San Luigi Gonzaga, Un ritratto in piedi

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Manlio Paganella, San Luigi Gonzaga: Un ritratto in piedi, Edizioni Ares, Milano 2003, pp. 280, euro 20, ISBN: 88-8155-269-8.

Il libro di Manlio Paganella, professore di storia e filosofia presso un liceo di Castiglione delle Stiviere – città natale di san Luigi Gonzaga – si discosta dalle solite biografie aloisiane.
La figura del santo qui presentata, viene spogliata «dagli ori e dalle laudi» che sembravano soffocarla, liberata da quell’ascetica e quel misticismo esagerato di cui era circondata, assumendo dei valori più «terreni».
Un ritratto in piedi, dunque, che non si riferisce solamente alle rappresentazioni iconografiche che ripercorrono visivamente la sua vita, ma è anche un tentativo di ricostruire un’immagine realistica dell’uomo, oltre che del santo. Così, vengono esaltate tutte le qualità che, in vita, hanno reso l’uomo così speciale: prima su tutte la sua rapidità nell’agire, il suo non perdere tempo, così in contrasto con la realtà della nostra società; ma anche la sua incredibile capacità di comunicare, di farsi prossimo, di realizzarsi per gli altri e con gli altri. Inoltre, viene anche lodata la sua ricerca della semplicità, la sua attitudine a semplificare la propria vita all’interno della complessa famiglia dei Gonzaga.

Si tratta, insomma, di una «voglia di leggere san Luigi come si legge un cristiano in piedi», come afferma nella prefazione Egidio Caporello, vescovo di Mantova; una riscoperta dei valori della sua interiorità e non soltanto di quelli della sua dedizione caritativa.

Vi è un secondo aspetto in questa biografia che intende, attraverso la celebrazione, attualizzare la storia e i valori cristiani tramandatici da Luigi Gonzaga. Celebrazione intesa come l’esaltazione della realtà cristiana, della verità per cui l’uomo è attratto dall’amore di Dio, «della passione di Luigi per il Cristo e, attraverso il Cristo, per Dio e per il prossimo».

Dunque, il tessuto tematico vero e proprio di questo recupero storico, non è la celebrazione in sé, ma la progettazione della vita sui valori della verità cristiana testimoniati da san Luigi Gonzaga. Pianificare il futuro secondo la memoria aloisiana è la vera ragione di questa biografia.

Nello scorrere le pagine è sempre più chiaro il messaggio dell’autore, diretto in particolare alle giovani generazioni di oggi, bisognose di certezze, di speranza e di un «modello a cui orientarsi nella concretezza». Un ritratto in piedi, però, si rivolge a persone di ogni età, poiché contiene fondamentali modelli di comportamento e di vita.

Paganella indaga su alcuni episodi sconosciuti della vita del santo, che risultano anche tra i più significativi, offrendo una serie di parallelismi con altre figure di grande spessore, come sant’Agostino o san Josemaría Escrivá. La biografia, sorretta da una scorrevole narrazione e dai puntuali riferimenti storici, si rivela fin dalle prime pagine una piacevolissima – ed edificante– lettura.

Francesco Della Rosa

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Breve biografia di San Luigi per ragazzi

