Quaresima: cattolici adulti e sensus ecclesiae

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 Guida bioeticamente scorretta per cattolici adulti

Una potente ironia percorre questa meditazione quaresimale e civica sul principale fattore di distruzione del cattolicesimo italiano.
Per non dimenticare chi ci ha tradito ci serve capire come ragiona: per non ripetere gli errori del passato.

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Il cattolico adulto lo sa, sa di essere diverso, aperto ai tempi che mutano e che richiedono un mutare della Chiesa, del suo rigore dottrinale, del suo essere astratta istituzione

Sì, lo si sa: il cattolico adulto è uno che la sa lunga, mica come quei cattolici bigotti che ancora credono nei sacramenti, nella confessione, magari nella presenza reale del Salvatore nell’eucaristia, nell’indissolubilità del matrimonio, nella verità della rivelazione cristiana o perfino in posti da isteria collettiva di massa come Fatima, Lourdes o Medjugorje.

Il cattolico adulto lo sa, lo sa bene che quello che conta è la speranza nell’uomo, nella possibilità di essere tolleranti e moderni, non come chi ritiene che vi siano principi e norme universali; il cattolico adulto sa bene che ciò che conta è la fede di portare il progresso nella società, nella concretezza delle opere, non nell’astrazione dello spirito; ciò che conta per il cattolico adulto è la carità per il prossimo, come assistenza dei più poveri e degli emarginati, non con l’asettico rigore del rispetto di astratte verità teologiche e morali.

Tutto questo, e in effetti anche ben altro, il cattolico adulto ce l’ha sempre ben presente, ed è ciò che lo distingue, grazie a Dio (pensa tra sé), dagli altri, dagli altri cattolici, intolleranti e retrogradi che dopo un rosario, magari predicano una assurda verità assoluta sull’uomo riflesso di una ancor più assurda verità su Dio, o che magari ritengono che la Chiesa non debba essere un insieme di operatori sociali per il benessere umano, ma la sposa mistica del Cristo.

No, il cattolico adulto è maturo, non ha più bisogno di madre Chiesa che gli indichi la via; quello è tipico di quei cattolici che, appunto, adulti non sono, né nella fede, né nell’agire sociale e politico. Il cattolico adulto lo sa, sa di essere diverso, aperto ai tempi che mutano e che richiedono un mutare della Chiesa, del suo rigore dottrinale, del suo essere astratta istituzione.

Il cattolico adulto sa che la Chiesa orienta, ma non guida; sa che le Sacre Scritture sono solo orientative, non indicative; sa che il Cristianesimo è amore e che quindi non vi possono essere principi, norme o divieti.

Il cattolico adulto non solo sa, ma sa anche di sapere tante cose, tante più degli altri, sicuramente più di coloro che, cattolici non-adulti, hanno una fede semplice, popolare, ingenua, perfino mistica talvolta, e che se non è mera superstizione è sicuramente qualcosa non più al passo con i tempi.

Il cattolico adulto, per esempio, ritiene che l’aborto sia soltanto un disagio personale della donna e che nessuno possa intromettersi, non invece, come insegna S. Giovanni Paolo II «l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita» (Evangelium vitae, n. 58).

Il cattolico adulto, sempre per esempio, ritiene che la maternità surrogata sia legittima, perché legittimo è il diritto di avere figli, non come insegna la Congregazione per la Dottrina della Fede secondo la quale, invece, la maternità surrogata è «una mancanza oggettiva di fronte agli obblighi dell’amore materno, della fedeltà coniugale e della maternità responsabile; offende la dignità e il diritto del figlio ad essere concepito, portato in grembo, messo al mondo ed educato dai propri genitori» (Donum vitae, II, 3, 22 febbraio 1987).

Il cattolico adulto, ancora per esempio, reputa che l’ideologia gender non esista, essendo soltanto una trovata omofoba di certi ambienti cattolici conservatori ancora attaccati a modelli familiari ancestrali e non più al passo con i tempi, non avendo alcuna importanza le parole di Papa Francesco per il quale «un’altra sfida emerge da varie forme di un’ideologia, genericamente chiamata gender, che nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina. L’identità umana viene consegnata ad un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo. E’ inquietante che alcune ideologie di questo tipo, che pretendono di rispondere a certe aspirazioni a volte comprensibili, cerchino di imporsi come un pensiero unico che determini anche l’educazione dei bambini. Non si deve ignorare che sesso biologico (sex) e ruolo sociale-culturale del sesso (gender), si possono distinguere, ma non separare. D’altra parte, la rivoluzione biotecnologica nel campo della procreazione umana ha introdotto la possibilità di manipolare l’atto generativo, rendendolo indipendente dalla relazione sessuale tra uomo e donna. In questo modo, la vita umana e la genitorialità sono divenute realtà componibili e scomponibili, soggette prevalentemente ai desideri di singoli o di coppie. Una cosa è comprendere la fragilità umana o la complessità della vita, altra cosa è accettare ideologie che pretendono di dividere in due gli aspetti inseparabili della realtà. Non cadiamo nel peccato di pretendere di sostituirci al Creatore. Siamo creature, non siamo onnipotenti. Il creato ci precede e dev’essere ricevuto come dono. Al tempo stesso, siamo chiamati a custodire la nostra umanità, e ciò significa anzitutto accettarla e rispettarla come è stata creata» (Amoris laetitia, n. 56).

Il cattolico adulto ritiene del resto che non vi sia nulla di male nell’approvazione delle unioni civili, poiché i tempi cambiano e con essi la famiglia, occorrendo garantire i diritti di tutti, anche di coloro che non rientrano nella definizione cristiana di famiglia, non risultando rilevanti le parole di Papa Leone XIII per il quale «è dunque un errore grande e dannoso volere che lo Stato possa intervenire a suo talento nel santuario della famiglia» (Rerum novarum, n. 11).

E, infine, il cattolico adulto, che non ritiene fondamentale la resurrezione tra i paradigmi escatologici del Cristianesimo, e che ha elaborato una idea tutta propria della morte, magari schiacciando l’occhio anche a qualche tentazione orientalista che predica la reincarnazione, sa bene che nessun Dio buono può costringere i propri figli alla sofferenza, non potendo così essere illecita l’eutanasia, specialmente se richiesta da persone estremamente sofferenti, non avendo alcuna importanza le parole di Papa Benedetto XVI per cui «va facendosi strada una mens eutanasica, manifestazione non meno abusiva di dominio sulla vita, che in certe condizioni viene considerata non più degna di essere vissuta. Dietro questi scenari stanno posizioni culturali negatrici della dignità umana. Queste pratiche, a loro volta, sono destinate ad alimentare una concezione materiale e meccanicistica della vita umana» (Caritas in veritate, n. 75).

Il cattolico adulto, quindi, partecipa attivamente o anche soltanto passivamente, ma sempre con gioia, all’approvazione e alla diffusione di leggi e meccanismi culturali che favoriscono l’aborto, la maternità surrogata, l’ideologia gender, le unioni civili, l’eutanasia, poiché sa, sa cosa in effetti è il Cristianesimo e sa quando la Chiesa sbaglia non avendo importanza nemmeno le parole di S. Paolo: «La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia» (1Cor., 13,9).

Il cattolico adulto, insomma, pare sia molto adulto anche se a scapito del suo stesso essere cristiano, poiché il suo pensiero, specialmente nell’ambito della bioetica, sebbene sia proprio al passo con i tempi non c’entra più nulla con l’impianto morale del Cristianesimo.

Aldo Vitale, 3 marzo 2017 per http://www.tempi.it/guida-bioeticamente-scorretta-per-cattolici-adulti#.WN9QCaLj-M8

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Lo Stato ci costringe a fare il male

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 Obbligo di fare il male. Nuovo totalitarismo e cattolici distratti.

 10-03-2017 – di Stefano Fontana

 

 

 La definitiva approvazione in Francia della legge che punirà chi cercherà di distogliere le donne dall’aborto è un nuovo segno che la soglia del totalitarismo è stata superata. Questa soglia viene superata quando lo Stato non solo permette il male ma anche obbliga a farlo e considera reato fare il bene. Quando lo Stato non solo ammette per legge deviazioni dal diritto naturale ma le impone, obbligando ad un diritto innaturale o contro-naturale. Quando diventano non negoziabili i principi contrari a quelli non negoziabili. 

Tutti vedono che questa soglia è stata superata ormai in molti casi. Lo era stata, per esempio, quando la Corte suprema americana aveva obbligato tutti gli Stati federati a contemplare per legge il matrimonio tra persone omosessuali. Lo era stata quando il Parlamento francese aveva approvato la legge Taubira sul “matrimonio per tutti” senza concedere l’obiezione di coscienza ai sindaci. Lo abbiamo anche visto quando in Italia è stata approvata la legge Cirinnà sulle unioni civili. Da quel momento, infatti, qualsiasi politica familiare sarebbe andata anche a vantaggio delle unioni civili. Nessuna amministrazione pubblica, da allora, può esimersi dal fare il male: tutte vi erano obbligate. Lo è stata, di recente in Italia, quando l’Ospedale San Camillo di Roma ha indetto un concorso per soli medici abortisti e quando una Asl di Treviso ha indetto un concorso per due posti di biologo che non facciano obiezione alla fecondazione artificiale.

