Storia militare del cristianesimo

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Alberto Leoni, Storia militare del cristianesimo, Piemme 2005, ISBN: 88-384-8503-8, pagine 412, Euro 17,90

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Il racconto delle imprese belliche dei cristiani attraverso venti secoli di storia è l’argomento del nuovo libro di Alberto Leoni intitolato, per l’appunto, «Storia militare del cristianesimo». All’immagine attuale di una religiosità «disincarnata e moralistica», l’autore oppone la realtà storica di una comunità combattente, impegnata nella difesa dei propri valori fino al paradosso delle guerre di religione. Il racconto di Leoni prende avvio all’epoca romana e, attraverso il Medioevo e la modernità, si spinge fino ai giorni nostri, dove il conflitto ha assunto la forma di «una guerra asimmetrica e culturale», nella quale la speranza è l’unico potere esercitabile da chi non ha potere. Leoni chiarisce anche che la recente e «doverosa condanna» della guerra da parte dell’Istituzione cattolica ha portato «a un fraintendimento grossolano e cioè al rifiuto sia di fatti storici senz’altro discutibili – come certi episodi delle Crociate – sia di buona parte della tradizione della Chiesa, nonché del suo diritto canonico».
Una recensione del grande apologeta Rino Cammilleri.
Cristianesimo militare. Festività religiose e fatti militari

Pochi lo sanno, ma il calendario cristiano è pieno di feste istituite per ricordare una vittoria militare dei cristiani. Per esempio, il 14 settembre, Esaltazione della Croce: rammenta la stupefacente campagna militare con cui l’imperatore Eraclio, bizantino e dunque “romano”, sconfisse l’impero persiano e riportò a Gerusalemme la Vera Croce che gli adoratori di Ahura Mazda avevano portato via come bottino quando avevano invaso la Palestina e distrutto i Luoghi Santi. Eraclio, nel 629, conquistò la loro capitale e li costrinse alla resa.

Per un paragone, pensate cosa accadrebbe oggi se gli americani invadessero La Mecca e trafugassero dalla Ka’ba la Pietra Nera sacra ai musulmani.

Un’altra festa è quella della Trasfigurazione, 6 agosto. Nel 1456, a soli tre anni dalla caduta di Costantinopoli, Maometto II assediava Belgrado: fu il francescano (e inquisitore) s. Giovanni da Capestrano a guidare, crocifisso in pugno, l’esercito cristiano a una vittoria talmente insperata (data l’enorme disparità di forze) da “trasfigurare” per la gioia il volto dell’Europa. E fu ancora un francescano a dare origine a un’altra festa, quella del Nome di Maria, 12 settembre; Maria, il cui Nome il b. Marco d’Aviano volle sulle bandiere cristiane che nel 1683 liberarono Vienna (Vienna, a due passi da qui) dai soliti turchi.

Il 7 ottobre, com’è noto, è Nostra Signora della Vittoria, o del Rosario, perché i cristiani attaccarono a Lepanto nel 1571 recitando appunto il rosario; per una di quelle coincidenze di cui è costellata la storia cristiana, la tattica della flotta turca era quella, consueta, di schierarsi a mezzaluna per operare aggiramenti; i cristiani, per dare spazio alle grandi galeazze veneziane, dovettero schierarsi a croce.

Il bellissimo e dettagliatissimo libro di Alberto Leoni, Storia militare del cristianesimo (Piemme), ci rivela che l’intera storia del cristianesimo è anche una storia militare, cominciando da quei legionari romani che, anche prima di Costantino, combattevano per difendere la civiltà contro i barbari, per finire ai recentissimi fatti del Libano e del Sudan.

Tra l’altro, sempre a proposito di calendario, quello liturgico è letteralmente zeppo di Santi che di mestiere facevano il soldato, tanto che ho dovuto dedicare loro un intero libro, I Santi militari (Estrella de Oriente). Oggi si fa un gran parlare di “identità”, ma proprio il testamento spirituale di Karol Wojtyla, il suo ultimo libro, fa presente che non c’è identità senza memoria (infatti, si intitola Memoria e identità, Mondadori).

E la nostra identità “europea” comincia nell’VIII secolo, quando i cristiani di Carlo Martello fermarono gli arabi a Poitiers: per la prima volta, i cronisti medievali usarono il termine “europei”.

Oggi, si sa, certo pacifismo no-global, erede diretto del “disarmo unilaterale” e del “meglio rossi che morti”, ha contagiato anche non pochi preti e, soprattutto, qualche francescano che ha estrapolato i passi più à la page dei “Fioretti”.

Tuttavia, Francesco d’Assisi, ex cavaliere, non solo partecipò alla crociata, ma andò a dire in faccia al sultano che si trattava di una guerra giusta (non “santa”, che non è un concetto cristiano).

Proprio ai francescani, come abbiamo visto, dobbiamo la salvezza dell’Europa, e più volte. A loro aggiungerei gli altrettanto francescani Raimondo Lullo e Lorenzo da Brindisi, uno Beato e l’altro Santo, entrambi impegnati in spedizioni militari (oggi si chiamano “interventi umanitari”, ma non per questo i papi hanno smesso di invocarli quando servono; come Giovanni Paolo II a proposito della Bosnia negli anni Novanta).

Certo, la guerra è guerra e ci sono luci ed ombre. Ma è invalso il vezzo autolesionistico di vedere solo queste ultime, così che non sappiamo più di dovere la nostra libertà di discettare su nozze gay e miss Italia anche a quei settecento cavalieri che nel 1565 resistettero per ben quattro mesi, a Malta, all’assedio di duecento navi ottomane cariche di uomini, mettendole in fuga, guarda un po’, un 8 settembre, festa della Natività di Maria.

E chi se lo ricorda più il “miracolo della Vistola”, quando i polacchi respinsero nel 1920 l’Armata Rossa che assediava Varsavia ed aveva tutte le intenzioni di proseguire? Oltre la Polonia c’era la Germania, in piena anarchia dopo la disfatta bellica. E le altre nazioni europee che ancora si leccavano le ferite della Grande Guerra.

Dunque, ancora una volta l’Europa intera fu salvata manu militari. Eppure quel “miracolo” è dipinto su una delle cappelle della basilica di Loreto, perché i polacchi sapevano bene di doverlo alla Madonna.

Non solo. Quanti sanno che, in quella basilica, i cancelli sono stati forgiati usando il ferro delle catene degli schiavi cristiani liberati a Lepanto? Naturalmente, oggi come oggi bisogna far ricorso al dialogo, ci mancherebbe.

Epperò sono l’esperienza e il buonsenso a ricordare che il dialogo è più fruttuoso se si tende, sì, la mano, ma avendo cura di tenere, con l’altra, un robusto randello dietro la schiena.

Rino Cammilleri