Camillo Langone, Guida alle messe; quelle da non perdere: dove e perché. Mondadori 2009, pp. 291, ISBN 9788804586289, € 15.00
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La "guida Michelin" dei fedeli
di Andrea Tornielli, il Giornale, 9 aprile 2009
«Sai che differenza c’è tra un liturgista e un terrorista? Che con il secondo si può trattare…». La battuta, ferocissima contro la benemerita categoria degli esperti di liturgia, fece ridere di gusto l’allora cardinale Ratzinger, che prima di diventare Papa, inascoltato, chiese più volte tolleranza verso i tradizionalisti, criticando al contempo la messa «degenerata in show» che non di rado veniva celebrata nelle chiese cattoliche. Dittatura di certi liturgisti, creatività esuberante di certi sacerdoti che presiedono le funzioni rubando la scena al vero Protagonista per mettere, per lo più inconsapevolmente, se stessi o l’assemblea al centro dell’attenzione. Messe con l’accompagnamento di canti modulati sulle note dei successi dei Beatles, processioni d’offertorio che vedono portare all’altare praticamente di tutto, dagli scarponi rotti al ferro da stiro, balli che «c’azzeccano» come i cavoli a merenda con la nostra cultura e la nostra sensibilità, mentre hanno un senso in Africa o in Oceania. Chiese di nuova costruzione che sembrano concepite da architetti con seri problemi di adattamento e assomigliano ad enormi garage, a cupe caserme rivestite di piombo, a luminescenti centri commerciali o a insignificanti palestre. Con acustiche pessime, calde d’estate e fredde d’inverno. Luoghi di culto che a tutto inducono chi vi entra, tranne che alla preghiera, al raccoglimento, all’immergersi nel mistero. Per districarsi in questo mondo, per capire quali siano le messe «da non perdere» e quelle perdibili, arriva in libreria la Guida alle messe (Mondadori, pagg. 313, euro 15), scritta da Camillo Langone, che in questi ultimi anni ha percorso in lungo e in largo parrocchie, chiese e santuari d’Italia partecipando alle liturgie domenicali e stilandone una classifica. La guida Michelin delle celebrazioni potrebbe sembrare un’operazione dissacrante. Le messe trattate alla stregua dei ristoranti, dalle cene di gala alla cena eucaristica, con tanto di votazione: al posto delle canoniche stellette, delle candele (da una a cinque) per classificare gli arredi della chiesa, e dei messali (sempre da uno a cinque), per valutare la «qualità» della liturgia. Langone non fa mistero di alcuni suoi chiodi fissi che diventano criteri di giudizio: le sedie e le panche con o senza inginocchiatoio, le candele vere o finte. La possibilità di genuflettersi durante la consacrazione dice molto di come si concepisce la liturgia in una chiesa. Complice la maggiore praticità delle sedie – più facile aggiungerle, toglierle, spostarle – ma soprattutto una serpeggiante ideologia liturgica che avverte come fumo negli occhi ogni atto di vera adorazione, si preferisce, al fine della «partecipazione attiva» del fedele, che se ne rimanga sempre in piedi o seduto. L’inginocchiatoio è importante e veramente democratico: nessuno vi punterà la pistola alla tempia, obbligandovi alla genuflessione. Ma chi vorrà liberamente farla, pur non avendo più vent’anni, sarà agevolato. E non sarà costretto a rimanere in piedi.
Langone ha ragione nell’osservare che la Chiesa post-conciliare sembra, talvolta, non tollerare più la bellezza. Sembra averla bandita, in nome del «pauperisticamente corretto». Eppure si legge nel Vangelo che Gesù, per celebrare l’ultima cena con i dodici, scelse proprio una «sala grande e arredata». Lui, che aveva vissuto nel deserto, mangiato sotto le tende o all’aperto, frequentato le case dei farisei e dei pubblicani, al momento di istituire l’eucaristia, e solo in quel momento, predilige un luogo signorile e bello, certamente non povero.
Il senso del mistero e la bellezza sono elementi essenziali del culto. E le chiese, nella storia, hanno sempre offerto a tutti, ricchi e poveri, signori e popolani, una straordinaria ricchezza di affreschi, mosaici, quadri, statue. L’aveva ben capito Stalin, che dopo aver raso al suolo le più belle chiese di Mosca, costruì delle popolari cattedrali laiche, le artistiche stazioni della metropolitana, dove anche l’operaio costretto a vivere in un buco di pochi metri quadri negli orrendi e grigi palazzoni sovietici, poteva respirare un po’ di bellezza.
Langone divide le messe secondo varie categorie: quelle più belle, quelle da «eterni anni Settanta» e mediatiche, cioè vale a dire infestate da video al plasma che rischiano di trasformare i luoghi di culto in una succursale di uno studio televisivo; quelle «brutte ma buone», buone messe in brutte chiese, o «belle e cattive», vale a dire «cattive messe in belle chiese»; per arrivare alle messe dei movimenti, alle chiese «turistiche» e infine alle cattedrali. Il mosaico, da Nord a Sud della Penisola, è variegato. L’autore descrive liturgie di piccoli paesi e di grandi città: definisce ad esempio il duomo di Milano «chiesa-matrioska» difficilissima da valutare perché racchiude in sé l’involucro gotico e la discutibile intercapedine turistica, con annesso «Bookshop». C’è la «liturgia farinelliana», che trae il nome da don Farinella, il prete genovese che ha fatto scrivere alla Madonna una lettera in favore del voto a Veltroni e nelle sue «messe» ha abolito il segno della croce, ma ci sono anche tanti piccoli e grandi esempi di belle liturgie.
Ci sia consentito, infine, in cauda venenum (un po’ di latino è d’obbligo, in tempi di motu proprio): le oltre duecento recensioni delle messe migliori e peggiori d’Italia, «alla ricerca della messa come Dio comanda», fanno emergere chiaramente l’impostazione del loro autore, che non tollera la comunione nella mano – peraltro autorizzata dalla Cei – e soffre per le «schitarrate» durante la liturgia. Ecco, ferma restando la necessità del richiamo a curare meglio le celebrazioni, non bisogna cadere nel rischio dell’aut aut, dimenticando la legge segreta del cristianesimo, quella inclusiva e mai escludente dell’et et. La messa non va mai ridotta a pura estetica, né la liturgia a questione di pizzi, ori, merletti, candele e inginocchiatoi. Il gregoriano è stupendo, il latino è sublime, l’incenso affascina. Ma senza un po’ di cattolica ferialità, di canti popolari e di messe basse e claudicanti, di assemblee variegate e scomposte, l’atmosfera nelle nostre chiese finirebbe per essere soffocante. Anche se liturgicamente perfetta.