E’ da tempo che ci si è messi su questa strada. Nella storia le cose possono cambiare. Ma questo non ci esime da valutare le tendenze in atto che, da questo punto di vista, sono molto preoccupanti. Ammettiamo che vadano in porto le leggi attualmente giacenti al Parlamento italiano. Ne uscirebbe uno Stato che impone di fare il male: ai giornalisti, agli insegnanti, ai dipendenti pubblici, ai medici, ai farmacisti, agli infermieri… Pensiamo, per esempio, al disegno di legge sull’eutanasia attualmente in discussione alla Camera. Il medico sarebbe costretto a rispettare le Disposizioni anticipate di trattamento del paziente anche se il paziente stesso avesse cambiato nel frattempo idea, dimenticandosi di revocare la DAT, e se lui stesso, il medico, fosse eticamente contrario. Saremo obbligati ad uccidere, a diseducare i nostri ragazzi nelle scuole, a presentare l’omosessualità come cosa normale.

Saremo obbligati. Lo saremo dal nostro Stato ed anche dall’Unione europea e dagli organismi internazionali. Nei giorni scorsi il Parlamento europeo ha chiesto di aumentare il finanziamento dell’aborto nel mondo per compensare i tagli della nuova amministrazione americana.

Volgiamo lo sguardo attorno ma non vediamo una grande presa di coscienza della situazione. Veramente si crede di far fronte a questa situazione con il dialogo? Non ci è dato di sapere se ci sarà e quale sarà il livello oltre il quale i cattolici diranno di no e si tireranno fuori. Quale soglia dovrà essere superata perché si dica no allo Stato oppure no all’Europa?

Molti si chiedono cosa fare. Certamente la prima cosa da fare è tornare a fare quello che si sarebbe dovuto fare; impegnarsi e battersi per i principi non negoziabili. A seguito del “caso San Camillo” ricordato sopra, il generale atteggiamento dei cattolici è stato di protestare perché così “viene snaturata la legge 194”. In questo modo i cattolici si sono atteggiati a difensori della legge che permette l’aborto. I cattolici hanno smesso da molto tempo di combattere contro quella legge ed ora se ne fanno paladini. E’ la logica del male minore che presenta il conto. I cattolici hanno anche ormai cessato di lottare contro lo stravolgimento delle legge 40 sulla fecondazione assistita. Lo stesso dicasi per la Cirinnà. Ora, la prima cosa da fare è ricominciare a combattere.

Oltre a stare “dentro” combattendo, i cattolici dovrebbero però cominciare a pensare anche a costruire scialuppe di salvataggio e arche di Noè. Iniziative ed opere – scuole prima di tutto – libere perché viventi al di fuori dello Stato. Come fecero dopo l’Unità d’Italia, ma in forme nuove. Se l’obbligo a fare il male diventa istituzionale, bisogna tirarsi fuori il più possibile dalle istituzioni.

Stefano Fontana

Direttore dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân
http://www.vanthuanobservatory.org/notizie-dsc/notizia-dsc.php?lang=it&id=2466

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Il mio deputato è stato bravo?

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Il Beato Giuseppe Toniolo contro lo spretato Romolo Murri XVII legislatura – Comportamento dei parlamentari 

 

  1. Noi cattolici molto spesso ci fidiamo troppo e votiamo in base ai “sentito dire”.
    C'è anche chi controlla i programmi pre-elezioni… ma quasi mai ci ricordiamo di verificare a posteriori se le promesse sono state mantenute.

     
  2. Per aiutare il discernimento, anche in vista delle prossime elezioni, sono stati esaminati – in modo imparziale e basandosi sulle fonti ufficiali di Camera e Senato – i comportamenti di tutti i deputati e senatori.
     
  3. L’attenzione è stata limitata alle sei leggi contro la famiglia varate dal Governo del Partito Democratico e Area Popolare (Nuovo Centro-Destra, UDC) e riassunti in un file excel di facile consultazione che permette una verifica puntuale di comportamenti dei singoli e dei partiti.
    Si può scaricare cliccando qui:
    http://www.fattisentire.org/db/20170210_Leggi_sensibili_riepilogo.zip
     
  4. Le leggi analizzate sono le seguenti:
  • Semplificazione del procedimento per divorziare
  • Divorzio breve
  • Buona scuola (introduzione del “gender” al comma 16)
  • Ius culturae (annacquamento dell’identità italiana)
  • Unioni civili (nozze gay)
  • Cyberbullismo (divieto di dissentire dalla diffusione dell’omo‑sessualismo)

Per ciascuna votazione, sia della Camera che del Senato, le valutazione sono state attribuite così:
favorevole alla legge anti-famiglia, punti -2
contrario alla legge anti-famiglia, punti +1
astenuto o assente, punti -1

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Il risultato è ricco di sorprese: quasi tutti coloro che davanti alla TV si proclamano difensori della vita e della famiglia hanno qualche pecca.
Tuttavia, ci sono anche 6 deputati e 7 senatori che hanno votato sempre bene ma nessuno lo dice.

Vediamo subito i nomi dei “bravi”:

  • DEPUTATI a punteggio pieno:
  1. Borghesi Stefano (LEGA NORD, Circoscrizione Lombardia 2)
  2. Bragantini Matteo (Gruppo Misto, Circoscr. Veneto 1)
  3. Guidesi Guido (LEGA NORD, Lombardia 3)
  4. Molteni Nicola (LEGA NORD, Lombardia 2)
  5. Prataviera Emanuele (Gruppo Misto, Veneto 2)
  6. Rondini Marco (LEGA NORD, Lombardia 1)
  • SENATORI a punteggio pieno:
  1. Aracri Francesco (FORZA ITALIA Lazio)
  2. Bruni Francesco (Conservatori&Riform, Puglia)
  3. D’Ambrosio Lettieri Luigi (Conservatori&Riform, Puglia)
  4. Gasparri Maurizio (FORZA ITALIA Lazio)
  5. Mandelli Andrea (FORZA ITALIA Lombardia)
  6. Milo Antonio (ALA Scelta civica, Campania)
  7. Tarquinio Lucio (Conservatori&Rifor, Puglia).
     

Meno sorprese, invece, per quanto riguarda la valutazione complessiva del voto medio dei partiti.

  • Camera, i due peggiori partiti sono:
    • Partito Democratico (punti medi -9,98)
    • Minoranze linguistiche (punti medi -9,67).
  • I due migliori sono:
    • Gruppo Misto – Fare! (punti +4,67)
    • Lega Nord (+1,04).
  • Senato, i due peggiori:
    • Partito Democratico (punti -7,61)
    • Area Popolare – Nuovo Centro-Destra – UDC (punti – 5,82).
  • I due migliori:
    • Conservatori e Riformisti (punti +1,44)
    • Forza Italia (Punti +0,88).

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Da oggi è quindi a disposizione dei cattolici ed in generale di chiunque abbia a cuore la vita e la famiglia uno strumento per non venire di nuovo tradito!

Non facciamoci più buggerare o incantare da promesse e programmi: verifichiamo personalmente chi ci chiede il voto.

Scarichiamolo e facciamolo conoscere a tutti!

 

FattiSentire.org, gennaio 2017

 

 

P.S.
La raccolta di tutti i files excel utili a verificare la visione sintetica è scaricabile da qui:
http://www.fattisentire.org/db/20170210_senato.zip
http://www.fattisentire.org/db/20170210_camera.zip

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Trump: contro il clerically correct

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  L'insensata crociata di Avvenire contro il neopresidente degli Usa

C’è davvero qualcosa che non torna se, di fronte al terrorismo islamico che giura guerra (e la fa) all’America e all’Europa, un presidente che cerca di regolare l’accesso alle frontiere viene additato come xenofobo dal direttore del giornale dei vescovi in un editoriale di martedì. C’è certamente qualcosa che non quadra se chi chiude temporaneamente le entrate ad alcuni paesi dove le ambasciate Usa (come ha spiegato sulla NBQ Stefano Magni) non hanno la possibilità di controllare le identità dei richiedenti asilo, mentre la nostra gente viene uccisa a suon di Kamikaze, viene praticamente additato da Marco Tarquinio come un senza cuore. Peggio, come un mostro paragonabile al capo dei Jihadisti al Bagdadi che ha posto sulle case dei cristiani la “N” di Nazareno per dare il via a una carneficina. Soprattutto c’è qualcosa di sospetto, dato che il direttore di Avvenire non può non sapere che Trump ha promesso di proteggere i cristiani, concedendo loro asili speciali e chiamandone parecchi nella sua squadra di governo. Ancor più difficile credere che sia all'oscuro del fatto che nel 2013 Obama restrinse gli accessi a questi paesi, non per tre, come ha chiesto Trump, ma per ben sei mesi.