Era figlio di un principe, quindi principe lui pure: che vita gli si apriva dinanzi! -Ne faremo un gran guerriero!- diceva compiaciuto suo padre, Ferrante Gonzaga, marchese di Castiglione delle Stiviere.
Ma la madre, Marta Santena, donna piisima e tutta sollevata nelle cose dello Spirito, vedeva diversamente l’avvenire del figlioletto.
Era un figlioletto per l’appunto strano: cioè, strano niente affatto.
Cresceva con gli occhi rivolti al cielo: così. E sembrava che ogni gioia, ogni delizia dovesse venirgli solo da lassù.
Che mancasse di coraggio? Neppure a pensarlo. Una volta, quando aveva otto anni, si trovava a Casalmaggiore col padre. I soldati facevano manovra ed egli li vide sparare un piccolo cannone.
A lui ora! Aspettò che gli sguardi degli altri posassero altrove, s’avvicinò al cannone e… si comportò da perfetto cannoniere.
Il colpo partì, il pezzo rinculò fortemente, e per poco il piccolo Luigi non rimase ucciso. In quanto a spavento, nulla di nulla. Lo trovarono li vispo e sorridente, come se si fsse gingillato col più innocuo dei suoi giocattoli.
-Ah!- diceva il padre entusiasmato – ne farò un guerriero di grido!- Era forte davvero e coraggiosissimo.
A dodici anni, una notte si era svegliato tra le fiamme. Era accaduto che una candela dimenticata accesa aveva appiccato il fuoco alle cortine del letto.
Il giovanetto, nulla. Da solo, silenziosamente, spense le fiamme, sicuro come un intrepido ometto.
-Ah sì!- commentava il marchese – ne farò uno splendido guerriero!-
Ma le cose non andavano precisamente come egli desiderava: più che alle armi, più che alla vanità del mondo, il giovanetto Luigi teneva sempre meglio gli occhi rivolti al cielo e si distingueva per una vita di intensa pietà.
Vivace d’ingegno, prontissimo d’aspetto, bello come un angelo, ricco e rispettato: dite, non era tutto ciò un lembo di paradiso quaggiù? Invece no. Luigi aveva di mira ben altro.
Un giorno, ripensando ad una lievissima marachella compiuta, era caduto privo di sensi tra le braccia della mamma.
Il perchè? Senza capirne il senso, aveva ripetuta una espressione scorretta sentita dai soldati del babbo!
Giunse il giorno della sua più grande gioia: dal Cardinale Borromeo di Milano ricevette la prima Comunione. – Gesù, sarò sempre e tutto tuo!-
Più tardi, trovandosi a Firenze presso il Granduca dei Medici, un giorno si fece condurre dal suo precettore nella Chiesa della Santissima Annunciata, e là, inginocchiato davanti all’altare della Madonna: – O Mamma – le protestava raggiante di amore – sarò sempre e tutto, tutto tuo!-
Fanciullo stupendo, attorno cui il creato stendeva tutta la festa dei suoi sorrisi.

Un principino, il nostro, umile come il più umile dei figli degli uomini. Con un desiderio immenso di avvicinarsi, di assomigliare sempre meglio a Gesù, a Gesù Crocifisso.
Per questo a volte si ritira nella sua cameretta, da la mano ad una corda e si flagella fino a perdere sangue.
Passa il tempo e il marchese ferrante si conferma nel suo proposito: – Ne faò un magnifico principe!- E, per prepararlo meglio, lo invia come paggio alla corte di Filippo II di Spagna. E’ grande lo sfarzo di quella corte, e in essa Luigi Gonzaga spicca come un fiore privilegiato: bello, intelligentissimo, già pronto, colto e sagace nelle risposte.
Ma il lusso non fa per lui, gli da anzi fastidio. Un miraggio, soprattutto, gli conquista il cuore: la povertà avangelica. Per questo i suoi abiti preferiti sono quelli meno sfarzosi, già un po’ consunti dall’uso, meno atti a richiamare gli sguardi degli ammiratori.
A volte porta calze rammendate e rifiuta, se appena può, di apparire portando al collo la collana d’oro del suo costume di paggio.
Ha ben altro da ammirare questo giovinetto che cresce nel lusso, senza che nulla di esso neppure lo sfiori!
Era vissuto, in quella stessa terra, un prodigioso cavaliere, gagliardo e valoroso nelle armi, che era rimasto ferito combattendo per la sua patria. Il Signore gli aveva, ad un dato punto, raggiunto il cuore: egli aveva smessa l’armatura e, deposte le armi, si era fatto religioso. Si chiamava Ignazio di Loyola e aveva fondato la Compagnia di Gesù.
Il principe giovinetto non badava al lusso, sognava estatico di potersi fare gesuita.
Esile e dritto, proprio come un giglio, modestissimo, composto, rispettoso, il capo chino e gli occhi abbassati, una spiccata inclinazione per la vita di silenzio e nascondimento: ecco il principino di cui il marchese vorrebbe fare un guerriero!
Ahimè! Come potrà il ragazzo confidare al padre la decisione di voler abbandonare il mondo e consacrarsi interamente a Dio?
C’è di mezzo la mamma, e la mamma è sempre colei che meglio sa intercedere. Tuttavia a Luigi già sembra di udire la voce paterna: – il figlio del marchese Ferrante prete? Mai!- E furono infatti impeti di collera incontenibile all’inatteso annuncio. Tuttavia quando, sedicenne, Luigi di Gonzaga lasciava la corte di Madrid per far ritorno in seno alla famiglia, la decisione era ormai incrollabile: – Sarò completamente tuo, Gesù-

