Assassinio nella cattedrale

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Stefano Maccarini Foscolo. Con una presentazione di mons. Nicola Bux, Assassinio della cattedrale. Ipotesi, drammi e lacerazioni di una chiesa sfigurata: il caso di Reggio Emilia, Edizioni Fede & Cultura , 2011, pp. 80, € 9,00

 

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…Ed ora ciò che rimane da mostrare a voi
della mia storia, a molti sembrerà
nient’altro che una futile vicenda,
l’insensato suicidio di un lunatico,
l’arrogante passione di un fanatico.
E vi dico: in tutti i tempi la storia
ha tratto le più strane conseguenze
dalle cause più remote. Ma alla fine
per ogni male, per ogni delitto,
per ogni sacrilegio, per ciascuna
ingiustizia, per le molte oppressioni,
.…tu, tu e ancora tu, dovrete tutti
conoscere il momento del castigo.

[T. S. Eliot, Assassinio nella Cattedrale,Parte I, Tommaso]

 

 

Questo piccolo libro non sarebbe mai stato scritto
se chi poteva ascoltare voci, dubbi e pensieri avesse ascoltato,
se chi doveva vigilare su idee, proposte, progetti avesse vigilato,
se chi voleva dialogare in serenità, scienza, coscienza avesse dialogato.

Un sincero ringraziamento a tutti gli amici, i conoscenti e i parrocchiani dell’Unità Pastorale Cattedrale – San Prospero che, condividendo idee, opinioni, giudizi, mi hanno sostenuto nell’elaborazione delle seguenti note e a cui spero, indegnamente, di aver dato voce.

 

PRESENTAZIONE

Nell’ambito del dibattito apertosi dopo il noto discorso alla Curia Romana di Benedetto XVI, circa l’interpretazione del Concilio Vaticano II, si deve collocare l’incipiente confronto tra i sostenitori del cosiddetto adeguamento degli antichi edifici di culto alla liturgia moderna e i fautori della preservazione della tradizione liturgica antica. Un tale confronto prende quota e diventa ineludibile in presenza del Motu Proprio Summorum Pontificum, recentemente "tradotto" nell’Istruzione Universae Ecclesiae, che consente la celebrazione della Santa Messa secondo il Rito Romano antico, con le implicazioni rituali che esso comporta, specialmente in merito all’orientamento del sacerdote versus Dominum.

In occasione dei restauri della Cattedrale di Reggio Emilia si è sviluppato, da un ambito locale fino a conquistare la scena nazionale, un grande dibattito sul tema della conservazione, della tutela e dell’adeguamento liturgico delle chiese storiche. Da molti osservatori, sia esterni che interni alla comunità ecclesiale, sono stati espressi dubbi e perplessità sul percorso – innovativo e sperimentale – intrapreso per l’adeguamento dell’antica chiesa madre della diocesi reggiana, con discutibili o distorte interpretazioni attuative delle indicazioni liturgiche "postconciliari".

Fra gli interventi che hanno destato maggiore preoccupazione citiamo sia la rimozione dell’antico altare maggiore, che l’eliminazione dei tradizionali banchi ottocenteschi in legno, così come lo spostamento della cattedra vescovile all’interno della navata centrale, ma soprattutto l’introduzione di opere d’arte contemporanea che dovrebbero "arricchire" l’interno dell’edificio.

Al dire di molti, si è trattato di una operazione "verticistica" ispirata da un ristretto gruppo di esperti che hanno eluso ogni confronto, ogni colloquio e ogni dialogo con la comunità, cercando addirittura di proporre il "modello" di Reggio Emilia quale meditata soluzione esemplare.

Il saggio dell’architetto Stefano Maccarini Foscolo controbatte puntualmente, sia sotto il profilo storico architettonico, che più propriamente ecclesiologico, con documenti e analisi critiche alla mano, l’attuale adeguamento liturgico della cattedrale di Reggio Emilia, da qualcuno ritenuto un vero "stravolgimento". L’esame delle varie tappe, che hanno condotto all’attuale sistemazione liturgica della cattedrale, ha messo in evidenza come queste "sperimentazioni" possano compromettere tanto l’armonia delle strutture, quanto la serena partecipazione dei fedeli al mistero dell’Eucaristia.