D’accordo la critiche sull’opportunità o meno di certe politiche. Come, ad esempio, quella del patriarca iracheno Louis Sako, che ha sconsigliato la corsia preferenziale per i cristiani preoccupato di ulteriori ritorsioni sulla comunità locale (colpa di Trump che li vuole accogliere o delle polemiche incendiate dalla stampa?), ma il livello di livore sulle pagine di quelli che demonizzano i muri in nome del dialogo appare davvero ingiustificabile. Soprattutto se si pensa, anche se si preferisce tacerlo, che la guerra all'Occidente è stata dichiarata ed è solo all'inizio. Dentro un quadro simile si comprende dunque il successivo imbarazzo di fronte a un "al Bagdadi come Trump", che il giorno successivo all’editoriale di Tarquinio ha chiesto la nomina alla Corte Suprema di Neil Gorsuch, uno strenuo difensore della legge naturale:“Un giudice conservatore per la Corte suprema”, ha titolato Avvenire sottolineando le critiche anticlericali e femministe sul fatto che Gorsuch sarebbe “contro i lavoratori” e “ostile ai diritti delle donne”, piuttosto che ricordare la sua difesa della libertà religiosa in diverse cause, tra cui quella delle Little Sister of the Poor. L’ordine di suore che assistono la popolazione americana più bisognosa e che Obama voleva bloccare nella loro attività solo perché contrarie all’aborto e alla contraccezione. Ad aggravare lo smarrimento è lo spazio esiguo dato alla notizia dei provvedimenti del presidente contrari all’aborto e quella dell’invio storico, per la prima volta da quando l’aborto è legale in Usa, del suo vice Mike Pence alla Marcia per la Vita di Washigton, per dire “a nome del Presidente degli Stati Uniti (…) Siate certi, ma certi, che insieme a voi, noi non ci stancheremo, non avremo pace finché non avremo ripristinato una cultura della vita in America”.

A questo punto, però, è inevitabile chiedersi cosa rappresenta di così pericoloso Trump, per suscitare in chi ama parlare di “ponti” un astio tanto irrazionale da falsificare la realtà? L’editoriale di Tarquinio descrive, usando i termini irenisti e semplicisti dell’ideologia globale, del sogno di una “casa comune” che vieta di ergere “muri” , accusando Trump di disinteresse per i “poveri” . Ora, a parte il fatto che il direttore di Avvenire non può non sapere che la classe media americana è scomparsa sotto la presidenza del liberal Obama, e non può nemmeno non porsi qualche domanda davanti all’odio che nutrono per le ricette del neo eletto presidente le multinazionali e i "big" della Silicon Valley (che si arricchiscono con fatturati miliardari dando lavoro a un numero esiguo di persone, come spiega Baldini sulla Verità di ieri), in questo modo la voce dei vescovi viene ridotta a politica. Un quotidiano espressione dell’episcopato dovrebbe infatti preoccuparsi più che altro di evangelizzare, leggendo i fatti alla luce della fede in Gesù Cristo e del suo Magistero, che ha il compito di difendere l’uomo da un potere che odia i princìpi della vita e della famiglia. Quelli che la Chiesa ha sempre riconosciuto come gli unici non negoziabili nel valutare la politica, perché strettamente legati alla difesa della fede e perché unico antidoto al potere mondano.

Assumere invece il linguaggio della globalizzazione, dell’ideologia multiculturale, significa servire queste due filosofie diaboliche che mirano a livellare tutte le identità a una, quella dell’Occidente laico che vuole appiattire l’uomo ai suoi istinti per farne uno schiavo. E sì che la dottrina sociale della Chiesa mette in guardia dal pacifismo e dall’egualitarismo ricordando che non c’è uguaglianza senza riconoscimento di situazioni differenti, che non esiste dialogo senza identità forti, che non c’è prosperità senza valorizzazione della propria economia. Che non si ottiene stabilità senza difesa dei confini, anche quando non piacesse alla Germania che fa da bandiera alla globalizzazione per soggiogare gli altri paesi europei, come ha denunciato martedì il consigliere economico di Trump, Peter Navarro. Ma si sa che svelare certe cose spaventa quanti strizzano l’occhio a chi è espressione di quel potere e a chi, come Gentiloni, ha twittato contro Trump: “Società aperta, identità plurale, nessuna discriminazione”. Proprio secondo l’utopia descritta che ha ben poco a che fare con il realismo cristiano di una pace sofferta e che si ottiene anche combattendo. 

Solo un cristianesimo che perde l’orizzonte verticale e che mira ad espandersi attraverso la tattica fatta di silenzi sulla verità, nell’illusione di allargare la sua cerchia di consensi, può arrivare all'odio di sé e di chiunque gli ricordi la sua vera identità. Eppure questa pare la mentalità che va per la maggioranza fra i vertici della Chiesa che, mentre accusano quanti difendono i princìpi non negoziabili di tentazione egemonica (peccato che non ci sia nulla di più socialmente invalidante oggi), dimenticano la fede nell’Aldilà per un piatto di lenticchie servito da chi usa l’umanitarismo per distruggere i popoli. Siamo dunque al paradosso di una fetta di cristiani pro Trump che, combattendo per un posto lassù, si sente più rappresentata da un presidente che promette di arginare l’ideologia dei nemici della fede (si può ancora usare questa parola e chiedere di essere difesi senza accuse di integrismo tipico delle personalità deboli?), che dai loro pastori "accoglienti". E attualmente più indaffarati a fare politica e schierarsi contro un presidente americano che, ridando speranza alla Chiesa militante messa all'angolo, mette in crisi il loro piano mondano di assicurarsi un posto quaggiù.

Benedetta Frigerio: http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-trump-che-non-t-aspetti-contro-il-clerically-correct-18842.htm
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TRUMP AFFERMA CHE LA LIBERTA' NON E' UN DONO DEL GOVERNO, MA DI DIO

 Mentre da due giorni girava una foto del presidente Donald J. Trump in preghiera alla Casa Bianca insieme al suo Vice Mike Pence, noto cristiano pro life, al suo portavoce Sean Spicer, cristiano convinto che la fede debba plasmare l'attività politica, alla moglie e il figlio sacerdote cattolico del giudice defunto della Corte Suprema, Antonin Scalia, e al suo sostituto Neil Gorsuch, giovedì scorso il presidente pronunciava a braccio il suo discorso al National Prayer Breakfast. Durante l'evento, a cui ogni anno partecipano i rappresentati delle religioni di tutto il mondo, risuonavano queste parole: "Qui a Washington non smetteremo mai e poi mai di chiedere a Dio la saggezza per servire il popolo secondo la sua volontà".

Una frase che stride solo perché di Obama non è nota appena l'immagine con cui prega insieme ai musulmani genuflesso come loro, ma anche i suoi discorsi diametralmente opposti. Basti prendere quello al National Prayer Breakfast del 2015, dove parlava della fede come "fonte di divisioni e di atti terroristici", dell'Isis come "tradimento dell'Islam", così come delle crociate messe sullo stesso piano del terrorismo islamico, veri e propri "atti barbarici commessi in nome di Cristo". Trump, giovedì, ha ribaltato i termini, spiegando che la fede "fa avanzare" e "prosperare l'America".

STO PREGANDO PER TE
E' la fede "insieme alla vostra preghiera che mi ha sostenuto in momenti molto duri". Trump ha quindi voluto cominciare chiedendo preghiere e ringraziando gli americani "le cui parole e preghiere sono state una continua fonte di forza". In campagna elettorale, ha continuato, "ho girato tutto il paese e le parole che ho sentito più spesso sono queste cinque parole, che mai, mai una volta hanno mancato di toccare il mio cuore: "I'm praying for you". Ho sentito così spesso dire: "Sto pregando per te mister president".
Poi il presidente Usa ha elogiato la "famiglia" dell'esercito, come a rinnovare la sua intenzione di rinforzarlo, ricordando la sua partecipazione recente al funerale di un ufficiale che "ha dato la vita in difesa della nostra gente: la sua morte per lui, e anche per la sua famiglia, non è eterna, la sua vita è senza fine". E poi ancora: "Non dimenticheremo mai le persone che indossano l'uniforme. Da generazioni la loro vigilanza ha permesso alla nostra libertà di esistere, la nostra libertà ha vinto grazie al loro sacrificio e la nostra sicurezza è mantenuta tramite il loro sudore, il loro sangue e le loro lacrime. Dio ha benedetto la nostra terra dandoci persone così, eroi e patrioti, davvero molto, molto speciali, perciò noi ci prenderemo cura di loro".

Il presidente ha successivamente fatto un passaggio sull'origine vera della crisi e della povertà dilagante che ha suscitato nel pubblico un lungo e commosso applauso: "L'America è una nazione di credenti", perciò ha promesso "noi non ci dimentichiamo facilmente, è così facile dimenticarselo, che la qualità della nostra vita non dipende dal nostro successo materiale ma dal nostro successo spirituale. Ve lo dico da uno che ha avuto successo materiale" ma che sa "che molti di quelli che hanno avuto successo materiale sono miserabili e infelici, mentre conosco molte persone felici con una grande famiglia e una grande fede e che non hanno soldi, almeno non quanto loro".

