orrore. Sono infatti convinto sia orribile trasmettere ai bambini di nove anni nozioni di meccanica sessuale quando magari non l’hanno chiesto e comunque non hanno né gli strumenti né la capacità di reggere l’immenso portato emozionale, psicologico e relazionale dell’amore. Stiamo togliendo ai nostri figli la magia della vita, la poesia dei corpi e delle anime, il mistero dell’amore, sostituendo il tutto con tristi pubblicazioni in ossequio agli “Standard dell’educazione sessuale” dell’OMS.

Penso sia orribile che tutto questo sia veicolato da libricini scolastici, con tanto di “compitino” per riempire le paroline mancanti in fondo al testo…. Sono soprattutto terrorizzato che tutto questo avvenga a scuola, in un contesto di algida e comunisteggiante “pubblica istruzione”.

Ci sono cose che un uomo deve apprendere da suo padre e una donna deve apprendere da sua madre. E poi ci sono cose che ciascuno deve scoprire da solo. Da sempre spetta ai genitori il compito di custodire e tramandare il segreto della vita, quel segreto che ci rende pienamente umani, in cui riposa tutta la nostra forza e tutta la nostra dignità, quel segreto che porta l’uomo a sfiorare l’eternità, a sfidare il tempo e la morte, a toccare il cielo. Con questi libricini stiamo demandando a ignoti “specialisti” – per bravi che siano – il più prezioso dei legati che un genitore può lasciare ai suoi figli.

La generazione che verrà, sarà espertissima di tecniche sessuali. A 5 anni il sesso fetish, come proposto da:“Piselli e farfalline” di Vittoria Facchini, dove un uomo adulto nudo succhia i piedi di una donna altrettanto nuda e la didascalia informa che “ai corpi e ai cuori fa piacere assaggiare tutti i sapori, sentire i profumi e gli odori”. A nove anni il sesso “del missionario” come proposto dal libro del cavolo. Poi magari a 16 il sesso gay come al liceo di Perugia, poi le varie perversioni catalogate sui siti porno in una infinita girandola del sesso discount, per presto approdare al non senso…

I ragazzi conosceranno fin da giovanissimi come si fa a far sesso, ma non sapranno più – neppur da grandi – come si fa a far l’amore… Giovani nel corpo, ma morti nell’anima.

I dotti assicurano che questo sfacelo è in realtà il progresso che avanza e che tanto lo saprebbero dai compagni o dal cellulare e che così si prevengono le gravidanze indesiderate e le malattie veneree. Sicuri? Perché i fatti sono testardi: nei civilissimi Stati Uniti, dopo anni e anni di educazione sessuale di Stato nelle scuole elementari, assistiamo ad un record di gravidanze indesiderate tra le più giovani; lo stesso in Gran Bretagna e in Nord Europa, mentre nella arretrata e borbonica Italia, dove fino a pochi anni fa erano i genitori a educare i loro figli, i tassi di gravidanza tra le under 14 sono tra i più bassi al mondo. Tassi ovviamente in leggera crescita, visto il proliferare della stramaledetta educazione sessuale di Stato fin dalla più tenera età…

Del resto non serve la fantascienza per capire che se a un ragazzino di nove anni spieghiamo a scuola come si fa a copulare non possiamo poi meravigliarci che passi in men che non si dica dalla teoria alla prassi, magari con la vicina di casa o con la compagna di banco. Perché non gli spiegargli come costruire una bomba? (Si, una bomba… Perché la potenza contenuta in quel gesto è una vera e propria bomba atomica, capace di portare vita o di portare morte a sé e agli altri a seconda dell’uso che se ne fa.) Noi stessi adulti non sappiamo governare l’immensa energia creatrice della sessualità, e pretendiamo che un libricino da 7 Euro faccia il nostro lavoro? Stolti.

