Ven. Prof. G. Toniolo: Risposta ad insinuazioni di connivenza

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Ven. Prof. Giuseppe Toniolo

Dell'opposizione sistematica del programma cattolico sociale con quello socialistico

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Lettera aperta a mons. Bigliani in risposta ad insinuazioni di connivenza con il cattolicesimo democratico

 

 

"Sulle differenze di vedute interne ai cattolici sulle questioni sociali, perché io stesso quasi mi giustifichi oppure fornisca chiarimenti in proposito, essendo in quella polemica ricordato il mio nome"

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da: La scuola cattolica, Milano, 1894, serie II, a. IV, v. VIII, pp. 49-58

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Ill.mo monsignore!

Ella mi indirizza alcuni numeri di un giornale1, perché io prenda conoscenza di certe differenze di vedute fra i cattolici che ivi si palesano o fanno capolino intorno alle questioni sociali, e perché io stesso quasi mi giustifichi e porga schiarimenti in proposito, essendo in quella polemica ricordato il mio nome. Non posso accettare le espressioni di elogio contenute nella lettera, le quali contemporaneamente ella mi dirige; bensì aderisco di rispondere per iscritto, sia per debito di cortesia, sia per l'affetto che io porto a quanti si interessano dei problemi sociali fra noi, e soprattutto alla causa cattolica, cui tutti dobbiamo sinceramente servire. 2

Quanto al Programma dei cattolici di fronte al socialismo, dettato nell'assemblea dell'Unione cattolica del 2 gennaio p. p. in Milano, esso è abbastanza noto ed esplicito anche rispetto ai possibili contatti di fatto o di nome coi socialisti, da non abbisognare di essere qui riprodotto. Le dirò solamente che la proposizione di quel programma, ove è detto che, sebbene noi prendiamo in mano la causa del popolo, come pretendono di farlo i socialisti, respingiamo ogni connivenza anco nominale col socialismo perocchè questo è la negazione intrinseca del cristianesimo ed il programma socialista è l'antitesi del nostro, tale proposizione, ripeto, ebbe posteriormente il conforto di autorevolissime approvazioni e svolgimenti, come p. e., nella lettera pastorale del vescovo di Liegi mons. Victor Doutreloux, e nelle dichiarazioni del conte de Mun alla seduta della Camera francese del 20 aprile p. p.

 

Tutto al più se si desidera uno schiarimento intorno a quella frase usata dall'articolo della effemeride in discorso, ove si parla dell'alleanza della critica cattolica colla critica socialista nell'atterrare il conservatorismo liberale, dichiaro che la frase afferma un vero bene assodato, ma lo eccede nei termini.

La scienza cristiana si incontrò e si incontra bensì col dottrinarismo socialistico nel criticare il sistema sociale-economico del liberalismo, e sovente con efficacia grandissima, contribuendo così al tramonto di quest'ultimo, sia nella teoria che nella vita pratica. Solamente l'accordo fra le due dottrine si restringe a quella che si potrebbe dire la critica prossima o positiva, ma non si estende a quella remota o finale, o come oggi dicono i positivi teleologica, risalente cioè alle ragioni prime ed ultime.

I cattolici, in altre parole, si trovano di regola all'unisono coi socialisti nel dimostrare la fallacia di alcune teorie economiche del liberalismo, e nel condannare i fatti storici che hanno generato l'odierna crisi, per colpa delle classi superiori, della politica e della legislazione. Ma non sono mai o quasi mai d'accordo con essi nell'additare le cause e ragioni prime di quelle false teorie o di quei deplorevoli abusi pratici dell'economia liberale; le quali cause per noi stanno nell'offesa dei principi sovrannaturali cristiani, ciò che invece i socialisti disconoscono, qualche volta pervertono ed infine decisamente rifiutano. Né trovansi d'accordo nelle ragioni ultime di questa critica, che sono per i cattolici quelle di rivendicare il pregio dell'ordine sociale cristiano per ricondurvi novellamente la società traviata; mentre i socialisti sono condotti dall'intento di distruggere ogni resto di legittime istituzioni storiche, per ricomporre, sopra basi affatto nuove, innaturali ed anticristiane, il sistema sociale dell'avvenire.