Trump ha quindi chiarito di conoscere la responsabilità di chi, come lui, ha ottenuto molto nella vita: "Ho avuto la grazia di crescere in una famiglia di cristiani praticanti, mia madre e mio padre mi hanno insegnato che a chi viene dato di più, di più viene chiesto". E qui ha ricordato l'origine dei valori americani, dalla "Bibbia con cui mia madre ci educava da piccoli". Poi, ammettendo che "le persone presenti in questa stanza vengono da background diversi" e che "ciò che ci unisce tutti è la fede nel nostro creatore e la ferma credenza che siamo tutti uguali ai suoi occhi", ha preso le distanze dal materialismo statalista, secondo cui i diritti vengono dal governo: "Non siamo solo carne, sangue e ossa siamo esseri umani con un'anima. La nostra repubblica si è fondata sulle base del fatto che la libertà non è un dono del governo, ma la libertà è un dono di Dio. Eh sì, è stato il grande Thomas Jefferson a dire che "il Dio che ci ha dato la vita, ci ha dato la libertà". Jefferson poi chiede: "Può la libertà di una nazione essere al sicuro quando viene rimossa la convinzione che questa libertà viene da Dio?".

LA LIBERTÀ RELIGIOSA È MINACCIATA OVUNQUE
Inoltre, mentre le agenzie riportavano la notizia diffusa da "The Nation", circa un provvedimento federale che tutelerebbe l'obiezione di coscienza, cancellando le norme obamiane che sanzionano quanti si rifiutano di pagare la contraccezione e l'aborto nelle assicurazioni o di allinearsi al pensiero omosessualista, Trump spiegava: "Fra queste libertà c'è quella di professare la fede secondo il proprio credo, questa è la ragione per cui mi sbarazzerò e straccerò integralmente il "Johnson amendment" (emendamento del 1954 che proibisce alle denominazioni e associazioni religiose di appoggiare un candidato politico, di fatto mettendo in pericolo la libertà di intervenire ed esprimersi rispetto alla cosa pubblica) permettendo così ai rappresentati delle fedi di parlare liberamente e senza paura di sanzioni. Lo farò. Ricordatevelo!". Anche perché, "la libertà religiosa è un diritto sacro, ma questo diritto è minacciato ovunque".

Di qui l'affondo sullo scenario globale e sulla "seria, seria minaccia espressa in molti modi, non me ne ero mai reso conto così tanto e così apertamente da quando mi sono insediato come presidente, che il mondo è davvero in pericolo". Ma, ha chiarito giurando guerra ai nemici della libertà religiosa, "noi ne usciremo. Questo è quello che devo fare, risolvere i problemi e lo faremo, ne usciremo. Credetemi". Anche se questo ci costringe "ad essere duri, è tempo che usiamo un po' di durezza" dato che "abbiamo visto violenze incredibili", violenze "contro le minoranze religiose" da parte del terrorismo che "minaccia la libertà religiosa: deve essere fermato e sarà fermato". Non illudendo nessuno di una pace facile e senza costi, Trump non ha quindi nascosto che "potrebbe non essere facile per un certo periodo di tempo, ma servirà a fermarlo".

ABBIAMO COMINCIATO
Per quanto riguarda le minoranza perseguitate il presidente non ha fatto differenze, citando "i musulmani amorevoli e pacifici brutalizzati, vittimizzati, uccisi e perseguitati dagli assassini dell'Isis", ricordando "le minacce e lo sterminio degli ebrei" e soprattutto "la campagna dell'Isis e un genocidio dei cristiani a cui sono state tagliate le teste come non accadeva da Medioevo, perché è da allora che non vediamo la decapitazione (…) tutte le nazioni hanno il dovere di parlare contro violenze simili, tutte le nazioni hanno il dovere  di lavorare insieme e di affrontarli con la forza se è necessario. Quello che dico oggi agli americani è che la mia amministrazione farà tutto quello che è in suo potere per difendere e proteggere la libertà religiosa nel nostro paese. L'America rimarrà una società come sempre tollerante e rispettosa dove tutti i cittadini si possano sentire protetti e sicuri, dobbiamo sentirci protetti e sicuri".

Già in questi giorni, ha sottolineato rispondendo alle violente polemiche e menzogne sui suoi provvedimenti, "abbiamo cominciato ad agire per raggiungere questo scopo: la nostra nazione ha il sistema di immigrazione più generoso del mondo, ma ci sono quelli che usano della nostra generosità per minacciare i valori in cui crediamo, per questo ora abbiamo bisogno di sicurezza".

E affermando quello che ci si aspetta da ogni statista ha assicurato che se è vero che "c'è chi cerca di entrare nel nostro paese per diffondere la violenza (…) non permetteremo nemmeno a una piccola parte di questa violenza di diffondersi nella nostra nazione". L'immigrazione sarà quindi controllato cercando "di sviluppare un sistema per aiutare ad assicurare che chi viene ammesso nel nostro paese abbracci pienamente i nostri valori, la nostra religione e libertà personale e che respinga ogni forma di oppressione e discriminazione.

UN PAESE SICURO E LIBERO
Vogliamo che le persone entrino nel nostro paese, ma vogliamo persone che amino noi e i nostri valori non che odino noi e i nostri valori. Saremo così un paese sicuro e libero, un paese dove ogni cittadino possa vivere la propria fede senza la paura dell'ostilità o della violenza. L'America, infatti, prospererà solo se alla nostra libertà e particolarmente alla nostra libertà religiosa sarà permesso di fiorire.

L'America avrà successo solo se ai nostri cittadini più vulnerabili, e abbiamo tanti cittadini indifesi, verrà data una via possibile per avere successo". Ma soprattutto "l'America prospererà solo nel momento in cui continueremo ad avere fiducia l'uno nell'altro e fede in Dio". Perché, secondo Trump, è "questa fede in Dio ad aver ispirato molti uomini e donne a sacrificarsi per i bisognosi (…) per assicurare uguali diritti alle donne, uomini e bambini del nostro paese". Il presidente non ha dimenticato che le radici degli Stati Uniti sono "la fede che ha spinto i padri pellegrini ad attraversare l'oceano (…) e tutti coloro che hanno raggiunto la nostra terra a coronare il proprio sogno (…) noi ripristineremo questi sogni nel momento in cui avremo Dio con noi, mai da soli (…) è Dio che ci darà sempre consolazione, forza e conforto, abbiamo bisogno di andare avanti così".

Quindi la promessa: "Qui a Washington non smetteremo mai, mai di chiedere a Dio la saggezza per servire il popolo secondo la sua volontà. Questa è la ragione per cui il presidente Eisenhower e il senatore Carlson avevano avuto la saggezza di incontrarsi qui e di iniziare questa tradizione 64 anni fa. Ma questa non è l'unica cosa che hanno fatto insieme, fatemi raccontare tutta la storia: il sentore Carlson è stato fra i membri del Congresso ad inviare al presidente una risoluzione congiunta che fece aggiungere al "Pledge allegiance" (il giuramento di alleanza alla bandiera americana, ndr) la formula "al cospetto di Dio", perché questa è la nostra identità ed è quello che sempre saremo. Ed è quello che vuole il nostro popolo. Essere una bella nazione al cospetto Dio. Grazie, che vi benedica. Dio benedica l'America".

di Benedetta Frigerio per La Nuova Bussola Quotidiana, 04-02-2017

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Ecco il giudice pro-life scelto da Trump

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 Ecco il giudice pro-life scelto da Trump quale erede di Scalia

 

 Neil M. Gorsuch è il giudice scelto dal presidente Donald J. Trump per la Corte Suprema federale. Scelta ottima sul piano tecnico poiché la sua carriera è impeccabile e ottima sul piano politico-culturale perché è l’opposto alla deriva trionfata durante la presidenza di Barack Obama.

 

 49 anni, di Denver in Colorado, episcopaliano (gli anglicani americani), se confermato sarà il giudice supremo più giovane da che il presidente George W.H. Bush Sr. nominò nel 1991 il 43enne Clarence Thomas. Sua madre, Anne Gorsuch Burford (1942-2004), tra il 1981 e il 1983 è stata la prima donna amministratrice dell’Agenzia per l’ambiente, nominata dal presidente Ronald Reagan (1911-2004).

Nel 1988 ha conseguito la laurea di primo livello alla Columbia University, nel 1991 il titolo di Juris Doctor ad Harvard e nel 2004 il Ph.D. in Giurisprudenza allo University College di Oxford sotto la supervisione di un campione del diritto naturale come l’australiano John Finnis, autore di testi imprescindibili quali Gli assoluti morali. Tradizione, revisione & verità (trad. it. Ares, Milano 1998) e Dio, l’uomo, il mondo e la società in Tommaso d’Aquino (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2014), in Italia studiato, tra gli altri, da Fulvio Di Blasi e Tommaso Scandroglio.

Poi ha operato come assistente del giudice David B. Sentelle nella Corte d’appello del Circuito di Washington dal 1991 al 1992 e come assistente dei giudici della Corte Suprema federale Byron White (1917-2002) e Anthony Kennedy dal 1993 al 1994. Avvocato per la Kellogg, Huber, Hansen, Todd, Evans & Figel di Washingon dal 1995, nel 2005 è stato nominato Vice Procuratore generale associato e il 10 maggio 2006 il presidente George W. Bush jr. lo ha voluto alla Corte d’appello del Decimo Circuito, confermato all’unanimità dall’apposita Commissione del Senato incaricata della ratifica.

