Martirio al Santuario. Angelo Minotti e l’Avanguardia cattolica

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Roberto Marchesini, Martirio al Santuario. Angelo Minotti e l’Avanguardia cattolica, D'Ettoris Editori, Crotone 2011, pagine 100, isbn  978-88-89341-19-3, €11.90

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Estratto fornito dall'autore.

A partire dalla fine della guerra, all’ostilità che la Chiesa subiva da parte dello Stato liberale si aggiunsero le violenze socialiste dapprima e fasciste poi.

Finita la Grande Guerra, era opinione diffusa tra i socialisti che la rivoluzione fosse imminente; questo clima psicologico, unito ai disordini sociali che sfociarono nel “biennio rosso”, portò ad un crescendo di violenza socialista nei confronti dei cattolici, che aveva assunto un tono particolarmente preoccupante nella diocesi di Milano: frequenti tentativi di invasione delle Chiese e di incendio dei circoli e sedi delle associazioni, assalti alle processioni, sacerdoti e giovani cattolici vilipesi, parodie blasfeme erano all’ordine del giorno. I cattolici vivevano in un clima di paura e, forse come mai in precedenza, il rischio era quello di una rinuncia alla testimonianza pubblica della fede.

Il cardinal Ferrari, che aveva promosso in tutte le parrocchie gli oratori maschili e femminili, dopo la chiusura dell’Opera dei congressi diede impulso ai circoli giovanili maschili, federati nel 1906 nell’Unione Giovani Cattolici Milanesi. E fu a questi giovani che il cardinal Ferrari si rivolse per porre un freno alle violenze: uno “sparuto gruppo di giovani, 6 o 7 in tutto, si ritrovavano ogni giovedì sera in Arcivescovado per conoscere dove era necessaria la loro presenza la domenica successiva”. Fu questo il primo nucleo dell’associazione denominata Avanguardia Cattolica, “la spada dietro l’armadio” dei cattolici milanesi, secondo una definizione del cardinale Montini.

I giovani avanguardisti venivano scelti tra quelli più attivi, con una intensa vita spirituale e dotati anche di una certa prestanza fisica; avevano come compito principale la difesa fisica delle celebrazioni religiose e delle istituzioni cattoliche, ma venivano curate anche la formazione culturale e la vita spirituale dei membri: “Sorti in un contesto di violenza, la loro azione fu giudicata necessaria per lo svolgimento delle manifestazioni religiose. Avrebbero potuto facilmente degenerare, ma sin dall’inizio si puntò ad una formazione particolare di questi gruppi: essi dovevano essere i più sensibilizzati a riguardo della necessità degli aspetti pubblici della fede. Il loro motto «O Cristo o morte!» doveva investire tutta la loro esistenza e corrispondere ad una vita esemplare e ad un modo radicale di vivere la propria fede, quale riferimento per tutti gli altri giovani. Negli avanguardisti si vide la figura del cristiano totalmente e prontamente disponibile alle esigenze del popolo di Dio e capace di nutrire con questo servizio e questo spirito eroico la propria spiritualità; un modo quindi tipico di aderire alla Gioventù cattolica, condividendo gli stessi ideali ma accentuandone la dimensione pubblica. In seguito ad essi si affidò l’organizzazione e lo svolgimento delle più importanti riunioni; praticamente, secondo il loro statuto, dovevano rappresentare all’interno della gioventù cattolica il gruppo trainante”.

Ecco la testimonianza di un vecchio avanguardista: “Eravamo […] quell’insieme di giovani […] che non nascondeva, praticandolo, il suo cattolicesimo, sempre assiduo alle pratiche di pietà, che voleva sempre essere nello stato di grazia, che sfilavano dignitosamente e compostamente fieri a testa ben dritta e fronte alta, senza torcicolli, nelle Processioni, di quelle processioni che finalmente poterono svolgersi indisturbate grazie all’Avanguardia. […] Quasi sempre è bastata la nostra presenza, il nostro fermo contegno a raffreddare o a far rinsavire gli animi dei provocatori. Quante volte si è dovuto usare più forza verso noi stessi per tenere le mani a posto, che non dar libero sfogo al sangue che ci bolliva nelle vene, al giusto risentimento che ci infiammava”.