Impariamo a tenere i nostri figli a casa nelle ore di educazione sessuale e profittiamo per legger loro “il piccolo Principe”, oppure raccontiamo loro di Ulisse e Penelope, di Amore e Psiche, di Ettore, di sua moglie e del loro piccolo Astianatte. Lasciamo che si commuovano leggendo di Tristano e Isotta, mostriamo nel cielo estivo le costellazioni di Perseo e Andromeda, sveliamo loro i misteri della vita affettiva con la bellissima storia di Tobia e Sara o con gli immortali versi di Dante e Shakespeare. Facciamo loro ascoltare la Turadont, portiamoli a vedere le statue di Canova o i dipinti di Chagall. E insegniamo loro la difficilissima arte del pudore, della verecondia, della riservatezza. Nutriamo la loro anima di amore, quello vero. Il corpo capirà da solo cosa fare quando l’anima avrà incontrato la sua anima. E quando sarà il momento. Senza fretta. Lasciando sempre spazio alla meraviglia.

Per carità, viviamo in una società pluralista, e ognuno insegni ai suoi figli quel che gli pare. Sappia però bene – chiunque avesse in mente di avvicinarsi ai miei di figli con il manuale del piccolo Kamasutra – che non tollererò cose del genere, abbiano o no il bollino di qualche ministero inutile, di qualche sessuologo di grido, di qualche università venduta o di qualche prete svampito.

Sappia inoltre che non sarò solo, visto che avremo cura di spiegare nel dettaglio agli altri genitori (compresi i numerosi amici mussulmani), quello che si sta cercando di inculcare più o meno subdolamente ai nostri figli. Siamo per l’accoglienza no? Sono sicuro che saprete rispettare e accogliere il mio, il nostro, punto di vista.

Anche perché nell’art. 26 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nell’art. 30 della Costituzione e nell’art. 315 bis del Codice Civile c’è scritto che abbiamo ragione noi.

 

Simone Pillon

da EducazioneLibera del 23/2/2017

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2017: l’anno del bavaglio?

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 Non so se il 2017 sarà l’anno in cui i siti di informazione libera saranno costretti a chiudere la bocca o a chiudere i battenti. 

Di sicuro è un anno che comincia all’insegna di una censura nascosta dietro il neologismo delle ‘fake news’ che è più che altro il termine di una orwelliana neolingua per significare le notizie non allineate con le narrazioni politicamente corrette, che poi sono il termine della stessa neolingua per indicare le narrazioni fornite e approvate dal regime.
Al riguardo il 2016 è terminato con le dichiarazioni rilasciate al Financial Times dal presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella sulla necessità che vengano istituiti degli organi comunitari per la identificazione e la successiva rimozione di notizie ritenute delle fake news.

Peccato che tale organo non fosse attivo al tempo delle notizie sulle presunte armi di distruzione di massa in Iraq e al tempo delle notizie dell’impiego di gas nervino da parte dell’esercito siriano perché la denuncia di quelle fake news avrebbe scongiurato la morte di un milione circa di persone nel primo caso e non avrebbe fatto rischiare lo scontro militare tra Stati Uniti e Russia al largo della Siria nel secondo e così in molti altri casi. A ben vedere sono gli organi di stampa mainstream che avrebbero bisogno di essere depurati dalle fake news:

 

Ma se una censura che viene preannunciata ce n’è una già attiva e che ci fa prefigurare quelli che saranno gli auspicati sistemi di controllo, lo ha sperimentato direttamente, proprio gli ultimi giorni dell’anno appena terminato, Alessandro Benigni al quale per un articolo in cui esprimeva delle opinioni assolutamente non offensive o in qualche modo lesive di altri (vedi l’articolo pubblicato sul blog Ontologismi)vedeva chiudere il suo profilo Facebook senza alcuna possibilità di difesa. Ecco qui di seguito il passaggio incriminato da Facebook e riportato su “Nelle Note”:

Non viene detto in cosa il testo di Benigni fosse ritenuto inadatto, si fa solo riferimento a dei fumosi standard della comunità, un termine dietro al quale si nasconde l’arbitrio più assoluto. La questione dell’omofobia non è sollevata per tutelare i diritti degli LGBTQ ma è un ballon d’essai lanciato per saggiare le reazioni alla nuova forma di censura, passando quella passeranno tutte le altre.