Non appena Trump lo ha scelto, Ilyse Hogue, presidente di una delle maggiori lobby abortiste di Washington, il NARAL Pro-Choice America, ha sparato a zero dicendo «con la sua sola esistenza Gorsuch rappresenta una minaccia all’aborto legale» e che dunque «[…] non dovrà mai indossare la toga di giudice della Corte Suprema».

In realtà, Gorsuch di aborto non si è mai dovuto occupare direttamente, ma di eutanasia sì, difendendo la sacralità della vita umana e scrivendo un libro, The Future of Assisted Suicide and Euthanasia (Princeton Univeristy Press, Providence [New Jersey] 2006). Un altro suo cavallo di battaglia è la difesa della libertà religiosa. Famoso il suo coinvolgimento nel caso della Hobby Lobby Stores Inc., la catena di hobbistica e oggettistica di Oklahoma City gestita da David e Barbara Green (500 esercizi per 13mila assunti), che l’“Obamacare” voleva costringere (come voleva costringere tutti i datori di lavoro) a passare “come mutua” ai dipendenti metodi per il controllo delle nascite (contraccezione, aborto, sterilizzazione). Nel 2012 i Green fecero causa, nel 2013 Gorsuch si schierò con loro in appello e nel 2014 la Corte Suprema ha chiuso il caso a favore di Hobby Lobby.

Il giudice scelto da Trump ha pure sostenuto le Piccole sorelle dei poveri, un ordine di suore cattoliche analogamente oppostesi nel 2012 agli obblighi immorali dell’“Obamacare” e altrettanto premiate dalla Corte Suprema nel maggio 2016, e più volte ha difeso il diritto degli americani alla dimensione anche pubblica della fede cristiana.

Oggi Gorsuch è necessario perché la scomparsa di Antonin G. Scalia (1936-2016), gran conservatore cattolico, ha lasciato vacante uno dei nove seggi a vita del massimo tribunale americano. Subito dopo la sua scomparsa, Obama cercò di sostituire Scalia con il progressista Merrick Garland, ma infuocava la campagna elettorale e i Repubblicani, che controllavano (e ancora controllano) il Congresso cui spetta la conferma o la bocciatura del prescelto presidenziale attraverso gli appositi test della Commissione senatoriale ad hoc, sono riusciti a rimandare sine die il calendario delle audizioni fino a far decadere l’indicazione di Obama per intervenuto cambio di guardia alla Casa Bianca. Merrick avrebbe infatti reso impari la sfida, consegnando all’ala liberal della Corte Suprema un vantaggio enorme (6 a 3), difficilissimo da colmare.

Nel pieno del dibattito, e delle primarie, Trump promise quindi che avrebbe immediatamente nominato, qualora ne avesse avuto la possibilità in quanto presidente, un giudice nel solco di Scalia e così ha fatto, come su National Review evidenziano Ramesh Ponnuru ed Ed Wheelan, ma pure, dall’alta parte dello spettro politico, Adam Liptak su The New York Times. Il “marchio” di Scalia cui i conservatori non vogliono rinunciare è infatti l’“originalismo”, ovvero l’interpretazione della Costituzione in base all’intento originario dei Padri fondatori e rigorosamente al testo scritto, evitando ogni altra considerazione, aggiunta o pressione, dunque anche applicandosi per appurare la mentalità e la cultura che produsse la legge fondamentale del Paese così come essa è da più di due secoli, nella convinzione che quanto stabilito dai costituenti allora sia fondato su princìpi sempiterni. Ne tratta bene uno studio fondamentale, Originalism: A Quarter-Century of Debate curato da Steven G. Calabresi con una premessa proprio di Scalia (Regnery, Washington 2007), e l’idea è da sempre la bestia nera dei liberal poiché ne ferma le ermeneutiche di rottura. Del resto, nel 1973 la Corte Suprema legalizzò l’aborto scovando “tra le righe” del testo costituzionale un inesistente “diritto alla privacy” delle donne entro cui è stata fatta rientrare la soppressione dei bambini non-nati. Ebbene, “originalista” è dichiaratamente anche Gorsuch (cosa di per sé non scontata nemmeno tra i giuristi conservatori). Per questo la direzione di National Review sentenzia già «una vittoria per la Costituzione».

Jeremy Kidd, della Mercer University di Macon in Georgia, ha persino stilato uno “Scalia Index” per valutare il tasso di vicinanza al giudice defunto dei papabili di Trump e Gorsuch è più che promosso. La prima cosa che ha fatto dopo essere stato scelto è stato infatti rendere omaggio alla vedova di Scalia, Maureen, e a suo figlio Paul, sacerdote cattolico.

Che la battaglia per i princìpi sia davvero una… questione di giustizia lo mostra un ottimo studio qual è The Rise of the Conservative Legal Movement: The Battle for Control of the Law (Princeton University Press, Providence 2008) di Steven M. Tales. Trump sembra averlo capito bene.

 

di Marco Respinti, per http://www.lanuovabq.it/it/articoli-ecco-il-giudice-pro-life-scelto-da-trump-quale-erede-di-scalia-18820.htm

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Trump: quello che i tiggi non dicono…

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  Donald Trump inverte la rotta su aborto e gay

 Il 20 gennaio 2017 Donald Trump, nel corso di una solenne cerimonia a Capitol Hill, ha giurato come quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti, recitando la classica formula di rito sulla Bibbia, davanti ad oltre un milione di persone.

Nel suo discorso di insediamento il neo presidente americano ha utilizzato i toni schietti e duri della campagna elettorale, confermando, senza giri di parole, le sue intenzioni di “rivoltare il banco”: «A partire da adesso cambia tutto (…) il potere da Washington torna nelle mani del popolo americano. (…) Questo momento vi appartiene. Affronteremo sfide e ci confronteremo. Siamo una sola nazione, condividiamo un solo cuore, una sola casa e un solo destino glorioso. Il giuramento di oggi è un giuramento di alleanza con tutti gli americani. Per molti decenni abbiamo arricchito le industrie estere, abbiamo difeso i confini di altre nazioni rifiutando di difendere i nostri confini. Abbiamo speso trilioni e trilioni di dollari all’estero mente le infrastrutture americane sono state lasciate in rovina. (…) La nostra politica sarà molto semplice. Compra americano, assumi americani. Ricostruiremo il nostro Paese con lavoro e mani americane. Insieme determineremo il corso dell’America e del mondo per molti anni a venire».

Parole chiare e, secondo il suo stile, “politicamente scorrette”, alle quali hanno fatto immediatamente seguito due importanti atti concreti: lo stop ai fondi federali per l’aborto e la rimozione della sezione LGBT dal sito web della Casa Bianca.
All’indomani della sua elezione e il giorno successivo alla 44esima ricorrenza della famigerata sentenza della Corte Suprema Roe vs. Wade che ha introdotto l’aborto negli Stati Uniti nel 1973, Donald Trump ha infatti firmato un ordine esecutivo che ha ripristinato la Mexico City Policy.

La Mexico City Policy, denominata così perché annunciata durante la Conferenza Internazionale delle Nazioni Unite sulla Popolazione che si tenne a Città del Messico nel 1984, è la policy che blocca i finanziamenti del governo federale alle organizzazioni non governative internazionali che praticano o promuovono all’estero l’aborto.
La regola, introdotta dall’amministrazione di Ronald Reagan nel 1985 e mantenuta da G. W. Bush senior, è stata poi rimossa da Bill Clinton nel 1993, ripristinata da George W. Bush nel 2001, ed infine eliminata nuovamente da Barack Obama nel 2009.

Grazie alla reintroduzione della Mexico City Policy, le ONG come International Planned Parenthood Federation (IPFF) e Pathfinder International, impegnate in tutto il mondo a promuovere e diffondere la pratica dell’aborto, non riceveranno più i lauti fondi dall’Agenzia americana per lo sviluppo internazionale.

Interrogato sul tema, il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer ha spiegato ai giornalisti come l’ordine esecutivo appena firmato dal neo presidente sia del tutto normale e scontato, viste le note posizioni di Trump in materia di aborto: «È risaputo che il presidente ha posizioni pro-life, lo ha fatto sapere in modo chiaro. (…) Il presidente vuole difendere tutti gli americani, anche quelli che non sono ancora nati, e penso che la reintroduzione di questa norma non sia soltanto un modo per riflettere questo valore ma anche per rispettare i contribuenti».

Donald Trump, appena insediatosi, inverte dunque la rotta abortista intrapresa dagli Stati Uniti in questi ultimi otto anni sotto l’amministrazione Obama, una folle politica ideologica che, nel solo 2016, secondo una stima del Guttmacher Institute, ha portato gli Stati Uniti a finanziare organizzazioni abortiste in tutto il mondo per ben 607,5 milioni di dollari (quasi 566 milioni di euro).

A conferma della nuova linea pro life degli Stati Uniti d’America vi è inoltre la notizia che il vice-presidente Mike Pence venerdì 27 gennaio parlerà dal palco dell’annuale March for Life di Washington.
Un’inedita e assai significativa presenza che fa ben sperare per il proseguo dell’operato pro-life dell’amministrazione Trump.