Ora il marchese Ferrante cerca di non lasciare un momento di tregua al figliolo: chissà! Forse un po’ di vita turbinosa lo smuoverà da questo proposito.
-Ho bisogno di te. Ti manderò a Milano. –
Lo manda a Milano a trattare affari di stato. Luigi è tanto giovane, ma tutt’altro che inesperto: li disimpegna a perfezione. Ma poi…è ancora lui, tutto lui, col suo cuore puro, con la sua decisione incrollabile.
Questo sfarzo, questo lusso, questa corte meravigliosa? A lui non dicono nulla, proprio nulla di nulla. Gli danno, anzi, immenso fastidio.
Il marchese Ferrante manda allora il figliolo in viaggio per altre corti d’Italia: Modena, Parma, Torino.
Le distrazioni possono tanto sul cuore di un giovanetto! Chissà mai che non convertano al mondo anche questo piissimo adolescente.
L’Arcivescovo di Torino, Della Rovere, gli era zio. Un giorno Luigi si trovava nella sua anticamera, e lì, tra altri, c’era anche un vecchio signore, dai modi distinti, ma dal linguaggio non altrettanto attento e castigato.
Il giovane Gonzaga è appena sedicenne, ma in questo momento può essere maestro, e quale meraviglioso maestro!
-Non si vergogna lei, alla sua età, di simili discorsi? – Il signore arrossisce e tace: la lezione ha raggiunto perfettamente il segno.
Così, in ogni istante della sua giornata, Luigi Gonzaga. Un solo ideale: farsi gesuita e seguire il Crocifisso.
Ma il marchese Ferrante è sempre contrario a concedere il suo assenso, anche se molti ed autorevoli sono gli intercessori. Egli vede soltanto il figlio perduto alla gloria della terra, né gli riesce di contemplarlo guadagnato a quella del cielo.
Possibile che questo giovanetto non lo voglia ascoltare ed obbedire? Proprio no?
-Allora, fuori di casa! Via dal mio sguardo! Tornerai quando avrai cambiato idea. –
Luigi in pianto, se ne va. Un convento lo accoglie: lì si scioglie in preghiera.
-Dimmelo tu, Signore, che cosa debbo fare? – Ha un grande desiderio di immolazione, di sacrificio.
-Dimmelo, dimmelo tu! –
Un giorno il padre lo fa richiamare, lo ammette alla sua presenza e lo rimprovera acerbissimamente.
E’ troppo: Luigi si ritira nella propria stanzetta, si inginocchia sul pavimento e, scoppiando in pianto, si flagella senza pietà.
-Dimmelo, dimmelo tu Signore!-
Ma stavolta qualcuno lo spia, lo osserva, è profondamente turbato dalla scena cui assiste. Accorre dal marchese Ferrante: – Sapete? Vostro figlio…
E’ scoccata l’ora di Dio: anche il rigido marchese è vinto, non resiste più.
-Il Signore lo vuole per se? E di Lui sia! –
La felicità del giovanetto!
Poco dopo abbandonava il mondo per entrare nella Compagnia di Gesù. Nessuna cosa gli era mai parsa tanto bella e gioiosa quanto voltar le spalle alla ricchezza per abbracciare la povertà di Colui che lo chiamava, lo chiamava senza sosta, dolcissimamente…