Sta di fatto che Facebook su richiesta di intervenire verso gruppi di bestemmiatori denominato “Gli anticlericalisti“, mi ha risposto tempo fa che non ravvisava comportamenti contrari alle norme della community. E infatti il gruppo è ancora attivo e come si vede dalle immagini seguenti non viola gli standard della comunità e non incita all’odio:

Questo il post che indica le regole del gruppo, per la comunità di Facebook dire che le persone religiose sono malate mentali non è lesivo.

Il Papa e la Chiesa cattolica sono definiti “cancro dell’umanità”, ma questo non è incitamento all’odio per FB. Cosa sarebbe successo se ci fosse stata una foto del Gay pride?

I cattolici sono definiti in massa “ipocriti”, neanche questo incitamento all’odio per FB è contro gli “standard” della comunità. E si tratta solo dei primi post che ho trovato sulla pagina.

 

Di fatto assistiamo ad un’operazione asimmetrica che blocca certi contenuti e ne promuove altri, per questo tutti, anche chi la pensa diversamente, dovrebbero protestare contro le misure come quelle adottate nei confronti di Alessandro Benigni.

 

La censura sotto il pretesto della tutela della corretta comunicazione è dunque già in atto, Facebook l’ha sperimentata in modo pionieristico da tempo, i meccanismi sono semplici e collaudati basterà applicarli anche ai siti Internet e se necessario con l’intervento dell’autorità giudiziaria.

 

Questo è il primo e fondamentale terreno di scontro sul quale si apre l’anno, fondamentale perché è quello che può escludere ogni confronto sugli altri argomenti.

 

 

 

.Enzo Pennetta, 1 gennaio 2017 per http://www.enzopennetta.it/2017/01/2017-lanno-del-bavaglio/

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Riforma Costituzionale: addio autonomia scolastica

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 SCUOLA/ Addio autonomia: così la riforma costituzionale accentra tutte le competenze

 

Non sempre il dibattito sul referendum costituzionale si svolge con oggettività e competenza, come invece ha giustamente invocato, in più occasioni, Luciano Violante. Da questo punto di vista il documento predisposto dalla Fondazione per il Sussidiarietà ha il merito di avere avviato un equilibrato dibattito. Ma non sempre l'esempio è stato seguito, sia dai sostenitori del Si che da quelli del No. Spesso, soprattutto sui siti internet, circolano anche affermazioni infondate, a volte dovute a semplice disinformazione, che non trovano riscontro nel testo della riforma.

Ad esempio, si è sostenuto che la riforma porterebbe ad un pieno rilancio dell'autonomia scolastica e potenzierebbe la possibilità per le Regioni di innovare autonomamente nel campo dell'istruzione e della formazione professionale. Ci si appoggia, in questa affermazione su alcuni articoli del nuovo testo. Più precisamente, sull'art. 117, II comma, che fra l'altro assegna alla competenza esclusiva statale "/n) disposizioni generali e comuni sull'istruzione; ordinamento scolastico/"; sull'art. 117, III comma "/Spetta alle Regioni la potestà legislativa … salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche, in materia di servizi scolastici, di promozione del diritto allo studio, anche universitario/"; sull'art. 116, III comma "/Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui all'articolo 117, secondo comma, …. o), limitatamente alle politiche attive del lavoro e all'istruzione e formazione professionale/".

Alla luce di queste disposizioni introdotte dalla riforma costituzionale si prefigurerebbe — si sostiene — una nuova fase per l'autonomia scolastica e per la legislazione regionale.

L'affermazione è però priva di fondamento. Le cose non stanno in questi termini e un semplice confronto con l'attuale testo lo dimostra con chiarezza. Il sistema del riparto delle competenze in materia di istruzione, infatti, si compone oggi dei seguenti articoli. L'art. 117,
II comma, che assegna allo Stato la competenza esclusiva su "/n) norme generali sull'istruzione/"; l'art. 117, III comma, che aggiunge: "/Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: …. istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale/" (per la formazione professionale quindi, per l'effetto congiunto dell'esclusione dalla potestà concorrente e della clausola di residualità del IV comma dello stesso art. 117 Cost., è riconosciuta una competenza primaria alle Regioni). Dal confronto tra il nuovo e il vecchio testo si dimostra quindi, con tutta evidenza, che già quello attuale riconosce l'autonomia delle istituzioni scolastiche e che quello novellato si limita a riprodurne semplicemente l'affermazione.