Il secondo importante atto in netta discontinuità nei confronti della precedente amministrazione e del diktat etico dell’establishment globale, è stata l’immediata rimozione dal sito della Casa Bianca dell’intera sezione dedicata ai “diritti” LGBT.
Un’area riservata del sito governativo, raggiungibile all’indirizzo web whitehouse.gov/lgbt, in cui l’ormai ex presidente Barack Obama che aveva fatto della “causa omosessuale” una delle sue priorità di governo, teneva informati i suoi elettori e, in particolare, le lobby gay, sullo stato di avanzamento delle sue tante iniziative legislative in materia di “diritti” LGBT.

Ora collegandosi alla pagina web LGBT si viene accolti da un messaggio che recita: «Iscriviti per avere aggiornamenti sul presidente Donald J. Trump!» e «Spiacenti, la pagina che stai cercando non è stata trovata» accanto al nuovo logo presidenziale del presidente.
La rimozione della sezione LGBT dal sito della Casa Bianca ha determinato prevedibili ripercussioni sul web e sui social, dove gli attivisti gay si sono scagliati contro la nuova Amministrazione chiedendo l’immediato ripristino dell’area web “arcobaleno” governativa.

Alle polemiche e agli attacchi delle organizzazioni LGBT ha risposto un funzionario della Casa Bianca che si è giustificato dichiarando come l’amministrazione Obama si sia impegnata a ripulire i propri account digitali e tutte le piattaforme prima della riconsegna e che il nuovo sito sarà presto aggiornato con ulteriori informazioni: «L’Amministrazione Trump popolerà il sito con i nuovi contenuti nelle settimane e nei mesi successivi».

Ci auguriamo che anche qui Trump e il suo staff, tra i quali figurano personalità con posizioni notoriamente anti-gay, invertano con fatti concreti la catastrofica “rotta arcobaleno” intrapresa dagli Stati Uniti negli ultimi 8 anni, istituendo leggi e normative che avviino un processo di de-omosessualizzazione degli Stati Uniti.

(Lupo Glori per http://www.corrispondenzaromana.it/donald-trump-inverte-la-rotta-su-aborto-e-gay/)

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Obama: un bilancio fallimentare

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 Otto anni di Obama: un bilancio fallimentare

Dalla riforma sanitaria alle primavere arabe: tutti i “flop” del presidente uscente. Il giornalista Marco Respinti, esperto di politica americana, spiega: “Nemmeno la ripresa economica è merito suo”

 

Difficile salvare qualcosa degli otto anni di presidenza Obama. Assolutamente negativo è il bilancio che ne trae in un’intervista con ZENIT, Marco Respinti, giornalista professionista, saggista, traduttore, studioso del pensiero conservatore anglosassone, Senior Fellow a The Russell Kirk Center for Cultural Renewal (Michigan).

Secondo Respinti, Obama, che domani lascerà ufficialmente la Casa Bianca, cedendo il testimone a Donald Trump, ha rinnegato i valori che da oltre due secoli animano gli Stati Uniti d’America, al punto da meritarsi l’appellativo di “primo presidente post-americano della storia”.

Anche le pagine apparentemente più brillanti della sua amministrazione, come la ripresa economica dopo la più grande crisi finanziaria degli ultimi settant’anni, sono in realtà più ascrivibili alla tenacia della società civile americana e al suo genio imprenditoriale che non alle politiche del suo presidente. Eppure Obama è ancora convinto di passare alla storia, come dimostra il “profilo alto” che sta mantenendo fino all’ultimo.

Partiamo dall’attualità: a differenza della maggior parte dei suoi predecessori, Obama non sembra affatto intenzionato a una conclusione di mandato in sordina: ripetute feste d’addio con i vip, la fine della politica wet foot, dry foot con gli immigrati cubani ma, soprattutto, la voce grossa con la Russia e con il presunto spionaggio alle ultime elezioni presidenziali. A cosa è dovuto questo “colpo di coda” nel protagonismo del presidente uscente?

Ritengo sia dovuto a due ordini di cose. Il primo è la convinzione di essere un personaggio da libri di storia (il primo presidente nero degli Stati Uniti, il Premio Nobel “alla carriera” prima ancora di averlo meritato…); forte di questa idea, Barack Obama ha fatto di tutto per chiudere con un colpo di teatro. Il secondo è che ha poca intenzione di andare “in pensione”: dopo la disfatta di Hillary Clinton nella corsa alla Casa Bianca e la rotonda sconfitta del Partito Democratico al Congresso federale, il fronte liberal è tutto da ricostruire e il parterre dei suoi potenti supporter da rassicurare. I suoi ultimi fuochi sono un messaggio: “non me vado del tutto”…

Otto anni fa, al suo insediamento, Obama aveva promesso epocali cambiamenti sia in politica interna che estera. «Change» è stata a lungo la parola chiave della sua amministrazione. È stato davvero così?

Sì, ma in peggio. Gli Stati Uniti di oggi non sono affatto migliori di quelli di ieri; non tutti i guasti sono imputabili a Obama ma di molti è responsabile l’ideologia con cui il presidente ha guidato il Paese. Lo ha scritto lo stesso Obama su The Economist e in Italia su la Repubblica ammettendo che, alla fine della sua era, vi è «[…] scontento diffuso in tutto il mondo», «[…] scetticismo verso le istituzioni internazionali, gli accordi commerciali e l’immigrazione», «[…] produttività in calo e […] aumento delle ineguaglianze» che «[…] hanno rallentato la crescita degli introiti delle famiglie a basso e medio reddito. La globalizzazione e l’automazione hanno indebolito la posizione dei lavoratori e la loro capacità di garantirsi un salario dignitoso». Un disastro, insomma.

In politica interna, la più grossa innovazione portata dall’amministrazione Obama è stata la riforma sanitaria: che bilancio se ne può trarre a quasi sette anni dall’approvazione?

La cosiddetta Obamacare non ha affatto garantito la copertura sanitaria a tutti i cittadini americani, ma in compenso ha aumentato a dismisura i costi, complicando il sistema in maniera insostenibile. Inoltre, un numero enorme di americani vive oggi di food-stamp, quei sussidi che asservono le persone a uno Stato che le considera solo riserve elettorali, laddove sarebbe invece bastato ridurre drasticamente le tasse e dimagrire la macchina pubblica per innescare quel circolo virtuoso mediante il quale i cittadini invece di farsi mantenere divengono imprenditori di se stessi. Se gli Stati Uniti hanno oggi superato la crisi economica meglio di altri Paesi, soprattutto europei, lo si deve infatti soltanto alla solerzia e all’industriosità degli americani che nonostante l’Amministrazione Obama, e non per suo merito, sono riusciti a sfangarla…

Che dire, invece, della politica estera?

Sul piano internazionale, le scelte insipienti della Casa Bianca hanno prodotto instabilità e insicurezza: il fallimento delle “primavere arabe”, la guerra sbagliata in Libia voluta dagli europei a cui Obama si è accodato, il ritiro sciocco dall’Iraq che ha permesso lo sviluppo dell’ISIS, tutti gli errori compiuti nel disastro siriano e l’inutile provocazione alla Russia. Non bisogna essere dei fan di Vladimir Putin per dirlo.

Un aspetto rilevante della sua politica è stato l’aver messo in discussione la libertà religiosa, con tutto quello che ne consegue…

Dei “princìpi non negoziabili”, Obama è un nemico giurato. L’Obamacare è stata la grande scusa per imporre il controllo della nascite (contraccezione, aborto, sterilizzazione) a spese dei datori di lavoro, ivi comprese le istituzioni religiose. Di aborto e gender Obama è stato un grande sacerdote, e della libertà religiosa il guastatore supremo. L’ha manomessa in tutti i modi, diretti e indiretti, temendo come poche altre cose la sua piena applicazione. Negli USA, infatti, la libertà religiosa è il primo diritto politico dei cittadini, iscritto a lettere d’oro nel primo Emendamento alla Costituzione federale, il che significa che da esso derivano e dipendono tutti gli altri diritti politici. Per com’è espressamente formulato, il diritto alla libertà religiosa è anzitutto diritto all’espressione pubblica della fede, il diritto cioè che la fede sia anche cultura, persino politica. Di questo Obama e il suo mondo hanno paura, e questo Obama e il suo mondo hanno combattuto e combattono con decisione e asprezza.

Per che cosa sarà ricordato, quindi, nei libri di storia, il 44° presidente degli Stati Uniti d’America?

L’ex ambasciatore all’ONU John R. Bolton ha definito Obama il “primo presidente postamericano” della storia. Mi sembra un titolo adeguato.

Qual è stato, a suo avviso il risvolto più positivo degli otto anni di amministrazione Obama?

Fatico a rispondere. Cerco, ma non trovo. Probabilmente l’avere provocato la reazione che ha messo fine alla prosecuzione del suo progetto ideologico via Clinton. Le elezioni per la Casa Bianca e per il Congresso federale dell’8 novembre sono state un referendum su Obama, e Obama ha perso.

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19 gennaio 2017 Notizie dal Mondo

https://it.zenit.org/articles/otto-anni-di-obama-un-bilancio-fallimentare/

[Seguirà domani, venerdì 20 gennaio, una nuova intervista a Marco Respinti, sul programma politico del nuovo presidente USA, Donald Trump]

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Giornata della pace? Verità sulla Siria!