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Ma non è di queste inesattezze di frase, in cui l'autore di quell'articolo è incorso, e per cui la parola alleanza della critica cristiana con quella socialistica, può sembrare soverchia (laddove non si tratta per così dire fuorché d'un incontro accidentale per un fine prossimo e non di un accordo intimo e durevole per un fine remoto comune); non è di ciò, ripeto, che mi preoccupo, bensì di certe tendenze in parecchi dei cattolici zelanti, operosi, militanti fra noi, i quali sembra amino di lasciar apparire che noi cattolici ci confondiamo coi socialisti.

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Dico che amano di lasciar apparire, e non ancora realmente di voler confondersi con essi. In uno di quegli articoli del giornale che ella mi sottopone, la frase che segue al passo incriminato, attesta chiaramente che l'autore ha coscienza netta e sicura della opposizione sistematica fra cattolicesimo e socialismo, fra cui si deciderà l'ultimo certame per la civiltà. E lo riporto per comune memoria: «il conservatorismo borghese cadrà sotto i colpi della critica cattolica alleata alla critica socialistica; e sbarazzato il terreno, i due grandi partiti dell'avvenire, quello di Cristo e quello di Marx, si contenderanno la palma. La vittoria non è dubbia, perché Cristo è Dio e Marx è uomo; Cristo è la libertà e Marx è la tirannia; Cristo è la giustizia e Marx è l'oppressione; Cristo è l'amore e Marx è l'odio».

Ma d'altra parte, che lo stesso articolista non inclini a lasciar correre le apparenze di un certo coordinamento estrinseco fra il movimento cristiano sociale e quello socialista, sarebbe difficile negarlo. Ama parlare di alleanza fra la critica dell'economia liberale dei cattolici e quella dei socialisti, sebbene non ignori l'opposto intento con cui esse rispettivamente si istituiscano; ama prendere a prestito alcuni articoli del programma socialistico, fosse pure p. e. la dimostrazione del primo maggio, sebbene questa accetti siccome una affermazione di diritti popolari disconosciuti e non già come apparato di forza popolare minacciosa; accarezza il nome e la forma delle Camere del lavoro, sebbene ne voglia mutar lo spirito.

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Ma perché (si può chiedere con ogni più perspicua e solida ragione) se avete concetti così lucidi e sicuri sull'indole essenziale e sui fini rispettivi del socialismo e del cattolicesimo, volete lasciar correre nell'atteggiamento concreto delle false apparenze? Perché non dire la verità aperta, intera, in tutto e per tutto, e invece preferire di lasciar sussistere l'equivoco?

Perché, se abbiamo un programma sociale cristiano a favor del popolo stesso, non propugnarlo come nostro, e piuttosto farlo passare sotto la bandiera socialista come merce di contrabbando?

Quest'ultimo procedimento e questo contegno pratico, dietro una prudente e sincera disamina, appariscono meno consoni alla scienza, alla coscienza e all'utilità pratica.

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1. Dico essere contrario alla scienza, la quale è ordine di idee rigorosamente definite e dimostrate; l'indefinito e l'equivoco sorto essenzialmente antiscientifici. Ciò quanto alla forma del pensiero. Quanto poi al contenuto filosofico, è ormai assodato che il socialismo è un sistema dottrinale, attraverso gli anelli di una lunga catena, figliato dal liberalismo. Come si potrebbe lasciar credere che giovi avvicinarsi a quello per meglio atterrar questo? Né basta: la scienza è tanto severa nel definire i suoi concetti che essa, ogniqualvolta tali concetti subiscono al contatto della mutevole opinione pubblica una successiva trasformazione, trova suo dovere di distinguere il senso razionale-etimologico, da quello storico; come il matematico ad una cifra attribuisce un valore proprio ed un valore di posizione.