Per quanto riguarda poi le competenze regionali non sembra cambiare nulla nella sostanza, posto che lo Stato oggi ha competenza riguardo alle norme generali e ai principi fondamentali (perché alle Regioni è assegnata una competenza concorrente) e domani allo Stato rimarrebbe assegnata la competenza sulle norme generali e comuni in materia di istruzione.

Del tutto infondata è poi l'affermazione che la riforma aumenterebbe le possibilità di differenziazione. Il testo attuale dell'art. 116, III comma, già prevede infatti la possibilità per le Regioni di ottenere competenze ulteriori sia riguardo alle norme generali sull'istruzione, sia riguardo alla legislazione statale recante i principi fondamentali.
L'attuale art. 116, III comma Cost. infatti recita: "/Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 /[cioè tutte le materie concorrenti e quindi anche la materia istruzione] /e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) /[ norme generali sull'istruzione] /e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato …/".

Anche su questo punto, dal confronto tra il vecchio e il nuovo testo, quindi, emerge che non cambia nulla. Anziché un potenziamento, quanto piuttosto una decisa trasformazione /in peius/ della posizione costituzionale delle Regioni anche nella materia dell'istruzione, si evidenzia, invece, considerando che a favore dello Stato la riforma fa militare la clausola di supremazia di cui al nuovo art. 117, IV comma: "/Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale/".

Si tratta della cosiddetta clausola di supremazia, emblematicamente definita dalla dottrina come "clausola vampiro", che consentirà alla legge dello Stato di travalicare — semplicemente invocando la sussistenza di un interesse nazionale (/id est/ dell'indirizzo politico della maggioranza) — qualsiasi competenza regionale, comprese quelle in materia di istruzione: altro che fermarsi alla statuizione di norme generali e comuni!

Anche sopra i modelli regionali virtuosi la riforma fa quindi pendere quindi la spada di Damocle di un deciso riaccentramento di competenze: considerando le ataviche tendenze del nostro legislatore nazionale, troppo spesso propenso allo statalismo e fare di ogni erba un fascio, c'è poco da stare tranquilli.

 

Luca Antonini, per il Sussidiario.net, http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2016/9/7/SCUOLA-Addio-autonomia-cosi-la-riforma-costituzionale-accentra-tutte-le-competenze/722063/

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Sussidiarietà e Riforma Costituzionale

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 “Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle […]

Il principio di sussidiarietà protegge le persone dagli abusi delle istanze sociali superiori e sollecita queste ultime ad aiutare i singoli individui e i corpi intermedi a sviluppare i loro compiti”.

(COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA, nn. 186-187, Lev, 2004)

 

Il principio di Sussidiarietà nella riforma costituzionale

 

art. 55: La Camera diventa unica titolare del rapporto di fiducia col Governo, della funzione di indirizzo politico, funzione legislativa e del controllo dell’operato del Governo.
art. 57: I senatori passano da 315 a 100, non sono più eletti dal popolo ma 95 NOMINATI dalle regioni e 5 dal Presidente della Repubblica.

art. 70-71: Il Senato NON sarà più titolare di funzione legislativa eccetto che le leggi costituzionali, le leggi elettorali, le leggi di attuazione delle politiche locali ed Europee.
La riforma lascia irrisolto il nodo – significativo per quanto attiene alla sovranità – della permeabilità del nostro ordinamento a norme sovranazionali provenienti dall’Unione Europea e che spesso sono in contrasto con la storia, le tradizioni, la cultura e talora con la legislazione del nostro Paese.

art. 70, c. 3: Il Senato potrà esaminare i disegni di legge approvati dalla Camera ove ne faccia richiesta e può, entro 30 gg, chiedere alla Camera di introdurre modifiche, che la Camera potrà rifiutare senza tenerne alcun conto. Il Senato potrà anche proporre un disegno di legge alla Camera, la quale potrà ignorarlo.

