(Tempi) A Parigi un museo che ci ricorda l’infinito

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Quel Medio Evo di luce



Un ostello medievale nel cuore di Parigi, il tempio di un mondo che viveva Cristo come origine e meta, dolce ossessione. Senza verità relative e tempo amministrato. Folli loro o stolti noi?



Marina Corradi


Tempi n° 50 – 9 Dicembre 2004


Parigi. Il metrò più vicino è Cluny-Sorbona, l’ingresso da place Paul Painlevé numero 6. Al Louvre c’è la coda, qui no. Ma è come un buco nel tempo questo Musée du Moyen Age installato in un ostello medioevale dell’abbazia di Cluny, nel cuore di Parigi. Dove già l’architettura delle sale – scale irregolari, archi gotici, soffitti a volta – sembra introdurti in un altro evo, in un luogo onirico dove il passato è rimasto, intatto. Un museo come un tempio. C’era una volta il Medio Evo. Un mondo del tutto diverso dal nostro. Che gravitava attorno a un unico centro, a una sola verità – in maniera ostinata, e, si direbbe forse oggi, ossessiva. L’idea di Cristo come unico senso e orizzonte, origine e meta, alfa ed omega.


Perché la prima evidenza nelle migliaia di oggetti provenienti da tutto l’Occidente, è la esclusività del soggetto sacro: natività, annunciazione, passione, morte, resurrezione, solo questo raccontavano gli artisti. E su ogni manufatto, bastone da passeggio, scrigno, su pettini e coltelli, caraffe per l’acqua e battenti delle porte, nel legno o nel metallo o nell’avorio, le mani degli artigiani scolpivano sempre e solo Nazareth, Betlemme, il Golgota.


Scrigno d’avorio, provenienza le Fiandre, completamente intarsiato di figure alte pochi millimetri. Il Vangelo in trenta centimetri per venti. Tutto fatto con la stessa minuziosa, paziente mano. Quante ore di luce solare ci sono d’inverno nelle Fiandre, e quanto è lungo l’inverno? Quanto più breve che adesso era, nel Medio Evo, la vita di un uomo? E immagini che chi ha inciso quello scrigno abbia passato quasi tutte le ore di sole della sua vita a cesellare il suo capolavoro ignoto.


Di scrigni, coprimessali, vere di pozzi, pannelli, tutti ugualmente scolpiti, quasi tormentati con quell’unico soggetto, ce n’è a centinaia. Come se, in “quel” mondo lontano, la realtà, quella vera, non fosse il lavoro, la fame, il freddo, la povertà. Come se la realtà “vera” fosse quella Parola tramandata e attesa con assoluta certezza. Viene in mente come un’eco, fra i capolavori degli artisti sconosciuti del Musée du Moyen Age: «O nostri santi che in cielo esultate,/ vergini sante gloriose e beate,/ noi v’invochiam:/ questa città/ col vostro amore salvate./ Contro il nemico che l’anima tiene,/ contro la morte che sùbita viene,/ in ogni cuor/ sia pace e bene,/ sia tregua a ogni dolor./ Pace!». L’inno medioevale delle scolte di Assisi esprime la stessa anima di place Painlevé. L’affidamento degli inermi, di chi sa che il mondo è apparenza e «la morte sùbita viene»; tuttavia sa anche, e proclama, che «tutto in Lui consiste». Come la sbalorditiva collezione di arredi sacri. Da tutto l’Occidente: dall’Italia e dalla Galizia e dalla Boemia, crocefissi e reliquiari smaltati e cesellati e carichi delle pietre più preziose. Di straordinaria bellezza. Di fattura finissima. Anni di lavoro per quel ricamo, quel cesello impresso nell’oro, sottile e uguale. Doveva stare sull’altare. Doveva dunque essere perfetto. E quella croce, mai negli angoli, ai margini, ma fiera invece, brandita alla testa di mille pellegrinaggi in marcia verso Santiago de Compostela.


E tu, frastornato per queste antiche scale, rifletti: grandi popoli, grandi cristiani. Tuttavia – retropensiero – non forse maniacali? Perché, se erano savi loro, a pensare sempre a morte e resurrezione, allora stolti noi, con le nostre verità relative e il nostro tempo saggiamente amministrato, dove per Dio in genere non resta granché. Insomma, folli loro, o stolti noi?


Con questo dubbio entri nella sala più bella. I resti delle statue di Notre Dame, martirizzate dai vandalismi della Rivoluzione, sono disposti come in un palcoscenico di teatro. Santi e vergini e apostoli di marmo candido, tutti offesi da un vulnus: senza testa, o monchi, o deturpati nel volto. Nella luce candida, bellissime e dolorose le statue violate. Sembrano anime. Assomigliano a noi. Uomini, alti, fieri, e però spezzati. Mancanti di qualcosa, miserabili in quella devastante ferita. Nel Medio Evo lo sapevano. Noi, sembriamo aver dimenticato.





(c) 2004 – Editoriale Tempi duri s.r.l.