Trascurare questa distinzione coincide col mettersi fuor del campo della verità, corrispondente alla realtà obbiettiva. Così p. e. il regime liberale nella sua espressione propria significherebbe un sistema di rapporti sociali-politici incardinati sul rispetto della libertà. Ma storicamente esso venne ad esprimere un sistema di rapporti sociali emancipati da ogni legge etica, e specialmente dal sovrannaturale cristiano. È per questo che i cattolici, seguendo tale giusto criterio scientifico, sono amanti di libertà, ma rifiutano il liberalismo. E del pari il socialismo potrebbe accennare ad un insieme di rapporti in cui l'individualità nella sua esplicazione si coordina alla socialità, cioè agli interessi generali; ma chi non si fermi a fantasticare su ciò che esprima etimologicamente, o su ciò che potrebbe e dovrebbe essere il socialismo, ma lo assuma per ciò che è attualmente nell'accezione storica della parola e per quello che tende ad essere per intrinseca necessità, deve intendere per esso: un sistema sociale sostanzialmente e definitivamente anticristiano, non meno del liberalismo.

Fa pertanto opera seria e scientifica colui il quale, anco colle migliori intenzioni, contribuisce a moltiplicare e continuare simili inesattezze ed equivoci?

Io invito i nostri colti amici a riflettere per poco sopra questi semplici quesiti, ed ogni dissenso voglio sperare scomparirà.

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2. E più praticamente lo spero, se io mi appello alla loro coscienza cristiana, ed anzi di cattolici ferventissimi, i quali per ciò stesso devono essere delicati e gelosi di non compromettere la fede e l'etica cristiana, nemmeno colle apparenze.

Se nel programma del socialismo incidentalmente si affermano alcuni veri e si propugnano alcune ragioni di giustizia, non ripugna forse alla coscienza cristiana di prendere a prestito talora il linguaggio, le movenze, l'atteggiamento e la posizione di uomini, i quali accanto a quei veri e a quelle eque rivendicazioni, fan professione di ben altri errori e di ben altre ingiuste pretensioni; in modo da ingenerare sospetto negli stessi buoni e retti, che noi condividiamo anche la parte condannabile di quel programma?

Perché lasciar credere che noi accettiamo da loro talune verità e tal une giuste rivendicazioni di diritto; mentre invece furono essi che le attinsero e meglio direi, le usurparono al cristianesimo, sfigurandole, pervertendole e in ogni modo facendole servire di passaporto per altri fini riprovevoli?

La nostra coscienza non ci fa un dovere di essere gelosi dell'integrità e ancora della paternità dei nostri principi?

Così fecero invero i cattolici anche di fronte al liberalismo. Per cinquanta e più anni (dal 1830 in ispecie) combatterono virilmente per persuadere, nonché gli avversari, i buoni stessi, mediante una lunga e gloriosa battaglia contro il cattolicesimo liberale, che, in onta alla illusione del nome, il liberalismo non avea nulla a vedere colla libertà legittima e che non poteva esservi alcuna conciliazione possibile fra quelle dottrine anticristiane e le nostre. E così, dopo che fu assolutamente rescisso ogni rapporto fra dottrine apparentemente accettabili, ma sostanzialmente riprovevoli, rimase sbarazzato il campo ai cattolici per poter professare apertamente e integralmente le proprie dottrine sociali cristiane, senza mistura di pregiudizi razionalistici. E avvertasi bene che la tattica dei cattolici fu insegnata e sanzionata dalla più alta delle autorità. Pio IX col Sillabo proclamò solennemente che il regime liberale non era affatto l'ordine sociale cristiano e, sgombrato ogni dubbio in proposito, Leone XIII prendeva ad insegnare ciò che è l'ordine vero di cristiana civiltà; gelosi ambedue di escludere qualunque equivoco tanto nel programma negativo che positivo dei cattolici di fronte al liberalismo.

Ora io chiedo: cotesti uomini, che furono per il loro spirito deciso e militante (e altri disse intransigente) così sicuri nell'intuire quella linea di condotta e così strenui nel farla trionfare di fronte al liberalismo, perché vorrebbero mutar tattica o piuttosto incominciare una via di errori e di scissure dinnanzi al moto socialistico? – Lo si potrebbe senza grande responsabilità di coscienza?