art. 72, c. 7: Il Governo potrà, in alcuni casi, imporre alla Camera la trattazione prioritaria di quei disegni di legge che siano definiti dal Governo come “essenziale per l’attuazione del programma”. Tali disegni di legge governativi avranno automatica priorità su tutto il calendario parlamentare e dovranno esser decisi entro 70 giorni. In poche parole il Governo potrà determinare in via assoluta il calendario dei lavori del Parlamento. Resta il decreto legge: strumento ampiamente usato (ed abusato) da parte dei governi (tutti) e capace di imporre atti aventi forza di legge senza il preventivo assenso del Parlamento.

art. 71, c. 3: Le proposte di legge di iniziativa popolare dovranno esser presentate da 150 mila elettori (oggi ne bastavano 50 mila).

art. 83: Il Presidente della Repubblica sarà eletto dai soli deputati e senatori (prima anche dai delegati regionali), con minore partecipazione alla scelta del Capo dello Stato. Anche il quorum sarà significativamente abbassato dal 7° scrutinio, passando dall’attuale “maggioranza assoluta” dell’assemblea ai 3/5 dei votanti.

Oggi il Presidente viene eletto da circa 1005 grandi elettori e, per l’elezione fino al terzo scrutinio, servono almeno 503 voti. Dopo gli elettori saranno 730 e – considerando il numero legale pari alla metà più uno degli aventi diritto basteranno 220 voti.

art. 114: Verranno soppresse le province

art. 117: Le regioni perderanno la potestà legislativa concorrente e vedranno limitata la potestà legislativa esclusiva a pochissime materie di limitata importanza (minoranze linguistiche, mobilità interna, attività culturali locali, promozione locale turismo). In ogni caso il Governo centrale potrà intervenire anche in queste materie invocando l’interesse nazionale, cioè ogni volta che vorrà (clausola di supremazia).

È vero che la legislazione concorrente stato-regioni ha causato numerosi ricorsi alla Corte Costituzionale per la rispettiva attribuzione degli ambiti di competenza, ma è altrettanto vero che le specifiche funzioni legislative sono ormai equilibrate e stabilizzate. Metter mano ora nella direzione di un rinnovato centralismo e una nuova stagione di ricorsi alla Consulta, è tradire definitivamente gli ideali della dottrina sociale della Chiesa Cattolica che da sempre ha posto l’accento sulla sussidiarietà orizzontale e verticale. Il potere rischia così di allontanarsi definitivamente dalla gente.

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Mons. Negri: Una guerra mondiale contro Cristo

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 Si dissolvono i valori e le forme di vita e di cultura che la fede ha prodotto, si dissacra la vita nella sua misteriosità, come dono di Dio, si cerca addirittura di scardinare la procedura naturale con cui la vita si comunica, si sostituisce alla grande idea di identità della natura, forme e modi di manipolazione inaccettabili, sia sulla vita prima che nasce che sulla vita dell’infanzia. Su ogni momento della vita umana cala l’ombra terribile e spettrale della manipolazione.

DISCORSO A CONCLUSIONE DELLA SETTIMANA MARIANA
E ATTO SOLENNE DI CONSACRAZIONE ALLA MADONNA DELLE GRAZIE

 

09/10/2016

Carissimi Fratelli,
figli e figlie di questa veneranda chiesa che è in Ferrara-Comacchio.

Si rinnova l’antica invocazione che le precedenti generazioni hanno rivolto alla Madonna: “soccorri il popolo che sta per cadere”. Viviamo in tempi in un certo senso terribili, dove è in atto una vera e propria guerra, che Papa Francesco non ha esitato a definire “mondiale”, contro il mistero di Cristo presente nella sua Chiesa e tutti gli eventi di cultura e di storia che questa presenza ha generato.

Questa presenza è travolta ogni giorno, poiché ci si adopera sempre più per eliminare Dio dalla storia dell’uomo e del mondo, ma come ci ha insegnato un grande teologo e amico, H. De Lubac: ogni azione rivolta contro Dio, è rivolta contro l’uomo.