Ci si deve augurare che questo studio, scaturito dalla conoscenza storico-artistica e dalla passione verso un monumento così insigne e significativo, riapra un confronto rispettoso e sincero all’interno della chiesa reggiana, perché il dialogo che si cerca di instaurare su tutti i livelli del vivere civile, diventi anche e soprattutto prerogativa di noi cattolici.

Mons. Nicola Bux

IL CASO DI REGGIO EMILIA

 

Il recente restauro architettonico della Cattedrale di Reggio Emilia (2002/2008), che si è posto in ideale continuità con altri due grandi cantieri di ristrutturazione delle più importanti chiese reggiane – la Basilica della Ghiara e quella di San Prospero – se da un lato ha perseguito fondamentalmente una corretta metodologia di restauro conservativo dell’edificio, dall’altro ha posto seri dubbi sulle ipotesi interpretative ed attuative dell’adeguamento liturgico, sulle nuove committenze artistiche, sull’inspiegabile "rimozione" e mancata tutela degli arredi storici esistenti. In tal senso sono emerse non poche perplessità, incertezze e prese di posizione 1, essenzialmente dovute ad un mancato confronto – anche in seno alla chiesa locale – che ha posto in evidenza, a nostro avviso, una lacerazione fra "artisti, committenza e comunità in dialogo".

Tutto questo si colloca in una più ampia riflessione che riguarda la chiesa reggiana degli ultimi anni, dal suo porsi nella società civile al suo sempre più intenso confronto con le realtà culturali, economiche, scientifiche, universitarie della città. In altre parole una chiesa giustamente "impegnata" nel sociale, ma, purtroppo, a volte meno attenta alla propria storia, alla propria identità e alla salvaguardia della sua secolare tradizione.

D’altra parte una chiesa locale dove un parroco di primo piano celebra una messa di suffragio per i brigatisti rossi, con tanto di avvisi affissi per la città, e rifiuta la "richiesta di una celebrazione per i soldati statunitensi cattolici morti nella guerra del golfo", è la stessa chiesa dove si invitano filosofi, sociologi e opinionisti laici a parlare in Cattedrale e magari a criticare il Papa e le sue encicliche 5 o addirittura ad esternare posizioni politiche di parte.

Ebbene, in questa chiesa locale non si può certo sperare in una serena coesistenza di idee e di modi di vivere la propria fede.

Ma le ragioni di un diffuso contrasto possono essere individuate in tanti altri casi, che hanno interessato la nostra comunità ecclesiale in tempi recenti:

– Un sacerdote diocesano 6 che dichiara sui giornali, con facile populismo, di ospitare i senza tetto ed i barboni, facendoli dormire sui materassi collocati intorno all’altare 7 e nel contempo percepisce, nella stessa parrocchia, un canone di affitto per un cinema teatro… (non sarebbe dunque più opportuno ospitare i senza tetto entro le pareti di un cinema riscaldato – e rinunciare alla pigione – che non ingombrare di materassi e brande improvvisate il presbiterio di una chiesa consacrata?).

– Un Istituto Diocesano per i Beni Culturali al cui compito primario di salvaguardia, catalogazione e supporto operativo per le singole realtà parrocchiali, affianca sempre più un autocompiacente ruolo di organizzatore e "patrocinatore" di svariate iniziative culturali, purché di ampia visibilità mediatica, quasi fosse il contraltare ecclesiastico di un qualsiasi assessorato "veltroniano" alla cultura.

– Una chiesa che esibisce, nelle più importanti liturgie, un "corpo di ballo diocesano" (annesso all’Istituto di Musica per la Liturgia), formato da una decina di danzatrici scalze: pingui od esili suore e giovani ballerine mancate che si prodigano in "dolci movenze" su coreografie preordinate (al riguardo ignoravamo che potesse essere istituito un corso coreutico ed interpretativo – non sappiamo se basato sul "metodo Stanislavskij" o sui fondamenti della danza classica) a supporto dei momenti salienti della liturgia, con tanto di variopinti costumi, nastri colorati e lampade ardenti… – Una curia vescovile che "ghettizza", dopo averla ostacolata, la liturgia latina, chiamando "rito straordinario" quello che il Papa definisce "forma straordinaria" dell’unico rito romano 10 ed obbligando i fedeli – dalla montagna al Po – a partecipare ad una sola messa mensile pomeridiana,

prima nella chiesa della frazione suburbana di Mancasale 11 (ci risulta che in molte città, da Firenze a Venezia, ogni domenica, in una chiesa del centro storico cittadino, sia regolarmente officiata una messa in forma straordinaria, senza per questo turbare le coscienze di altri fedeli, forse avversi alla lingua latina) poi, finalmente, nella più centrale chiesa di San Giovannino, sede della Confraternita dell’Immacolata Concezione e San Francesco.