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3. Ma si comprende bene che questi uomini adottano principalmente questa diversa tattica per espediente di utilità pratica. Accettando, essi dicono, dai socialisti certi nomi e certe forme di istituzioni sebbene imperfette o forse equivoche, e accostandosi o in qualche misura mescolandosi al loro programma e al loro movimento (colle intenzioni e coi propositi, ben inteso di approvarne solo la parte corretta), intanto i cattolici si rendono più graditi alle moltitudini, le quali per questa via ed artificio si dimostreranno grado grado più docili ai consigli dei buoni; sicché i cattolici da ultimo finiranno col cristianeggiare il movimento socialista anticristiano. Ciò chiarisce una volta di più le intenzioni dei nostri amici; ma appunto perché si appellano all'utilità pratica, bisogna riflettere se a questa conferiscano ovvero falliscano.

Nessuna utilità, in primo luogo, noi dobbiamo proporci se essa ci debba costar il sacrificio di una parte qualunque del vero o del giusto; ossia, se per meglio conseguire quella utilità noi dovessimo adombrare qualche aspetto della verità cattolica o coprirci della maschera soltanto di qualche ingiustizia! E se ciò pure giovasse ad attrarci le simpatie delle moltitudini socialiste, non ci alienerebbe l'animo di quelle altre moltitudini che ancora nol sono? Anzi dei buoni e credenti di ogni classe? – E non può essere presunzione codesta che ci spingerebbe, piuttosto che a far parte da noi, a confonderei colle società socialistiche per cristianeggiarle? E ciò precisamente (avvertasi bene la distinzione) allorché non si tratta soltanto di metterci a contatto con gli avversari, per esporre le nostre idee, per ribattere i pregiudizi contro di noi e per beneficare, se si voglia, gli stessi socialisti, affinché per le vie del cuore salgano a scorgere la verità che propugniamo; – ma si tratta di unirsi in sodalizio con loro, di sottoscrivere genericamente ai loro programmi, partecipare alle loro istituzioni; sia pure allo scopo (ciò che non si vuol dubitare) di non accogliere che la parte buona di queste e di mirare a mutarne lo spirito? Ben si può sospettare al contrario che in tali contatti la classe operaia buona che viene al nostro seguito, possa almeno in parte essere travolta nell'orbita del socialismo, piuttosto che attrarre a sé la parte pervertita; e in tal caso il menomo vacillare del nostro piede nel campo de' principi, non comprometterebbe la grandezza e santità di una causa di cui non siamo gli arbitri ma gli umili servitori?

E quando pure si riuscisse a non fallire mai a noi stessi o a ritrarre a tempo il piede, rimane pur sempre questa previsione: che noi con ogni probabilità verremo al risultato cui pervennero quei cattolici i quali, per evitare il peggio e per moderare il liberalismo, scesero a patti con esso, finendo coll'aiutare e precipitare il predominio del liberalismo stesso che poi sconfessò e oppresse viepiù gli improvvidi alleati. – Questa previsione, pur troppo fondata, non sarebbe precisamente l'opposto di quella pratica utilità che quei nostri ardenti amici si propongono di conseguire col loro procedimento, cioè di affrettare il finale trionfo di Cristo sopra C. Marx, del cattolicesimo sopra il socialismo?

Raccogliendo le vele, gli uomini credenti, i quali dallo stesso loro zelo per la causa dei deboli, degli oppressi, del popolo, che è veramente in modo speciale la causa dei cattolici, si trovano tratti a seguire nella loro propaganda sociale quell'indirizzo che ora abbiamo esaminato, spero non dureranno soverchia fatica, al lume dei comuni principi che ci avvivano, a concludere in questi termini.

Non meno del liberalismo, il socialismo (assunti l'uno e l'altro nel loro reale e storico significato) raffigura un sistema di dottrina e analogamente un movimento pratico, essenzialmente riprovevole e anticristiano perché il suo programma consta: – di taluni provvedimenti e istituti essenzialmente erronei ed iniqui; – di altri veri e buoni, ma dettati da principi e da intendimenti fallaci; – e finalmente di mezzi e presidi di propaganda alla loro volta in gran parte ingiusti e pericolosi. Ciò posto è debito dei cattolici di evitare con ogni diligenza fin'anco le apparenze di coordinarsi a quel movimento dottrinale e pratico.