Tanti uomini e donne, nostri fratelli, con cui condividiamo la vita di ogni giorno, ci sembrano sempre più spesso essere inconsapevoli della loro verità: non comprendono da dove vengono né dove vanno, non sanno dove trovare il senso profondo della vita quotidiana che appare così definita dalla disperazione.

Il Cardinale Giacomo Biffi, vescovo di Bologna e scomparso l’anno scorso, ha usato a tale proposito un’espressione di singolare profondità e tenerezza, parlando di una società “sazia e disperata”. Forse questa definizione è da aggiornare perché oggi viviamo in una società “povera e disperata”.

Di fronte a questa battaglia nei confronti della tradizione cristiana, noi non possiamo non affermare che questi attacchi sono assolutamente ingiustificati; ingiusti dal punto di vista storico e gravissimi dal punto di vista morale.

Si dissolvono i valori e le forme di vita e di cultura che la fede ha prodotto, si dissacra la vita nella sua misteriosità, come dono di Dio, si cerca addirittura di scardinare la procedura naturale con cui la vita si comunica, si sostituisce alla grande idea di identità della natura, forme e modi di manipolazione inaccettabili, sia sulla vita prima che nasce che sulla vita dell’infanzia. Su ogni momento della vita umana cala l’ombra terribile e spettrale della manipolazione.

Cose inaudite e incredibili possono accadere e accadono sotto i nostri occhi, e per questo unisco la mia voce, con totale adesione, all’intervento forte e sgomento del Cardinal Carlo Caffarra, Arcivescovo emerito di Bologna, che ha segnalato l’esistenza della decisione, nell’ambito della nostra Regione, di acquistare da banche del seme estere gameti femminili e maschili per poi distribuirli gratuitamente a quanti vorranno servirsene per promuovere la fecondazione eterologa. In tal modo – afferma il Card. Caffarra – “non ci si rende conto che si sta sradicando la genealogia della persona dalla genealogia naturale”. Ma ancor di più: i bambini non si comprano, e le donne non possono essere sottoposte “a dei trattamenti ormonali massacranti. E’ un grande inganno, compiuto con fondi pubblici. Non si può tacere”. È una cosa inconcepibile, e va contro la natura profonda dell’uomo, della storia e della società.

Noi aspettiamo un gesto di correzione perché ci troviamo di fronte ad un fatto inaudito. Se il Card. Caffarra è intervenuto in modo così forte, lui che prima di parlare esamina a fondo e con acribia la realtà dei fatti, vuol dire che è proprio così.

Per questo credo che bisogna ricordare quello che ci ha insegnato il Santo Padre Giovanni Paolo II: noi abbiamo la precisa responsabilità di aiutare gli uomini di questo tempo a ritrovare il sentiero buono della ragione, a cercare di valutare il cammino che ciascuno deve percorrere per arrivare sicuro e diritto verso Dio. E dobbiamo aiutare l’uomo di questo tempo ad attendere con animo aperto il Signore che certamente viene ad incontrarlo – coprendo una distanza umanamente incolmabile – in Gesù Cristo.

Di fronte a questo momento così grave, la nostra Chiesa Diocesana continuerà inesorabile la sua missione di verità e di libertà. Verità e libertà per il cristiano, verità e libertà per tutti gli uomini di buona volontà.

Perciò oggi, per volontà del suo Arcivescovo, questa antica Chiesa Diocesana si consacra alla Beata Vergine Maria, Madonna delle grazie, perché rifiorisca in noi la fede, la speranza e la carità, e il mondo riconosca – attraverso la nostra testimonianza umile e coraggiosa – che il Signore è venuto, è risorto e abita in mezzo a noi. E così sia, per noi e per tutta l’umanità.

