Quando l’abito faceva il Monaco

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Lara Mercanti e Giovanni Straffi, Quando l’abito faceva il Monaco, Edizioni Polistampa, Firenze, pp. 238, € 18.

La “ventata di modernità” con cui la Chiesa ha cercato di rispondere agli smottamenti sociali portati dal Sessantotto, dice Rosa Alberoni qui accanto, ha paradossalmente rischiato di allontanare i fedeli dalla sostanza della Parola di Dio e dalle millenarie “consuetudini” della sua casa terrena, a partire dalla solennità del rito della Messa. E se l’ultimo libro di Benedetto XVI torna, infatti, al nocciolo del Verbo, non mancano suoi saggi richiami alla riscoperta e al recupero delle più veraci tradizioni cristiane.
Per chi volesse, anche in proprio, provare a intraprendere questo viaggio, le Edizioni Polistampa di Firenze propongono un parziale ma quanto mai affascinante portolano che guarda alla storia e alla Regola degli ordini monastici attraverso lo studio del loro costume. Con il dovuto rigore, ma anche la giusta leggerezza, a partire dal titolo: Quando l’abito faceva il Monaco.

Lara Mercanti e Giovanni Straffi, infatti, prendono spunto dalla recente catalogazione di 62 figurini monastici settecenteschi, da poco trasportati dal piano terreno della Badia Fiorentina al Museo Diocesano di Santo Stefano al Ponte (sempre a Firenze), e, partendo da questa inusuale sfilata di moda maschile, si lasciano trasportare avanti e indietro nel tempo, rispolverando trattati e libri di storia, carteggi e antichi manoscritti. Perché, se è vero che la storia del costume ecclesiastico è piena di discordanze tra norma e prassi, non si possono non notare «gli innumerevoli interventi delle autorità religiose, volte a ristabilire l’ordine, anche in materia di abiti da indossare, emanando proibizioni e, in alcuni casi, severe punizioni».
Il compito non è comunque semplice, se si pensa che, tra estinti ed esistenti, la Chiesa conta ben oltre cinquemila differenti ordini, ognuno dei quali più o meno caratterizzato da un proprio abito o anche, semplicemente, da un suo particolare. Ma i 62 disegni acquerellati censiti (e riproposti) in queste pagine riescono a rendere la complessità delle fogge e degli stili, anche grazie a due ricche appendici che ricostruiscono il “Glossario del costume religioso” e “i colori liturgici”. Già il solo studio delle tinte, infatti, offre interessanti spunti di riflessione sul valore sociale e “rappresentativo” degli abiti: grigio o marrone indifferentemente, secondo le sfumature del filato grezzo, e poi il nero per gli ordini “poveri” o mendicanti; bianco, blu o rosso (fino al porpora) per quelli nobili o per le celebrazioni più solenni.
E ancora, le acconciature, gli accessori, le calzature, i cappelli e i bastoni, la loro comparsa, il loro significato e la loro evoluzione. Perché ogni figurino è corredato da una scheda “giustificativa” che diventa occasione per ripassare la storia dell’ordine rappresentato e della sua vocazione, anche in virtù del fatto che il monaco venga ritratto frontalmente o di profilo, in piedi o inginocchiato, in posa o in preghiera.

Matteo Tosi

Il Domenicale n. 20 del 19\25 maggio 2007. Con il permesso dell’Editore
www.ildomenicale.it