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I cattolici pertanto devono far parte da sé, professando e propugnando quel programma scientifico e pratico di riforma sociale che non esce dal cervello di alcun dottrinario od agitatore, ma che nei suoi capisaldi e nei suoi essenziali indirizzi ci è dato dall'Evangelio, dalle esperienze storiche del cristianesimo e dalle autorevoli interpretazioni e applicazioni concrete dei pastori e del sommo gerarca; – gelosissimi di addimostrare in teoria ed in pratica, che tale programma è opposto egualmente così al liberalismo come al socialismo; e fermissimi nella fede che esso ha virtù intrinseche per insinuarsi, procedere e trionfare da sé, al di fuori di qualunque transazione con dottrine e forze sociali che non derivano dalle stesse fonti cristiane.

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Che se i cattolici trovansi indotti a riconoscere che talune dottrine e proposte degli avversari sono vere e giuste (poiché l'errore spesso non è che verità dimezzata ovvero adulterata) sembra logico e doveroso che essi lo confessino e ne aiutino il trionfo; ma sempre con linguaggio tale, da far comprendere a tutti che con simili dottrine e proposte corrette sono i socialisti che si accostano a noi e non già viceversa; e sempre seguendo tali procedimenti pratici da far comprendere che l'appoggio in tal caso offerto dai cattolici ai socialisti è affatto accidentale e passeggero, né punto involge l'approvazione del loro programma complessivo.

Che se i nostri amici con queste accondiscendenze almeno estrinseche al moto socialistico, intendono di palesare convenientemente un pensiero che sta nel fondo dell'anima loro, che cioè convenga ai cattolici: – mettersi, più che non si faccia oggi dalla maggioranza di essi, a contatto delle masse popolari, – prendere in mano la causa di queste, – propugnarla e difenderla ad oltranza, – combattere (onestamente e legalmente bene inteso) con esse e per esse con quell'ardore e con quella pertinacia che impiegano dal canto loro i socialisti, e di cui dal lato opposto porgono splendido esempio que' cattolici d'oltr'Alpi che si chiamano il conte de Mun, Pottier, Garnier, Lemire; – allora la questione è alquanto diversa, ma non ancora estranea alle nostre conclusioni. Allora è il caso di riflettere primamente che in tali applicazioni concrete, in queste modalità pratiche di valore relativo e di materiale opportunità, a seconda dei paesi, dello stato concreto degli animi, dell'atteggiamento delle classi sociali o della legislazione vigente, noi cattolici dobbiamo imporci e rispettare nel nostro procedere dei riguardi, degli accorgimenti, direi quasi delle delicatezze, proprie della nobiltà e grandezza della causa cattolica, da cui possono bene dispensarsi i nostri avversari sieno liberali, che socialisti.

Ciò posto, rammentiamo di continuo a noi stessi, di mezzo al fervore di una propaganda sociale fra il popolo, che se accetteremo espedienti ed istituzioni del tempo nostro accarezzate dal popolo, non già intrinsecamente inoneste (il che rimane sempre escluso) ma imperfette e pericolose, ciò faremo soltanto, dopo di avere in tutti i modi propugnate ed esperite le istituzioni più perfette e prossime al tipo cristiano (ciò valga p. e. per le unioni corporative miste, rispetto alle Camere di lavoro soltanto operaie); che se apriremo la guerra, cioè propugneremo con ogni mezzo onesto le ragioni degli oppressi di fronte alle classi dominanti, lo faremo per eccezione dopo aver esauriti tutti i mezzi dell'armonia, della conciliazione, della pace (ciò vale in ispecie per le dimostrazioni od agitazioni legali); che se rivendicheremo con speciale sollecitudine i diritti del popolo, lo faremo dopo avere contemporaneamente fermato il rispetto dei diritti di tutti i membri indistintamente della società (ciò riguarda più particolarmente i rapporti contrattuali fra classi lavoratrici e possidenti).