Segue la lettura dell’ATTO SOLENNE DI CONSACRAZIONE DELL’ARCIDIOCESI DI FERRARA-COMACCHIO ALLA MADONNA DELLE GRAZIE

http://www.luiginegri.it/default.asp?id=401&id_n=1860&Pagina=1

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Un sottile sentimento eugenetico

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 Un giornale danese presenta come una grande conquista l’intenzione del governo di rendere gratuiti i test di diagnosi prenatale per cui le nascite down, già in diminuzione, spariranno presto del tutto. È chiaro –ma forse, non detto- che l’auspicata sparizione dipenderà non certo da inesistenti (fino ad oggi almeno) terapie ma dalla soppressione dei feti che presentano tale diagnosi: scelta oramai data per scontata

Roberto Volpi 

LA SPARIZIONE DEI BAMBINI DOWN

– UN SOTTILE SENTIMENTO EUGENETICO PERCORRE L’EUROPA –

Ed. Lindau – 2016 – pag. 89 – €.10,00

 

Roberto Volpi, oggi poco più che settantenne, è stato da giovane un convinto sessantottino. Dapprima, leader di un piccolo gruppo di cinesi (così si chiamavano i giovani di sinistra delusi dalla prassi parlamentare del Partito comunista italiano cui essi contrapponevano la ben più radicale rivoluzione culturale di Mao Tse Tung), aderì poi al P.C.I. e ne fu, oltre che focoso comiziante ed amministratore locale, esponente di rilievo nella provincia di Pisa. Fu infatti, poco più che trentenne, posto alla presidenza della neo-costituita U.S.L. ed appariva dunque destinato ad una carriera politica di rilievo.

Si dimise invece poco dopo, nauseato – così ricorda- dal clientelismo che vedeva intorno a sé e si è quindi dedicato al lavoro di statistico presso gli Uffici della Regione Toscana.

Nell’ambito di questa attività, nonostante l’inequivoca formazione politica, la sua personale onestà non lo ha lasciato insensibile davanti a quel drammatico declino demografico dell’Italia ed insieme, di tutto l’Occidente, che i numeri che trattava ogni giorno gli ponevano sotto gli occhi. Nell’indagarne le cause, ha creduto –con altrettanta onestà- di poterle individuare nella tragica crisi della famiglia. Infatti, almeno in Italia la crisi demografica si fa sempre più drammatica dopo il 1975 che è, significativamente, l’anno che segue il referendum sul divorzio: un avvenimento che (come Volpi va ripetendo negli incontri e negli articoli sul Foglio di Giuliano Ferrara) aveva fatto capire a tutti che questo istituto sarebbe oramai divenuto definitivo.

È da questo momento che occorre dunque datare la fine della tradizionale famiglia italiana: una realtà costruita nei secoli e circondata nel mondo da fama di solidità a tutta prova, di spirito di sacrificio e, proprio per tali caratteristiche, miniera di figli. L’apertura verso le nascite richiede infatti –ricorda ancora Volpi- più ancora che l’aumento degli assegni familiari o dei parchi giochi, la certezza di un futuro unito e di una solidarietà che oltrepassa le generazioni. La conclusione è quindi assai semplice: se non si può più fare affidamento sulla famiglia, neanche si fanno più figli.

Questa la tesi di fondo che emerge dai suoi libri, spesso dal titolo provocante: “Il sesso spuntato – Il crepuscolo della riproduzione sessuale in Occidente” o “La nostra società ha ancora bisogno della famiglia?”. Non stupisce dunque che il “laico” Roberto Volpi pubblichi spesso da Vita e pensiero, l’editrice dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano.

*****

Anche il breve saggio che presentiamo, è assai chiaro già dal titolo. L’autore prende le mosse da una notizia di cronaca apparsa su di un giornale danese che presenta come una grande conquista l’intenzione del governo di rendere gratuiti i test di diagnosi prenatale per cui le nascite down, già in diminuzione, spariranno presto del tutto. È chiaro –ma forse, non detto- che l’auspicata sparizione dipenderà non certo da inesistenti (fino ad oggi almeno) terapie ma dalla soppressione dei feti che presentano tale diagnosi: scelta oramai data per scontata. Ma la situazione danese non è poi diversa da quella del resto dell’Occidente come risulta dai dati che Volpi presenta. Non lo seguiremo certamente nelle sue, pur avvincenti, analisi statistiche, presentate comunque in modo discorsivo e cioè senza grafici, equazioni o altro che potrebbe scoraggiarne la lettura.

