RICORRENZE: dell’origine della festa dei defunti – tratto da “Catechismo di perseveranza” – di mons. G. Gaume
Festa dei morti. — Nel giorno dell’Ognissanti la Chiesa è tutta intenta a scuotere le fibre del nostro cuore; e ben si scorge che mira a compiere un importante disegno e ad ottenere un grand’effetto, vale a dire il disgusto della terra, la brama del cielo, la compassione reciproca, la carità universale fra i suoi figli. Se nel mattino di quella giornata memorabile la magnificenza delle sue cerimonie, l’allegrezza de suoi inni presentano l’espressione di una gioia senza amarezze, la sera, ai suoi cantici si mescolano lunghi sospiri ed un palese colore di mestizia. Ed infatti ecco la scena; già in parte cambiata, prendere tutt’altro aspetto. Ai canti della gioia, ai sospiri dell’esilio succedono lugubri suoni; neri ornamenti, quali simboli di gramaglia e duolo surrogansi ai piviali arabescati d’oro; noi più non vediamo nel santo tempio fuorché un monumento funebre dipinto con imagini di scheletri, di teschi, di ossa.
Che cosa significa tal mutazione? E’ una nuova festa, la festa de’morti. Madre affettuosa, la Chiesa vuole che oggi sia una festa di famiglia; ella si presenta ai nostri occhi nelle sue tre differenti situazioni: trionfante nel cielo, esiliata sopra la terra, gemente in mezzo alle fiamme espiatrici. E i cantici del cielo e i sospiri della terra e i gemiti del purgatorio in questo giorno si alternano, si mischiano, si rispondono a coro, ci fanno sovvenire che misteriosi vincoli legano in un sol corpo tutti i figli di Cristo; che le tre chiese, come tre sorelle, si danno la destra, s’incoraggiano, si consolano, si confortano fino al giorno in cui, abbracciate fra loro nel cielo, formeranno una sola chiesa eternamente trionfante.
Quale splendida armonia! Ma eccone un’altra che è impossibile di non osservare. Oh quanto è bene scelto quel giorno per celebrare la festa de’·morti! Quegli uccelli che emigrano, quei giorni che si raccorciano, quelle foglie che cadono a’·nostri piedi per le vie trastullo dei venti, quel cielo oramai
cupo, quelle nuvole grigiastre foriere delle brezze, tutto questo spettacolo di decadenza e di morte non è egli straordinariamente acconcio a riempiere l’anima nostra de’ gravi pensieri cui la Chiesa vuole inspirarci?
Ne ciò è tutto. Al paro di tutte le altre e fors’anche più di tutte le altre, la festa dei morti ristringe i vincoli di famiglia. Si vedeva in passato e si vedono tuttora per le campagne fratelli, sorelle, parenti, vicini radunarsi nel cimitero, pregare, piangere sulle sepolture degli avi e far elemosine per implorare riposo a’ loro cari defunti. E se nel corso dell’anno è sorta fra taluno qualche ombra di discordia , in questo giorno ella si dilegua più agevolmente, poiché davvero siamo inclinati ad amarci quando preghiamo e piangiamo insieme.
Anche testè in alcuni paesi un uomo, detto della veglia, percorreva nella notte le strade della città e, fermandosi ogni venti passi e facendo sonare la sua squilla, gridava: Svegliatevi, voi che dormite, pregate per i defunti. Perché sono state dismesse queste commoventi usanze? Dacché noi abbiamo obliato i nostri morti, siamo divenuti indifferenti verso i vivi; 1’egoismo ha inaridito il cuor nostro, quell’egoismo che avvilisce l’uomo, annienta la famiglia e sconvolge la società.