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Ma ammesso che tale linea di condotta più ardita e battagliera, con propositi ed indirizzi più democratici e con espedienti più ammodernati, si addimostri di caso in caso necessaria, – rimane sempre inalterata la stessa conclusione: i cattolici facciano da sé, senza confondersi nemmeno nei nomi e nelle apparenze cogli avversari. – Vogliono erigere delle Camere del lavoro? Sia pure; ma non entrino in quelle socialisti che o in società prone a divenirlo. Vogliono accordarsi intorno ad una giornata di festa generale, che sia affermazione delle giuste rivendicazioni popolari? Lo facciano; ma curino appunto di non coincidere con quella del primo maggio. Credono di propugnare una giornata normale di lavoro? Sia pure; ma evitino studiosamente di lasciar credere che la loro agitazione sia un riflesso del vecchio cartismo inglese, o del nuovo internazionalismo.

Né sfugga mai alle loro labbra una parola o una frase che possa essere fraintesa od abusata a servizio del disordine, mentre essi fra la stessa lotta sono i rappresentanti dell'ordine; né veramente di quello estrinseco, materiale, artifizioso , caduco delle scuole vecchie o nuove anticristiane, bensì di quello intrinseco, morale,· fecondo, che perennemente ringiovanisce in Cristo e che ha con sé l'avvenire.

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Il cristianesimo certamente si contrassegnò nei secoli per mirabile virtù di pieghevolezza, per cui si atteggiò a tutte le forme storiche; ma non mai però in guisa da lasciar sospetto che egli mutasse la sostanza dei suoi principi o dei suoi istituti fondamentali. Esso può dirsi che sia stato geloso non solo dell'essere ma anche del parere.

Facendo diversamente oggidì, i cattolici d'Italia più operosi e perciò più benemeriti, si porrebbero in contraddizione con quei modelli stessi, cui essi si appellano e che formano invero la comune ammirazione, nonché cogli avvertimenti più autorevoli.

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Né io avrei osato esporre a tali amici questi miei pensamenti con tanta franchezza e soprattutto con tanta fiducia che giovi no ad affratellarci viepiù, se non li avessi vagliati al raffronto di esplicite dichiarazioni di persone, che si impongono al nostro ossequio.

È noto che il vescovo di Liegi mons. V. Doutreloux, dopo lunghi anni di tirocinio militante fra i più aspri conflitti sociali del Belgio, e dopo esser stato ancora accusato di soverchio favore all'abbé Pottier, uno dei più arditi campioni del movimento sociale cattolico, pubblicava una lettera pastorale 3 relativa al contegno dei cattolici nelle odierne questioni sociali. Io prego gli amici di leggerla o per intero nel testo francese o nella riproduzione quasi integrale che ne offerse la Rivista internazionale di scienze sociali; 4 e ciò per non esporsi alla accusa di richiamarsi a singole proposizioni piuttostochè all'insieme armonico dello scritto. Ma frattanto sia lecito trascrivere questi passi, veramente decisivi:




«Un principio di prudenza cristiana che noi dobbiamo seguire è questo, di osservare il precetto che già s. Giovanni dava ai primi cristiani di fronte ai nemici di Dio, della religione e della società: "Neque ave eis dixeritis". Nessun compromesso, nessuna alleanza coi socialisti; se essi intendono ad alcuni fini legittimi, nulla impedisce che ci aspiriamo noi pure; ma lasciamoli agire da sé e noi operiamo per conto nostro. I nostri operai non potrebbero che perdervi al loro contatto, la ripugnanza che essi devono avere degli errori dei socialisti non potrebbe che sminuirsi, i moventi del loro operare e la scelta dei mezzi non potrebbe che adulterarsi in quella alleanza».

E tosto il vescovo si adopra a precisare viepiù e insieme a ribadire questo monito, colle seguenti illustrazioni:




«noi non intendiamo qui di comprendere (in questa riprovazione) anche i rapporti individuali coi socialisti; i quali rapporti spesso sono inevitabili e potrebbero anzi essere lodevolissimi quando mirino ad esercitare l'apostolato così efficace di un operaio sopra di un altro. Non intendiamo nemmeno parlare degli assalti che si danno (da parte dei cattolici) all'errore, sia nelle sue fortezze (p. e. nei circoli socialistici), sia nel nostro campo, quando un settario del socialismo si presenti a sfidarci in contradditorio; assalti del resto che possono essere approvati soltanto in quei casi, che non appariscano temerari; – ma noi intendiamo riferirci (con tale condanna) a quelle alleanze, a quelle fraternizzazioni che si potrebbero credere da taluni opportune, sia per effettuare una dimostrazione popolare più imponente, sia per congiungere due forze, allo scopo di conseguire sicuramente un legittimo risultato comune».

