Dopo tre secoli chiude i battenti a Milano il monastero della Visitazione. E di crisi vocazionale al femminile si occupa il dossier di novembre del Timone. Nel 2016 12mila abbandoni. Colpa di una vulgata post conciliare che ha svuotato di significato castità, obbedienza e povertà. Le ragioni di un’emorragia che ha pesanti ricadute sul sociale. Ma anche i germogli di rinascita di nuovi ordini che hanno in comune la radicalità evangelica e l’attaccamento alla Tradizione. Ecco perché non è un addio.
Sic transit, verrebbe da dire, ma la notizia non può non far riflettere visto e considerato che il monastero della Visitazione iniziò la sua vita spirituale grazie a due figlie spirituali di San Francesco di Sales e di Santa Giovanna Francesca Chantal insediandosi in un ricovero ormai fatiscente, ma che era stato fondato da San Carlo Borromeo per dare una casa alle «zitelle», le bambine rimaste orfane a causa della peste. E negli anni “gloriosi” il monastero era stato anche un educandato per le figlie della nobiltà milanese, e si narra che anche la figlia di Alessandro Manzoni avesse frequentato via San Calimero.
Non è il primo monastero della Visitazione chiuso. Quest’anno è già successo a Sanremo, e in precedenza ad Arona e a Massa Cozzile, in Toscana. Non fanno eccezione molti altri ordini religiosi, che devono così gettare la spugna di fronte al drammatico calo che stanno subendo le vocazioni religiose al femminile.
E’ proprio di quella che Papa Francesco ha chiamato “un’emorragia” di cui si occupa il mensile di apologetica Il Timone ha provato ad entrare nella crisi di monasteri al femminile, per indagare le cause, cercando di andare oltre i numeri da capogiro che sembrano per pensare alla fine di una civiltà di suore e novizie.
Il Timone ha messo in chiaro che così “soffre il mondo cattolico ma anche la società. “Senza suore – si legge nel dossier curato da Lorenzo Bertocchi, Riccardo Cascioli, Luisella Scrosati e Giulia Tanel – sparisce il tratto mariano della Chiesa. Eppure ci sono segni di vita, alimentati da fede indomita, attaccamento alla Tradizione e preghiera feconda. Ecco perché non è un addio”, dice il Timone che ha titolato la copertina del mese di novembre con un significativo “Arrivederci sorelle”.
Il dato degli abbandoni parla chiaro: nel 2016, secondo i numeri pubblicati dall’agenzia Fides, i religiosi maschi che hanno lasciato l’abito sono stati 694 in tutto il mondo, ma il dato femminile è oltre ogni ragionevole immaginazione: oltre 12.000 abbandoni in un anno, in America 4.242, Europa 7.733, Oceania 200. Si comprende allora la tentazione che ha confessato lo stesso papa Francesco parlando a braccio ai religiosi raccolti nell’aula Paolo VI durante il Giubileo della vita consacrata nel febbraio 2016. «Quando chiedo quanti seminaristi ci sono in una comunità religiosa maschile o femminile e mi si risponde quattro, cinque, oppure una-due novizie e intanto la comunità invecchia e ci sono monasteri grandi e vuoti, portati avanti da poche suore vecchiette, allora», ha ammesso il Papa, «tutto questo mi fa venire una tentazione contro la speranza».
L’ufficio statistiche della Segreteria di stato vaticana indica che il totale delle religiose professe nel mondo è passato da 721.935 unità, nel 2010, a 670.320 nel 2015, con una flessione relativa del 7,1% (nel 2000 il numero totale di suore nel mondo era di 801.185). L’Africa e l’Asia sono gli unici continenti in controtendenza, ma non arginano l’emorragia in atto da decenni; in America del Nord nel periodo 2010-2015 il calo è del 17,9%, in Europa del 13,4% e in Oceania del 13,8%. Le indicazioni degli studiosi di statistica non lasciano scampo, se la tendenza dovesse continuare in questo modo, in Europa le suore si estingueranno intorno al 2050. L’Italia ovviamente non fa eccezione: se nel 1971 vi erano circa 155.000 religiose, nel 2014 erano 89.000, di cui il 46% ultrasettantenni. Dagli anni Sessanta del secolo scorso fino ad oggi l’avanzare del deserto vocazionale femminile è stato costante e progressivo.