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 ALEPPO, LE MENZOGNE DEI MEDIA E LA REALTÀ VISSUTA DA CHI L’HA VISSUTA.
PARLA UN MEDICO, NABIL ANTAKI.

La fine della battaglia di Aleppo ha segnato un altro episodio di sostanziale vergogna per la maggior parte dell’informazione occidentale, compresa quella italiana. Era solo qualche mese fa che denunciavamo come i media occidentali si facevano strumento della propaganda dei propri governi, e facevamo nostro l’incipit di un commentatore del Boston Globe: “La copertura della guerra siriana sarà ricordata come uno dei più vergognosi episodi nella storia della stampa americana. E i reportage sul massacro nell’antica città di Aleppo ne sono l’ultimo episodio”. 

Per quelli che conoscono l’inglese, è una lettura istruttiva. Ne avevamo tradotto alcune parti in questo articolo.

In realtà doveva ancora venire la copertura delle presidenziali USA, con tutte le élite giornalistiche schierate per Hillary Clinton e partecipi – senza una scusa ai propri lettori traditi – della disfatta. Ma dal momento che tutto si tiene, non possiamo non ricordare che Hillary Clinton è stata una delle artefici del massacro del popolo e della nazione siriana.

La fine della battaglia di Aleppo, che ha ridato acqua, elettricità e libertà – sì, libertà, più di quella che offrivano i tagliagole alleati di Turchia, Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, e difesi (!) dalla UE – ai milioni di cittadini di Aleppo sottoposti negli ultimi quattro anni a bombardamenti quotidiani ignorati dai nostri mezzi di informazione. La foto che vedete è quella dell’albero di Natale che gli aleppini del quartiere di Azizieh hanno eretto per festeggiare il primo Natale senza bombe e morti e feriti da anni. E questo è il video della musica armena suonata per la festa.

Vi offriamo a questo punto la testimonianza di Nabil Antaki, un medico cristiano siriano, la cui lettera è stata pubblicata da Ora Pro Siria, il sito che si è fatto voce della gente reale nel Paese martoriato. Nabil Antaki è un medico che ha deciso di restare ad Aleppo per aiutare i suoi concittadini negli anni di una guerra resa ancora più dura dall’assedio imposto dai ribelli, che privava milioni di persone di acqua ed energia elettrica. I ribelli cosiddetti “moderati” appoggiati dai governi occidentali.

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”Pubblico la mia risposta ad una amica che è stata interpellata da due persone dopo la diffusione della nostra ‘’lettera da Aleppo n. 28’’

Cara F.
Comprendo bene la confusione di uno dei due tuoi interlocutori o il disagio dell’altro, e comprendo anche la tua domanda: ‘qual è la verità? ’

Capisco molto bene la reazione di queste persone sottomesse alla martellante propaganda mediatica occidentale di parte. Una propaganda manichea con i buoni definiti ribelli o rivoluzionari (dimenticando che essi fanno parte dei due gruppi (Daesh e al-Nusra) che la Comunità internazionale ha classificato come organizzazioni terroristiche. Si dimentica anche che 90.000 jihadisti stranieri sono venuti nel nostro Paese per fare la jihad. E si dimentica che il fine di questi terroristi è la realizzazione di uno Stato islamico.

Dall’altro lato, ecco i malvagi, demonizzati da una massiccia disinformazione, sin dagli inizi degli avvenimenti, per accelerare la caduta del regime.
I ribelli-terroristi che invasero i quartieri est di Aleppo nel luglio del 2012 e Mosul nel 2014 sono gli stessi che commisero gli attentati a Parigi nel 2015.
A Parigi, erano terroristi che bisognava eliminare.

A Mosul, voi applaudite (giustamente) l’assalto dell’esercito iracheno appoggiato dai raids aerei statunitensi e della coalizione, per liberare la città dai terroristi di Daesh, (ben sapendo che questi raids faranno ovviamente delle vittime civili, senza che in Occidente qualcuno se ne dispiaccia).
Ad Aleppo, voi invece condannate l’assalto dell’esercito dello Stato siriano il cui scopo è liberare una parte della città, controllata da quattro anni e quattro mesi dagli stessi terroristi di al-Nusra. (Ricordiamo che Daesh e al-Nusra erano un unico gruppo, scissosi in due circa due o tre anni fa, poiché al-Nusra voleva seguire al Qaïda e giurare fedeltà al delfino di Ben Laden, mentre Daesh voleva giurare fedeltà al califfo auto-proclamatosi Baghdadi).

Dov’è la verità? Non certo presso i giornalisti e i media.
Essa si trova presso coloro che vivono qui.
Presso gli abitanti di Aleppo-ovest (che non sono soltanto cristiani, dato che siamo rimasti in pochi), che ieri sera hanno manifestato la loro gioia nelle strade all’annuncio della liberazione di una gran parte di Aleppo-est. Coloro che hanno subito durante quattro anni e mezzo bombardamenti quotidiani da parte dei terroristi di Aleppo-est con decine di vittime tutti i giorni (naturalmente ignorati dai media occidentali e nessuno che abbia sentito imbarazzo). I terroristi li hanno privati d’acqua potabile per più di due anni (1 milione e mezzo di abitanti a cui si è tagliata l’acqua corrente è un crimine di guerra e contro l’umanità) e nessuno ne è stato sconvolto. Sono stati gli Aleppini a supplicare l’esercito ed il governo di liberare i quartieri orientali ed era dovere dello Stato intervenire.

La verità sta presso gli abitanti liberati dei quartieri orientali di Aleppo, che erano ostaggi dei terroristi, anzi scudi umani. Bisogna vederli scoppiare di gioia, mentre si gettano tra le braccia dei soldati, e piangere quando ritrovano membri della propria famiglia. Bisogna ascoltarli raccontare le sofferenze per ciò che i terroristi gli hanno fatto subire. Naturalmente, tutto ciò è documentato con dei video in arabo che non vi mostrano.

I bombardamenti russi e siriani, che tanto hanno disturbato i nostri amici europei [sensibili e cinici a fasi alterne o a seconda della collocazione topografica delle vittime. N.d.T.], ebbene sì, hanno fatto vittime tra i civili e noi lo deploriamo. Ma voi, voi siete altrettanto addolorati per le vittime civili fatte dalla coalizione occidentale nei bombardamenti di Mosul? O la bomba americana è forse più intelligente della russa ?. In Siria no. Infatti i raids della coalizione occidentale sui terroristi hanno mietuto ogni volta vittime civili e l’ultimo raid aereo francese ne ha fatte 110 in un colpo solo, ma non ve lo dicono. Durante una presa di ostaggi, dopo negoziazioni e tentativi infruttuosi per liberarli pacificamente, la polizia non dà forse l’assalto pur essendo consapevole che potrebbero esserci delle vittime tra gli ostaggi?

Non esistono guerre pulite (dimenticate che stiamo vivendo in guerra da cinque anni e mezzo), però i media europei hanno esagerato i fatti, modificando e amplificando la realtà. Il martellamento che avete subito è intessuto di menzogne. Vi hanno annunciato dieci volte in sei mesi la distruzione dell’ultimo ospedale di Aleppo-est: come se per un colpo di bacchetta magica l’ospedale potesse risorgere in due settimane. Vi hanno mostrato il ‘Sindaco di Aleppo-est’ in tutte le salse: conferenze-stampa, ricevuto da Hollande, imbarcandosi con Duflos in un farsesco viaggio ad Aleppo. Ma si dà il caso che questo signore non sia sindaco di Aleppo e neppure di Parigi. Egli è semplicemente un impostore fatto uscire come un coniglio dal cappello di un prestigiatore per appoggiare la campagna mediatica messa su per arrestare l’avanzata dell’esercito lealista, pretendendo una tregua per ragioni ‘umanitarie’: cioè per permettere ai terroristi (geneticamente modificati dagli Occidentali in ‘ribelli moderati’) di riprendersi.

I Siriani, che hanno sofferto troppo per questa guerra e gli Aleppini in particolare, non accetteranno la proibizione di esprimere la loro gioia nel vedere la disfatta dei terroristi (almeno in Aleppo), i loro concittadini di Aleppo-est liberati, e di poter vivere senza piangere ogni giorno la morte di un parente, di un amico, di un vicino, uccisi dai proiettili di ribelli-terroristi.

Nabil

P.S La campagna mediatica è stata orchestrata alla perfezione: un martellamento quotidiano di menzogne che le persone, pur di buona volontà e con un certo spirito critico, arrivano a credere, non avendo una conoscenza diretta della situazione sul terreno. ‘Non possono mentirci tanto, sicuramente c’è del vero’ pensano.
Se voi mentite, mentite e continuate a mentire, qualcosa delle vostre menzogne sarà creduto. ’’

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Marco Tosatti
da: http://www.marcotosatti.com/2016/12/21/aleppo-le-menzogne-dei-media-e-la-realta-vissuta-da-chi-lha-vissuta-parla-un-medico-nabil-antaki/
 

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Minista (d)istruzione: immatura. E il Veneto insorge

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  E’ ufficiale: la ministra Fedeli non ha neanche il diploma di maturità

Dopo le dichiarazioni del neoministro all’Istruzione Valeria Fedeli di poter fare tranquillamente la ministra senza avere la laurea è intervenuto Mario Adinolfi, ex Direzione Nazionale del PD, il quale affidandosi a facebook ha affermato che non solo la ministra non ha la laurea ma non ha nemmeno il diploma di maturità.

