L’uomo che ride. L’avventura umana e letteraria di G.K.Chesterton

  • Categoria dell'articolo:In libreria

Sharing is caring!

\"\"Edoardo Rialti, L’uomo che ride. L’avventura umana e letteraria di G.K.Chesterton, Cantagalli-Il Foglio, Siena 2011, € 15,00

Sconto su: http://www.theseuslibri.it

 

I fans dello scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton, meglio noto come GKC, possono finalmente e comodamente avere in un solo libro tutti gli articoli apparsi sul quotidiano Il Foglio e dedicati all’araldo del buon senso e della gioia, al "difensore della fede" come lo definì il Papa Pio XI. E quanti ancora non lo conoscono hanno ora a disposizione una coinvolgente introduzione al personaggio. L’autore è lo studioso Edoardo Rialti, docente di Letteratura, e talmente in simbiosi con l’ingombrante oggetto della sua opera che se non fosse per le virgolette si farebbe fatica a discernere dove finisce Rialti e inizia Chesterton (o viceversa). La simbiosi è evidente già scorrendo l’indice e leggendo i titoli dei vari saggi – un solo esempio per tutti: "La pinta e la croce", sufficiente a mandare in stato di estasi (o almeno di ebbrezza letteraria) ogni spirito chestertoniano.

Rialti ripercorre la vita ma soprattutto lo spirito di quest’uomo che ha combattuto con la penna per «difendere quanto di buono, bello, amabile ci sia già nella vita dell’uomo, di ogni uomo», al punto da poter dire di GKC che tutto quello che c’era di buono in lui cantò. Un combattente e un cantore, dunque, che deplorava la separazione tra l’amore e la guerra tipica del mondo moderno. Al contrario, afferma GKC, «non si può amare qualcosa senza voler combattere per essa. Non si può combattere senza qualcosa per cui farlo». Un combattente che lottava innanzitutto in difesa – e per amore – della realtà, inclusa la realtà materiale (mai dimenticando che Dio si è fatto carne) anche nei suoi aspetti più quotidiani e apparentemente irrilevanti – e che invece dovremmo tornare a guardare con stupore e gratitudine, risvegliandoci all’alba di quel «mattino eterno» che è l’infanzia, e osservare il mondo con gli occhi dei bambini, poiché, come diceva quell’enorme bambino che era GKC, «ciò che è meraviglioso della fanciullezza è che in essa tutto è meraviglia. Non è semplicemente un mondo di miracoli, ma un mondo miracoloso». Non stupisce dunque che tra i tanti oggetti tuttora conservati nella casa di Chesterton, ci fosse (almeno) uno scatolone «pieno di figurine ritagliate nel cartone, draghi, principi, folletti».

Eppure il nostro "uomo che ride" era passato da adolescente attraverso «un periodo di nichilismo radicale» e di disperazione– come racconta egli stesso nella sua Autobiografia – al punto che i suoi compagni si chiedevano se stesse impazzendo. «Tuttavia non ero pazzo – risponde GKC – semplicemente portavo avanti, fin dove voleva andare, lo scetticismo del mio tempo. E parallelamente scherzava col fuoco dell’esoterismo imbattendosi in qualche strana e menzognera presenza sulla quale – commenta Rialti – «oggi chissà quanti cattolici storcerebbero il naso […]; la scrittrice Flannery O’Connor si sarebbe limitata a ribattere loro che per fare la prova dell’esistenza di satana basta provare a resistere a una qualsiasi tentazione per cinque minuti. Il problema è che probabilmente non ci provano mai».