Il mondo era ormai lontano, coi suoi rumori, con le sue distrazioni. Tra i compagni novizi, Luigi era un modello di perfezione. La preghiera era la sua estasi, il suo perpetuo godimento. Non sapeva più staccare il pensiero dalle cose divine.
-Troppo!- gli si diceva a volte – Anche come mortificazione, devi trattenerti alquanto dal pregare-
Ma Luigi non riusciva.
-Signore, Signore, allontanati un poco da me!- esclamava quando troppo intensa gli si faceva la piena del cuore.
Ma l’invocazione pareva sperdersi nel vuoto, e il pensiero di Dio rimaneva così intenso, così totale, che spesso il giovanetto non sapeva più nemmeno controllare gli atti della sua condotta esterna.
Un Giovedì Santo Luigi è inginocchiato davanti al Sepolcro, sfavillante di luci e splendido di fiori, e vi rimane a lungo, in profonda preghiera.
-Hai visto che stupore il Sepolcro? – gli chiedono poi i compagni.
-No-
-Come? Non hai osservato la disposizione delle luci, la gioiosa composizione dei fiori?-
-No!-
-Ma che cosa facevi allora davanti al sepolcro?-
Nulla di quello in cui si distraevano i compagni: egli parlava a Gesù, intendeva il suo Gesù, ed in lui dimenticava se stesso e il mondo circostante.
Modello nella preghiera, il “pretino” ardeva dal desiderio di divenire ogni giorno più umile, più sottomesso, più puro.
Cercava con bramosia il sacrificio, si sarebbe annientato per procurare un attimo di sollievo ad un fratello sofferente.
Il prossimo, tutto il prossimo, era sua amatissima famiglia: per esso non avrebbe esitato ad offrire in olocausto la vita.
S’era sviluppata in lui un’altra virtù, rarissima in cuori così giovani e delicati: lo spirito d’eroismo. Fare qualcosa, qualcosa di grande e di molto costoso per gli altri: Gesù aveva dato la vita per gli uomini, ed era il padrone del mondo!
Dare, dunque, se stesso ai fratelli: le forze, il sangue, la vita!
E le cose venivano rapidamente e tragicamente incontro alle sue sante aspirazioni.
E’ il 1591, e a Roma scoppia una terribile pestilenza. L’orrendo male colpisce inesorabile: dappertutto è spettacolo di miseria e di morte. Gli ospedali non bastano più a ricevere il grande numero dei colpiti: la gente cade per le strade, muore nelle case senza assistenza e conforto.
Un’ora buia passa sulla città eterna, visitata dal dolore e tutta in pianto.
I Padri Gesuiti aprono un loro ospedale: Luigi ottiene di farvi servizio di infermiere.
Ora la sua carità mette le ali: nessun freno più al suo ardore altruistico, al suo immenso desiderio di olocausto.
Non c’è ora del di e della notte: ogni gemito di sofferente è per lui un comando, uno sprone, una chiamata a cui è impossibile non dare risposta.
Il tempo non ha più significato per lui: ma Luigi non è forte, la sua fibra è delicata, esile la sua persona e sensibile a questi strapazzi. Senza dire che, oltre a tutto il resto e di tutto più grave e pericoloso, c’è il rischio del contagio.
I superiori temono per Luigi e decidono di trasferirlo dall’ospedale del Gesù a quello della Consolazione, dove si curano solo i feriti, e minore è la fatica per chi li assiste.
Luigi obbedisce, ma gli sembra di aver lasciato alle spalle un tesoro: là, nell’ospedale degli appestati, Gesù era meglio visibile…
Ora sente come la mancanza di qualche cosa di vitale, di insostituibile: l’aria stessa che dona la vita.
Un giorno vede un povero infermo, un appestato, cadere per la via: solo, abbandonato da tutti.
Luigi non ha un attimo di esitazione: vola verso di lui, gli porge i primi conforti, lo rianima un poco.
-Ecco Gesù- pensa-nella povera spoglia di questo malato-
E si appresta a servirlo con lo stesso amore, con la stessa devozione, con lo stesso slancio con cui servirebbe il suo Dio.
Lo accarezza, lo abbraccia, se lo carica sulle spalle, lo porta all’ospedale, lo accomoda nel letto.
E’ immenso il cuore del “pretino”, un gioiello che quaggiù non ha confronti; ma è giunta l’ora del supremo sacrificio.
Lo stesso giorno una gran febbre assale pure lui: il contagio!
Il giovane Santo non ha paura di nulla: sa che oltre questa terrena, si vive un’altra vita, ed è appunto a quella che egli aspira fervorosamente.
Il male s’è fatto subito gravissimo: Luigi Gonzaga non sopravviverà. Si spegne, infatti, bello come un fiore, reclinando gentilmente e gioiosamente la candida corolla. I fratelli di fede gli sono tutti attorno, edificati.
-Recitate per me il Te Deum!-
-Ti lodiamo, o Signore, e confessiamo la Tua onnipotenza!-
Ormai è la fine: nella modestissima celletta si spegne un Santo, un meraviglioso Santo, poco più che ventenne!
E’ il 21 giugno 1591.

da "I pellegrini del Signore" di A.Poma, 1958

Fiorite, o gigli di tutti i giardini, per ricordare San Luigi Gonzaga, nelle cui mani siete divenuti il simbolo della virtù più bella di un ragazzo: la purezza del cuore.