Il sacerdote claretiano padre Angel Pardilla, che al fenomeno ha dedicato molti studi, denuncia “l’impressionante calo della vita religiosa femminile nel periodo post conciliare ha una causa negli «errori macroscopici nella formazione», determinata spesso da formatori che più che equilibrati e preparati si sono mostrati estremisti e attenti alle mode culturali. Uno dei paradossi che sono stati spesso messi in rilievo, anche in riferimento alla pratica degli abbandoni, riguarda il fatto che molti lasciavano l’istituto religioso con la convinzione che occorreva abbandonarlo per realizzare meglio il proprio impegno cristiano”.
Invece, una certa vulgata sorta dopo il Concilio voleva che i voti di castità, obbedienza e povertà si fossero come svuotati di significato, indifferenti rispetto ad altre scelte di vita cristiana.
Ma il danno non solo alla Chiesa come istituzione, ma anche come società. Una ricerca condotta nel 2009 dal Centro italiano di Studi sulla Famiglia (CISF), condotto tra coppie di tutta Italia metteva proprio in evidenza uno scarto di 0,4 figli per donna tra figli desiderati e figli avuti (2,13 contro 1,71). Si tratta di una differenza notevole attribuibile in gran parte alla questione economica, anche se ovviamente non tutto può essere spiegato con il costo elevato che comporta avere un figlio. Cosa c’entra questo con le suore? Moltissimo, perché nei Paesi a forte prevalenza cattolica c’è stata tradizionalmente fino al Concilio Vaticano II una fitta rete di servizi sociali di supporto alle famiglie garantiti proprio dalle suore: scuole, soprattutto materne, servizi sanitari e servizi sociali. In alcuni casi le suore erano le uniche a provvedere tali servizi, in altri casi li garantivano a costi più bassi di altri enti. La conseguenza è evidente: costi molto maggiori per il personale e, di conseguenza, per le famiglie.
Va da sé che anche questo calo può trovare una parte di spiegazioni nella progressiva “protestantizzazione” della Chiesa, come si fa notare: Lutero manifestò un particolare zelo nell’eliminare la vita religiosa. E oggi, che anche la Chiesa cattolica manifesta sintomi di protestantizzazione, si assiste così allo stesso scenario”. Tutto questo perché sono entrati in crisi i tre vertici: verginità, sponsalità e maternità, tutte espressioni del principio femminile.
Ma non tutto è perduto. In questa crisi delle vocazioni religiose femminili ci sono delle oasi di speranza. Luoghi in cui si va in controtendenza, che registrano una crescita numerica e un’età media delle religiose relativamente bassa. Dove il Bene non smette di fiorire e lo Spirito Santo continua a illuminare i cuori e le menti di tante persone. Il Timone ne ha contattati alcuni, senza alcuna pretesa di esaustività e senza voler istituire paragoni tra le diverse realtà. Si tratta delle Serve del Signore e della Vergine di Matarà, della Famiglia Religiosa del Verbo Incarnato, delle Missionarie della Divina Rivelazione, delle Monache Trappiste di Vitorchiano e delle Monache Benedettine di Rosano. Realtà floride dal punto di vista vocazionale e accomunate tutte da alcuni denominatori: vivere il Vangelo nella sua radicalità, la centralità del sacrificio di Cristo e della vita di preghiera, l’amore per la Chiesa e per il depositum fidei «contenuto nella sacra Tradizione e nella Sacra Scrittura». È dunque da qui che occorre ripartire. Ecco perché non può essere un addio, ma un arrivederci.
Nei giorni scorsi ho potuto visitare il monastero benedettino di Orta San Giulio e ho visto che la Grazia del Signore agisce sempre, nonostante i tempi non propizi: 75 monache di clausura (più o meno), quasi tutte giovani; una decina o più di novizie.
Una realtà meravigliosamente benedetta, forse unica, che testimonia la preghiera e l’amore di Gesù.