II. Origine di questa festa. – Ma è tempo di parlare dell’istituzione della festa de’morti. Fino dalla sua origine la Chiesa ha pregato per tutti i suoi figli quando morivano. Le sue preghiere erano supplicazioni per quelli che ne avevano bisogno e rendimento di grazie per i martiri. Si rinnovava il sacrificio e le supplicazioni nel giorno della loro morte. Tertulliano lo accenna chiaramente; « Noi celebriamo, ei dice, l’anniversario della natività de’ martiri. » E più innanzi: « Secondo la tradizione degli antichi, noi offriamo il sacrifizio per i defunti nell’anniversario della loro morte.». Gli altri padri ci offrono le medesime testimonianze
La Chiesa inoltre, sempre buona e sempre affettuosa per i suoi figli, aveva fino dal principio due maniere di pregare e di offrire il sacrifizio per i morti. L’una per ciascuno di essi o per qualcuno in particelare, l’altra per tutti morti in generale, affinché la sua carità abbracciasse quelli che non avevano nè congiunti nè amici che potessero adempiere a quel dovere di pietà a loro riguardo. Essa praticava così anche prima di sant’Agostino. «È antichissimo, dice questo padre, e universalmente praticato in tutta la Chiesa l’uso di pregare per tutti quelli che sono morti nella comunione del
corpo del sangue di Gesù Cristo».
Non vediamo per altro che vi sia stata una festa particolare per raccomandare a Dio tutti i defunti, vediamo bensì i fondamenti sui quali può essere stata instituita; perocchè se fino dalla sua origine la Chiesa, secondo la testimonianza de’padri, ha pregato e sacrificato per i morti in particolare e per tutti in generale, se in tutte le liturgie e in tutte le messe dell’anno è stato pregato per tutti i morti in comune, non è forse evidente che su questi fondamenti si poté instituire una festa speciale per adempiere con maggior cura ed applicazione questo dovere verso i defunti?
Così avvenne infatti, e sarà vanto esimio e gloria eterna della Franca-Contea, conosciuta allora col nome di Borgogna, l’aver dato nascimento a questa pia instituzione. Uscito da una delle famiglie più nobili della Borgogna, il beato Bernonc, abbate di Beaume-les-Messieurs, vicino a Lons-le-Saulnier, aveva fondato la badia di Clunì. Questa illustre congregazione, che aveva ereditato la pietà del fondatore verso i defunti, fu sollecita di adottare la commemorazione generale de` trapassati, che rese stabile e perpetua con decreto dell’anno 998. Ecco `le parole del capitolo generale di Clunì:
«È stato ordinato dal nostro beato padre Odilone, di consenso e ad istanza di tutti i monaci di Clunì, che siccome in tutte le chiese si celebra la festa dell’Ognissanti nel primo giorno di novembre, così presso noi sarà celebrata solennemente in questa maniera la commemorazione di tutti i fedeli defunti. Il giorno della festa di tutti i santi, dopo il capitolo, il decano e i cellerarii faranno un’ elemosina di pane e di vino a tutti quelli che si presenteranno: dopo il vespro saranno sonate tutte le campane e sarà cantato il Notturno de’morti. La messa sarà solenne, e saranno cibati dodici poveri.
Noi vogliamo che questo decreto sia osservato a perpetuità tanto in questo luogo come in tutti quelli che ne dipendono; e chiunque osserverà come noi questa instituzione parteciperà alle nostre buone intenzioni».
La divota pratica s’introdusse ben presto in altre chiese, e quella di Besanzone fu la prima ad abbracciarla. Era, possiamo dire, in certa maniera una sua sostanza, un suo patrimonio, che le tornava, consacrato dal suffragio de’ santi amici di Dio. Indi a non molto la Commemorazione generale de’morti, fatta nel giorno successive all’Ognissanti, era comune a tutta la
chiesa cattolica.
Tratto da “Catechismo di perseveranza” – di mons. G. Gaume – prima ed. milanese – vol. VII, pagg. 306-310 – Carlo Turati Librajo-Editore – Milano 1860.
Si ringrazia: http://www.lucisullest.it/dett_news.php?id=5287
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