Il loro motto, “O Cristo o morte”, era ricamato sui gagliardetti bianchi, bordati di nero, con una croce nel centro. Il cardinale Schuster dettò il “Decalogo dell’Avanguardia”:

  1. Scopo: la tutela dei diritti dei Cattolici Italiani coi mezzi autorizzati dalle Leggi.
  2. Membri: i più generosi, già spiritualmente formati entro le file dell’AC.
  3. Requisiti: senza macchia e senza paura.
  4. Aiuti: l’uso frequente del Pane dei forti.
  5. Armi: «Forti nella Fede», illuminati nella cultura religiosa, onorati nella vita.
  6. Posto: sempre avanti.
  7. Metodo: organizzazione compatta e che ben funziona agli ordini dei Capi.
  8. Spazio vitale: in Chiesa e fuori; nei Sindacati e nell’AC; nella vita politica e civile della Patria; nel Senato e nella piazza.
  9. Vantaggi: intervenire e farsi rispettare. “Gli assenti hanno sempre torto”.
  10. Premio: Dio, ed il proprio diritto.

 

L’Avanguardia Cattolica, negli anni, si diffuse anche fuori dal Milanese, arrivando a contare circa settanta gruppi con quasi 1.500 iscritti; gli avanguardisti furono presenti a Parabiago (gruppo “La sferza”, animato da don Marco Ceriani), ad Arluno, a Legnano (gruppo “Il carroccio”), a Vanzago, a Bollate (gruppo “San Michele”), a Origgio (gruppo Garcia Moreno”), a Rho (gruppo “A. Minotti”, coordinato da don Giulio Rusconi), a Gallarate (gruppo “Ariberto”), a Concorezzo, a Carugate, a Pregnana Milanese. In Piemonte, sotto l’egida del cardinale Fossati, nacquero le “Vedette Cattoliche”, gruppo ispirato all’Avanguardia Cattolica milanese.

Nel 1923, con Mussolini al governo, i fascisti scatenarono una serie di violenze che coinvolsero in maniera ancora più decisa rispetto al passato l’associazionismo cattolico; si apriva così, per l’Avanguardia, un nuovo fronte, oltre a quello socialista. Nel tentativo di porre un freno alle violenze, particolarmente frequenti nel Milanese, l’avvocato Colombo, presidente nazionale dell’Azione Cattolica incontrò il segretario provinciale del partito fascista milanese, Maggi; in seguito a questo incontro, il partito fascista accordò una sorta di incolumità alle associazioni cattoliche milanesi ponendo tuttavia come condizione la chiusura dell’Avanguardia Cattolica.

La rete dell’Avanguardia, tuttavia, non si spense e, dopo l’8 settembre 1943, sezioni di avanguardisti costituirono alcune tra le più importanti formazioni partigiane cattoliche (ad esempio le formazioni delle “Fiamme Verdi”, “Di Dio”, “Brigate del Popolo”); e sempre per merito degli avanguardisti fu costituito a Milano l’OSCAR (Organizzazione Soccorso Cattolico agli Antifascisti Ricercati), che salvò la vita di parecchi tra ricercati politici ed ebrei.

 

[…]

 

Santino Angelo Minotti nacque a Rho il primo novembre del 1890 da Carlo e Maria Fusè, sesto di dieci figli. La famiglia Minotti risiedette inizialmente a Lucernate, per poi spostarsi a Rho in via Pomè al numero 6. Il 16 maggio del 1900 Carlo Minotti morì, lasciando cinque figli piccoli da accudire alla moglie Maria.

Allo scoppiare del primo conflitto mondiale Angelo Minotti, di professione materassaio, fu assegnato alla 12.a compagnia del 77° reggimento di fanteria “Lupi di Toscana” (Brigata Toscana), con sede a Brescia; il suo reggimento fu assegnato alla 10.a divisione dell’VIII Corpo d’Armata. Nel corso del primo anno di guerra scrisse diverse cartoline alla mamma e a don Giulio Rusconi. Il 18 maggio 1916, nel corso della cosiddetta “Strafexpedition” (“spedizione punitiva”), un’imponente offensiva che l’esercito austriaco condusse tra il 15 maggio e il 27 giugno di quell’anno, Angelo Minotti fu catturato ed inviato come prigioniero nel campo di concentramento di Mathausen, in Austria. Ricevette il numero 30731. Tra il 1916 e il 1917 fu trasferito a Brod in Ungheria, attualmente in Croazia.

 

[…]

 

Anche dopo la chiusura delle ostilità, Angelo Minotti non potè tornare a Rho fino al 1919, dopo otto anni di servizio militare e trenta mesi di prigionia; appena tornato, riprese la sua attività nell’Unione Giovani Cattolici di Rho e come maestro di Catechismo presso l’oratorio San Luigi. E fu proprio svolgendo il suo apostolato catechistico che trovò la morte.