«Né basta soltanto mantenersi lontani dall'errore in questi contatti di associazione con associazione; occorre inoltre evitare quanto più è possibile, in ogni caso in cui apparisce biasimevole, la somiglianza del linguaggio e del contegno ("de langage et meme d'allures")» (pp. 26-27, testo francese).

E se non bastino questi espliciti e solenni ammonimenti del vescovo belga che trovasi alla testa dei cattolici più ardenti per la difesa delle ragioni popolari, si rammentino le dichiarazioni del conte de Mun, non solo nel celebre discorso del passato autunno a Landernau, in cui fermò l'opposizione sistematica del programma cattolico con quello socialista, avuto riguardo al rispettivo spirito informatore; ma ancora nella splendida concione tenuta alla Camera francese il 20 aprile testé decorso, in cui respinse con nobile sdegno e con aperta professione del programma sociale dei cattolici, ogni più remota connivenza fra i procedimenti di questi e il movimento socialistico; nell'atto stesso in cui protestava di non voler recedere di un passo dalla difesa strenua e ardimento sa della causa popolare, cui egli ed i suoi amici cattolici di Francia si sono votati da oltre venti anni.

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Or bene: perché, vagheggiando noi di emulare il loro ardimento in pro del popolo, non vorremo seguirli in queste norme di prudente e saggia condotta di fronte al socialismo da loro apertamente professate? – E avvertasi bene, che a rimuovere il dubbio che tali norme abbiano un valore puramente subbiettivo, stanno esplicite approvazioni del sommo pontefice: da un canto la epistola pontificia in data 26 febbraio 1894 diretta al vescovo di Liegi, da un altro la lettera inviata in questi dì dal cardo Rampolla in nome di S. S. Leone XIII al conte de Mun, per congratularsi di quel recente suo discorso alla assemblea di Francia. I quali documenti (concordi del resto nello spirito, con quanto raccomandò ancora l'ultimo congresso regionale lombardo tenuto a Pavia) se mi assolvono, da un canto dalla taccia di aver voluto imporre o caldeggiare indiscretamente mie personali vedute, dall'altro mi accrescono fiducia, che le mie stesse modeste e semplici parole, dettate da affetto alla causa cattolica ed ai suoi benemeriti propugnatori, possano conseguire qualche buon risultato; quello cioè di aver rimosso dei malintesi tra uomini di buona volontà.

Con perfetta osservanza

 

Pisa, 31-5-1894

Devotissimo prof. G. TONIOLO.

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Note

1 La rivista monzese.

2 Questa lettera ha ormai un valore di opportunità in gran parte retrospettivo; perocchè l'autore ebbe a convincersi; in seguito alla comunicazione privata del contenuto di essa ad altre persone, prima fronte dissenzienti, che queste ottemperarono in fine alle conchiusioni della medesima. Di che sia lode a Dio ed alla benevolenza degli amici; mentre ciò può servire di conforto e di esempio a quanti sono persuasi che non sia arduo rimuovere accidentali dissensi fra coloro che sinceramente e senza reticenze accettano l'interezza dei principi cattolici, né vogliono scompagnarsi dalla carità che unifica. Tuttavolta consentiamo che venga pubblicata, perché essa riflette certe discussioni, che in forma consimile si presentarono già fra i cattolici anche d'altre nazioni; e mentre gli argomenti quivi accennati possono giovare per l'avvenire, servono pur sempre a rimuovere maligne insinuazioni intorno alla posizione dei cattolici dinnanzi al liberalismo da un canto ed al socialismo dall'altro.

3 14 gennaio 1894.

4 Fascicolo di febbraio 1894.