– Una parrocchia in cui si celebra la S. Messa della domenica a fianco di uno sventolio di bandiere della pace che ingombrano tutto il presbiterio 1, nonostante il severo monito della Santa Sede 1 e, per contro, un inesperto sacerdote che accoglie un presunto quanto illegittimo "Ordine Templare"14, ospitandone l’attività con tanto di spade, elmi e mantelli, sia in una chiesa cittadina, sia nel luogo dell’antica Pieve della Mucciatella.

– E, infine, per tornare al tema iniziale, un uso sempre più differenziato, polivalente e "flessibile" della Cattedrale di Reggio: non più e non solo cuore pulsante di una comunità cristiana attorno al suo pastore e luogo di identità e memoria delle tradizioni religiose della città, ma "contenitore" di liturgie (più o meno "dinamiche"), di testimonianze artistiche (passate e presenti), di iniziative culturali o sociali (concerti, musicals, conferenze).

Ecco dunque riemergere preponderante l’interrogativo sull’uso-abuso, sull’adeguamento-stravolgimento della Cattedrale, delle sue funzioni, del suo assetto architettonico, artistico e liturgico, nonché della conseguente formazione–disinformazione che si fa nei riguardi dei fedeli, popolo di Dio e Chiesa in cammino.

Ora, di fronte alla dichiarazione di Papa Benedetto XVI, che afferma "ciò che per generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e non può essere improvvisamente del tutto proibito o addirittura giudicato dannoso" 16, le motivazioni addotte dai liturgisti locali e le innovazioni sperimentali introdotte nella Cattedrale di Reggio con la volontà di superare "certi preconcetti ancora legati ad una prassi liturgica che non si è del tutto imbevuta delle istanze ecclesiologiche del Vaticano II" 17, sembrano insinuare il dubbio di trovarsi in presenza di due chiese, due riforme, due modi di interpretare il Concilio.

E, come se non bastasse, tutta la ratio su cui si basa il nuovo assetto della Cattedrale reggiana è stata presentata da Mons. Giancarlo Santi 18, consulente per l’adeguamento liturgico, come antitesi al Concilio Tridentino e alla chiesa "controriformata". Questi ha infatti dichiarato che "siamo passati dal presbiterio plenario di tridentina memoria all’assemblea plenaria"19 e ancora che "il Sacramento era visto in opposizione alla parola ed alla predicazione protestante" mentre ora, che è stato superato questo conflitto, "va recuperata la Parola di Dio, dandole spazi, luoghi, attenzione".

Tutto ciò per giustificare i vari interventi innovativi dell’adeguamento liturgico della Cattedrale, dalla nuova mensa d’altare alla inusuale collocazione della Cattedra Vescovile, dalla disposizione dinamica e coinvolgente delle nuove seggiole alle opere d’arte contemporanea, operazioni che rischiano, a nostro avviso, di stravolgere il significato proprio, unico ed originario dell’antica Chiesa madre reggiana.

 

 

AI FEDELI È VIETATO INGINOCCHIARSI

 

Nella tradizione cattolica i posti dei fedeli "devono consentire l’ascolto, la lode e l’adorazione, cioè lo star seduti, in piedi e in ginocchio"58. Le norme liturgiche della Chiesa prescrivono poi "riverenza, ossia genuflessioni e inchini, che i sacerdoti devono fare nel compiere le sacre funzioni e i fedeli nell’assistervi".