Insomma per la prima volta – andiamo a memoria – nella storia della Repubblica,  il ministro che deve dare le linee politiche all’Istruzione  sia alla scuola che all’università non solo non è in possesso della laurea che “erroneamente” aveva dichiarato nel suo CV, ma non ha nemmeno il diploma.

E’ inutile dirvi che sul web oltre all’ironia feroce tipica degli utenti della rete si sta registrando l’indignazione dei docenti che chiedono le dimissioni  immediate del ministro.

Siamo sicuri che la neoministra all’Istruzione non abbia nemmeno il diploma?

Il quotidiano Libero si dice sicuro: non ha il diploma.

Il giornale ha contattato lo staff della ministra Fedeli chiedendo se le affermazione di Mario Adinolfi corrispondessero al vero.

Lo staff – scrive il quotidiano – “non ha potuto far altro che confermare le parole di Adinolfi. Il corso frequentato – sottolineano dallo staff – è quello triennale della Scuola magistrale. E alla fine del percorso di studio non è previsto l’esame di maturità. Inoltre affermano, sempre dallo staff, che in questo caso il ministro non ha mai inserito nel Cv informazioni imprecise su questo punto”.

Da: http://www.informazionescuola.it/e-ufficiale-la-ministra-fedeli-non-ha-neanche-il-diploma-di-maturita/

ELENA DONAZZAN ASSESSORE SCUOLA DEL VENETO:
A NEO MINISTRO FEDELI DICO:
"NO A TEORIA GENDER IN CLASSE, IL VENETO CONTRARIO A OGNI FORZATURA IDEOLOGICA"

14 Dicembre 2016 14:40

Il Veneto si è già espresso chiaramente, ai massimi livelli istituzionali, contro l'insegnamento a scuola di teorie 'gender' che destrutturano la famiglia naturale. Sappia il nuovo ministro che vigileremo, che scuole e genitori terranno alta la guardia nel segnalare alla Regione ogni eventuale forzatura che dovesse avvenire nei luoghi deputati all’educazione pubblica di bambini e ragazzi.

Quanto appreso dalle cronache in merito al neo ministro Valeria Fedeli, alla quale è stata affidata la massima carica per l'Istruzione in Italia mi preoccupa moltissimo.
La principale posizione politica che pare caratterizzare il profilo dell'ex sindacalista della CGIL, è la sua propensione a diffondere nelle scuole la teoria del genere. Al nuovo ministro ricordo che la Regione Veneto, che ispira la propria azione amministrativa alla promozione della famiglia naturale, fondata sull'unione tra uomo e donna , che ha pubblicamente aderito al Family day e che ha formalmente impegnato i precedenti governi a non applicare il documento standard dell'Oms per l'educazione sessuale in Europa, terrà alta l'attenzione su ogni eventuale intervento ministeriale diretto a veicolare nelle scuole teorie ideologiche che considera pericolose per una corretta educazione all'identità di genere e alla tutela del valore costituzionale della famiglia naturale.

Che il nuovo ministro parta male è oggi oggetto della cronaca ma mi auguro non voglia usare una carica delicata come il dicastero all'Istruzione per piantare bandierine ideologiche che mirano a cambiare i connotati culturali del popolo italiano!

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Renzi-bis: Il lavoro comincia adesso

  • Categoria dell'articolo:Politica

 Sarebbe ben triste se ora ci fermassimo alla soddisfazione per la sconfitta della riforma costituzionale e del duo Renzi-Boschi. 

Sì, è vero: c’è stata una vittoria schiacciante dei “No” malgrado il potente schieramento a favore del “Sì”: dalla grande industria alla stampa, dai governi europei e americano al mondo della finanza, tutti a sostenere la riforma del duo Renzi-Boschi.
Invece c’è stata una grande partecipazione e il popolo italiano ha detto "No" perché ha capito che si trattava di un cambiamento della Costituzione che avrebbe significato un ulteriore asservimento a uno Stato onnipotente e a potenze sovranazionali.
Si è trattato dunque di una esperienza significativa, il popolo italiano ha dimostrato che quando ci sono in ballo questioni sostanziali per il futuro non dà la delega in bianco a nessuno.

Ma è certo che non può finire qui, la crisi morale prima ancora che economica e sociale che si trascina ormai da decenni non si risolve con un pur importante “No” a chi voleva dare il colpo di grazia.
È a questo punto che non si può nascondere la preoccupazione quando si guarda coloro che oggi si presentano come i vincitori, la strana coalizione per il “No”.

«Una accozzaglia», li aveva definiti Renzi e in questo caso è difficile dargli torto: Salvini, Grillo, Brunetta, D’Alema, Berlusconi, Bersani, una serie di vecchi personaggi che non hanno in comune nulla se non la reazione ideologica a una persona.
È più che ragionevole temere l’inizio di un balletto politico, affermazioni piene di promesse a cui tante volte sembra non credano neanche quelli che le affermano.
Tutte cose già viste, e il rischio concreto è una nuova stagione di risse politiche che facciano perdere all’Italia un’altra occasione per imboccare una strada positiva.

In effetti l’unico vero elemento di novità – anche politica – che si è registrato è la presenza in questa “accozzaglia” di quel popolo che negli ultimi anni è intervenuto con decisione per difendere la concezione naturale della famiglia, il diritto dei genitori a educare i propri figli, la libertà di educazione.
È il popolo dei family day, che si è mosso anche in questa occasione. Non con grandi manifestazioni di piazza ma con un lavoro di sensibilizzazione città per città, piccolo comune per piccolo comune. Un lavoro che è passato inosservato sui media, ma che ha permesso di incontrare e mobilitare tante persone.
È il popolo del “Renzi, ci ricorderemo”, e si è ricordato. Non per semplice spirito di rivalsa, ma nella consapevolezza che questa riforma costituzionale avrebbe ulteriormente accelerato la discesa dell’Italia verso una legislazione contraria alla famiglia, alla vita, al rispetto della dignità umana.

Il grave errore politico di Renzi è stato l’avere sottovalutato in modo quasi da scherno questa tradizione culturale cattolica a cui evidentemente il popolo italiano è molto più legato di quanto si pensi.
Sostenuto da grandi poteri internazionali Renzi ha invece affermato una concezione materialistica e consumistica ridefinendo il concetto di famiglia, degradata a comprendere qualsiasi tipo di unione, il concetto di genitorialità, sdoganando pratiche indegne come l’utero in affitto.
Pensava che bastasse il potere delle elites per vincere, per indirizzare il popolo, e invece no.

Si è sottovalutato il peso della tradizione culturale cattolica: non nel senso di una fede oggi condivisa, ma come eredità di una Chiesa che ha veramente educato un popolo, dove la fede ha profondamente forgiato la cultura.
Così, non si può impunemente rottamare la famiglia, la sacralità della vita, la sacralità del processo che la natura ha fissato per la procreazione.
Non si può sostituire a questi valori che portano il segno dell’eterno le piccole convenienze immediate, gli interessi che maggiormente corrispondono all’istinto. 

Se c’è una novità è dunque questa: la presenza di gente che ha una coscienza precisa della propria identità. Non è ovviamente tutto l’elettorato che ha votato “No”, ma i cattolici di cultura che sono andati a votare non sono neanche una quota marginale.

Il problema, come già rilevava ieri su queste colonne Alfredo Mantovano, è la mancanza di leader politici che rappresentino e guidino questo popolo.
Ma forse il problema nasce ancora prima, in una Chiesa italiana che, nella sua forma istituzionale, da tempo ha smesso di educare i cattolici alla fede e, quindi, anche a un giudizio politico che da questa nasca.

È quella Chiesa che ha contrastato i Family Day, e che non a caso ha sostenuto Renzi anche in questa tornata referendaria, pur senza dirlo apertamente.
Ma bastava leggere in queste settimane Avvenire per capire da che parte stava la Cei. Con Renzi ha perso anche quel monsignor Galantino che, alla difesa aperta della famiglia e dei nostri figli, ha preferito cercare la strada degli accordi sottobanco con il Pd, ha preferito il compromesso, poi rivelatosi un fallimento.
Ma a Renzi non è mai mancato il suo sostegno, per non parlare di quel monsignor Paglia che da presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia si è fatto registrare mentre – pensando di parlare al telefono con il vero Renzi – con una familiarità imbarazzante lo incoraggiava, a nome della Chiesa, ad andare avanti «su tutto». Ed eravamo in piena bagarre per l’approvazione della legge sulle unioni civili.

In questo tempo il popolo cattolico ha dimostrato di sapersi muovere senza aspettare il richiamo dei vescovi, ma ciò non toglie che sia importante che almeno da alcuni pastori riparta un’iniziativa educativa forte: a una fede che sappia generare cultura, capace di abbracciare tutta la realtà, di giudicare il mondo. E come conseguenza rilanciare lo studio della Dottrina sociale della Chiesa. Perché i leader politici non nascono dal nulla.

 

Riccardo Cascioli per http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-lavoro-comincia-adesso-18279.htm

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