Era il 13 giugno del 1920 e, come ogni anno, la domenica dopo l’ottava del Corpus Domini, si festeggiava la festa del Sacro Cuore; alle due del pomeriggio, al suono delle campane, i rhodensi cominciarono ad affluire sul piazzale del santuario della Beata Vergine Addolorata. In quel momento giunse sul piazzale anche un gruppo di socialisti, arrivati a Rho con il tram da Milano per l’inaugurazione di alcune bandiere; dopo aver insultato i presenti sul piazzale, e averli offesi gridando bestemmie, spezzarono l’asta di un orifiamma con il simbolo del comune di Rho, e bruciarono lo stendardo. I presenti tentarono di reagire, ma furono presi a bastonate; intervenne anche un oblato, padre Rebuzzini, ma venne ferito gravemente con un colpo di bastone spezzato sul suo capo. Ad un certo punto sul piazzale echeggiarono alcuni colpi di rivoltella: uno colpì Natale Schieppati, ma l’orologio da tasca deviò il colpo e gli salvò la vita; un altro ferì mortalmente Angelo Minotti, che spirò dopo mezz’ora di agonia. Inaugurate la bandiere, i socialisti risalirono sul tram, non prima, però, di aver sparato altri colpi di rivoltella in aria.

Il fatto destò un’impressione enorme in città. Il giorno seguente fu sospeso il mercato e furono proclamati il lutto cittadino e l’astensione totale dal lavoro; alle diciotto dello stesso giorno fu celebrato il funerale, con una enorme partecipazione di popolo, la presenza di gran parte delle associazioni cittadine e dell’onorevole Cavazzoni, deputato del Partito Popolare.

Angelo Minotti fu sepolto in terra comune. Era povero”.

Incredibilmente, il giornale socialista “L'Avanti!” accusò i cattolici di aver aggredito con le armi la manifestazione socialista: “Ieri, a Rho, contro un corteo socialista si sono preparati i bastoni ed i sacchetti di sabbia per colpire, si sono innalzate delle bandiere politiche in chiesa, si è suonato a stormo le campane, si è sparato.

E perché nella mischia uno dei loro è caduto, si proclama oggi lo sciopero di protesta, gridando assassini agli avversari”.

La stessa accusa fu lanciata, in modo ancor più grottesco, dal giornale anarchico “L’Umanità Nuova”: “Certo è che a un certo punto dalla chiesa incominciarono a sparare sulla folla la quale reagì assaltando la chiesa ed i suoi difensori. Vi fu uno scambio nutrito di bastonate ed anche qualche colpo di rivoltella.

Rimase ucciso un «bianco» ed altri cinque sono feriti, di cui uno dicesi gravemente”.

Non ci fu alcuna inchiesta sull’omicidio. Nel 1940 don Giulio Rusconi scrisse che Minotti, chiaramente ucciso in odio al suo cattolicesimo, e quindi martire, non fu colpito premeditatamente; invece, nel 1950, il sacerdote specifica esplicitamente che il giovane fu scelto come bersaglio. Perché Minotti? Non era certo una “testa calda”; veniva piuttosto descritto come un “giovane buono, incapace di un’atto meno che misurato”; ed ancora: “Era giovane Cattolico ineccepibile, pio e laborioso; incapace di male, apostolo di bene”. Perché, dunque, colpire proprio lui? Forse perché l’uccisione del mite suscita più impressione? Sicuramente, Minotti era uno dei più attivi in oratorio: oltre ad essere membro dell’Unione Giovani Cattolici e maestro di Catechismo, era vice maestro del corpo musicale, e faceva parte della compagnia teatrale. E perché don Rusconi non denunciò, pur conoscendolo, l’assassino? Aveva forse saputo del suo gesto in confessione, ed era quindi legato dal vincolo sacramentale? Oppure sperava che si redimesse, e confessasse il delitto? Non lo sappiamo, ed ancora adesso il delitto Minotti resta un mistero insoluto.

Dopo la morte di Minotti, don Giulio Rusconi decise di dar vita ad un gruppo Rhodense dell’Avanguardia cattolica, intitolato al martire cittadino. E fu in onore di Angelo Minotti se il primo congresso dell’Avanguardia Cattolica milanese del secondo dopoguerra si tenne a Rho, domenica 23 giugno 1946, alla presenza di monsignor Bicchierai e con i saluti del papa Pio XII, di Degasperi e del cardinale Schuster.