Basti ricordare come nel libro si discutano, quanto all’Italia i dati delle sole due regioni (Emilia-Romagna e Toscana) per le quali si dispone di statistiche su diagnosi e nascite down. I loro numeri confermano la sistematica eliminazione di tali soggetti: una vera e propria strage che giustifica ampiamente la parola “eugenetica” che figura nel titolo del libro.

Merita invece ricordare alcune conclusioni che vi si traggono rilevando come Volpi vi pervenga perviene senza ricorrere a giudizi di tipo morale (che pure non pare affatto disprezzare) ma solo con l’analisi dei dati che ha disponibili. E sarà interessante notare come egli finisce per confermare che le cause di questa vera e propria selezione eugenetica sono le stesse individuate da chi invece analizza i fatti in forza dei valori in cui crede. Vediamone alcune.

Anzitutto, la perdita di ogni remora morale nella scelta di abortire i down: “i freni inibitori verso l’IVG di feti down vengono progressivamente meno … man mano che si diffonde l’uso di questi test. … In pratica, è come se fossero i test stessi a decidere della nascita o dell’aborto volontario dei casi down, più che non i singoli individui, più che non le stesse gestanti, cosicché è sempre nell’ordine delle cose che quanti, dei casi down, vengono diagnosticati come tali, finiranno per essere abortiti, piuttosto che accettati. La decisione dell’aborto volontario di un feto down è stata in un certo senso spersonalizzata” (pag. 42).

A conferma di quella che è oramai avvertita come una non-scelta cioè come un comportamento quasi socialmente obbligato, si può semmai ricordare l’orientamento dominante della Magistratura italiana che risarcisce la nascita di un figlio down erroneamente non diagnosticato in sede di amniocentesi, sul presupposto, che si da per scontato, che la gestante, se l’avesse saputo, avrebbe senz’altro abortito.

In questo contesto, non conta neanche, prosegue Volpi, il fatto che oggi la condizione della assoluta maggioranza dei down sia ampiamente migliore di un tempo. Molti sono autosufficienti ed in grado di leggere ed addirittura si tengono delle para-olimpiadi a loro destinate. L’autore non manca quindi di portare esempi anche commoventi del suo concreto vissuto, a Firenze; colpisce particolarmente il caso di un down che accompagna e sorregge la madre molto anziana nelle sue passeggiate e che va da solo a far la spesa al supermercato provvedendo anche al pagamento alla cassa pur se con l’aiuto della commessa per velocizzare l’operazione.

Volpi non manca poi di inquadrare questa strage all’interno di quella vera e propria sindrome del figlio perfetto che dilaga in tutto l’Occidente. Semplici difetti fisici ai quali in passato non si sarebbe neanche fatto tanto caso, alcuni anche curabilissimi, producono oramai l’aborto nel 50% dei casi.

Ma quel che più desta sconcerto è la conclusione cui Volpi arriva nelle ultime pagine del libro sempre soltanto elaborando dati statistici. Poiché “il rischio di aborto spontaneo è 1 su 200 per l’amniocentesi (esame più frequente) e di 1 su 100 per la villocentesi (esame meno frequente) [e poiché ancora] …. sono quasi 200 mila le donne di 35 e più anni che partoriscono annualmente in Italia, se anche soltanto 1 su 3 di loro ricorre alla diagnosi prenatale, si avrà un numero di aborti spontanei di feti sani superiore a 500, decisamente più alto delle 350 nascita down” stimate sulla base dei dati delle sole due regioni disponibili (pag. 81). Siccome però, con tutta probabilità, le donne di 35 e più anni che ricorrono ai test prenatali sono molte di più di una su tre, ne deriva che è lecito supporre che, per evitare una nascita down, si abortiscono involontariamente almeno due bambini non down.

Sono dati che non hanno necessità di aggettivi o commenti. Va solo il merito a Roberto Volpi di averli estrapolati e messi alla portata di chiunque perché non si  possa dire che ‘nessuno sapeva’.

Andrea Gasperini

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