Si è già accennato alla rimozione degli antichi banchi di legno, per lo più manufatti ottocenteschi in noce, dotati di inginocchiatoi e schienali, capaci di ospitare tre o quattro fedeli ciascuno. Sui banchi della Cattedrale, così come su quelli di molte chiese riviste dal nuovo spirito liturgicoassembleare, sembra proprio essersi accanito uno spirito devastatore. In un primo momento si è infatti preferito noleggiare sedie in plastica di varie fogge, per poi arrivare ad acquistare, dopo studi approfonditi, nuove rumorose e costose sedie metalliche, facilmente accatastabili e da riporre in appositi contenitori rimovibili muniti di ruote. Il risultato è che nei giorni feriali, addossati ad ogni pilastro della navata, stazionano, su "innovativi" carrelli, centinaia di sedie da disporre, in occasione di ogni festa comandata, secondo le esigenze o la "creatività" liturgica del momento.

È stato detto che le singole sedute possono ospitare un numero di fedeli maggiore rispetto ai banchi, ma è chiaro che, se si fossero aggiunte, nei momenti del bisogno, solo poche sedie ai banchi già esistenti, il numero dei posti disponibili sarebbe stato ancora più ragguardevole (i più di cento banchi erano in grado, infatti, di accogliere da soli quattrocento fedeli).

Come giustamente osserva Mons. Nicola Bux "è possibile constatare che i fedeli non sanno pregare, perché nella liturgia stanno seduti o in piedi, posizioni poco favorevoli alla preghiera. Sono spariti dalle chiese gli inginocchiatoi. Eppure mentre stare in piedi o seduti sono atteggiamenti comuni a ogni altro raduno, stare in ginocchio è l’atteggiamento tipico della preghiera. La liturgia prevede di stare in ginocchio durante la consacrazione della messa, ma anche durante tutta la preghiera eucaristica e poi prima della comunione (cfr. Ordinamento Generale del Messale Romano, ed. typica latina III, ed. It. CEI 2004), ma non può essere attuato salvo che ci si inginocchi per terra".

Certo, le sedie permettono di organizzare lo spazio in modo molto più flessibile e adatto alle varie necessità, a scapito però dell’inginocchiarsi e dunque della preghiera personale e della sacralità propria dell’edificio. Pare di capire che si voglia privilegiare l’aspetto "polivalente" della Cattedrale, rispetto al suo essere tempio cristiano e casa di Dio. "Cosa è successo? Il pensiero protestante o non cattolico è penetrato nella Chiesa: la messa è vista come cena fraterna e assemblea. Che senso ha inginocchiarsi ad una cena?".

Ci sembrano, a questo proposito, quanto mai pertinenti le lucide osservazioni di Martin Mosebach: "Difficilmente uno si inginocchia alla consacrazione, spesso nemmeno il sacerdote fa una genuflessione adeguata davanti alle offerte trasformate. Una signora va a prendere le ostie per la comunità da un piccolo armadietto dorato, sistemato lateralmente, premurosa e sicura, come se dovesse estrarre un medicamento dall’armadietto dei farmaci. Essa mette le ostie nella mano dei comunicandi; nessuno mostra per esse la riverenza di una genuflessione o di un inchino".

La convinzione di eliminare tutti i banchi dalla Cattedrale reggiana doveva essere davvero profondamente radicata se, all’indomani dell’inaugurazione, solo dopo accorate proteste, sono state ripristinate alcune panche con inginocchiatoi davanti all’altare del Santissimo Sacramento e nel transetto. Evidentemente i nuovi liturgisti ritenevano che anche l’adorazione eucaristica fosse da farsi in piedi o seduti, e non nel tipico atteggiamento orante genuflesso!

"Chi propugna lo stare in piedi nella preghiera, costui vuole oggi, in moltissimi casi, mettere fine al culto di Cristo eucaristico". Se nell’antichità lo stare in piedi era visto come un atteggiamento di preghiera e di rispetto, nella liturgia cristiana è divenuto segno della Resurrezione.

Nella Chiesa Cattolica, in particolare, si è, poi, diffuso l’atto dell’inginocchiarsi che sottolinea, all’interno della liturgia, il momento dell’epifania divina. Il fatto che i nuovi edifici di culto siano spesso sprovvisti di inginocchiatoi, mentre nelle antiche cattedrali si rimuovono banchi e balaustre, sembrerebbe un tentativo, ancorché privo di giustificazione, sia liturgico che pastorale, di ostacolare la genuflessione, immagine e modello di adorazione divina ("Si inginocchiò con tutti loro e pregò", Atti 20, 36).