Ripensando a questo tormentato periodo Chesterton poteva dire di essere stato convertito al cattolicesimo proprio dal diavolo. In realtà questa affermazione tanto chestertoniana non era di GKC bensì di sua moglie Frances, una presenza tutt’altro che secondaria nella sua vita.«Molte persone, molti avvenimenti, letture e scoperte l’avrebbero portato a una sempre maggiore fede nel Dio della rivelazione cristiana, ma nessuna contò quanto Frances», alla quale dedicò il poema epico La ballata del cavallo bianco: «Per questo consegno questi miei versi a te, / che hai messo la Croce nelle mie mani». Così, durante una passeggiata sul ponte di Saint James «si inginocchiò davanti alla sua dama e le chiese di sposarlo. E lei disse di sì». E a quanti consideravano troppo avventata quella proposta di matrimonio, Chesterton rispondeva con una difesa dei voti avventati e «sosteneva che ogni grande voto – matrimoniale, sacerdotale, cavalleresco – è avventato e ciò ne costituisce la gloriosa bellezza», senza nessuna illusione idilliaca, ma semplicemente osservando che se «esistono matrimoni infelici, non esistono divorzi felici». «La vita domestica – prosegue Rialti – costituiva per lui la più affascinante delle avventure, una riscoperta continua, come raccontò nel romanzo Uomovivo, il cui protagonista ogni notte si intrufola come un ladro dagli ingressi più improbabili in quella che è sempre e solo casa sua, e seduce ogni giorno una dama che si rivela essere sempre sua moglie. Egli era ben consapevole anche delle difficoltà e dei costi del matrimonio, e come questi non facciano che rimarcarne la natura, il valore, e pure il gran divertimento». In effetti, nella vita matrimoniale si rifletteva quel clima a metà tra giallo e avventura che è una caratteristica di GKC e della sua vita in generale, ed anche per Francis doveva essere una bella sfida. «In una lettera giovanile il futuro consorte l’aveva candidamente ammesso: "Posso tenere assieme dieci poesie e dieci teorie diverse in testa, ma posso fare solo una cosa pratica alla volta". […] Di cose pratiche spesso non sapeva farne neanche una alla volta: l’amico padre O’Connor ricordava la signora Chesterton disfare i bagagli del marito di ritorno da qualche importante conferenza ed esclamare: "Cosa ne è stato del tuo abito da sera, Gilbert?", e lui rispondere serafico: "Devo averlo dimenticato lì, mia cara, ma ho riportato indietro le cravatte, no?». E in un’altra occasione dimenticò persino l’indirizzo della sua stessa redazione. Alla fine si fermò in un’edicola ad acquistare il proprio giornale per poter leggere l’indirizzo dimenticato.

Questo suo vivere sempre – ma solo apparentemente – con la testa tra le nuvole lo assimila ad uno dei suoi personaggi più cari a cui dedicò un bella biografia: san Tommaso d’Aquino, che dai suoi compagni veniva ribattezzato il "Bue Muto". Chesterton stesso spiega che quanti non comprendono questa apparente distrazione non comprendono neanche il ragionamento, perché «uno dei seri svantaggi del glorioso sport chiamato ragionamento è la sua smoderata lunghezza. Se si ragiona onestamente, come fece sempre san Tommaso, si scoprirà che a volte l’argomento sembra non aver mai fine». E anche la mole contribuiva a renderlo simile all’Aquinate.

Il nostro "Bue muto" inglese detestava i litigi perché, a suo dire, presentano lo svantaggio di interrompere le discussione. «Eppure qualcosa che lo faceva davvero incollerire c’era: si trattava delle dottrine abortiste ed eugeniste che godevano di grande attenzione nell’Inghilterra di inizio Novecento». E non era una questione di fede, poiché nell’eugenetica, nell’aborto e nell’eutanasia egli vedeva innanzitutto aberrazioni della ragione. Parallelamente contrastava l’ossessione per il salutismo, che è diventata una caratteristica dei nostri tempi insieme all’eugenetica ormai imperante, risolvendosi in quella «guerra contro i deboli» profetizzata da Chesterton. «Bastava azzardarsi a ripetere l’adagio che "ci sarebbe meno infelicità se non ci fossero figli indesiderati", per sentire Chesterton, che bambini non poté averne, tuonare "ma indesiderati da chi?"».

Con pari fervore combatteva contro l’altrettanto artificiale felicità economica creata dalla tendenza collettivista a ridurre l’Occidente a un «monotono deserto di standardizzazione», la quale non a caso va a braccetto con l’eugenetica che giunge a standardizzare persino l’uomo. «Invece la posizione economica di Chesterton si basa su una schietta fiducia nella fondamentale bontà dell’esperienza umana, contro ogni sua riduzione e quindi asservimento».

Negli ultimi anni il combattente della penna, il conferenziere che intratteneva centinaia di persone, si preparava a ritornare in patria, in quella terra dei viventi – in terra viventium – cui anelava cantando sempre più spesso l’inno eucaristico del "suo" Tommaso d’Aquino. E dove gli stavano preparando "uno spazio vasto", conforme alla sua stazza, come assicurava l’introito della Messa del 14 giugno 1936: "Il Signore divenne mio protettore e mi condusse in un luogo vasto". In quel giorno GKC si addormentava nel Signore. «Dopo che gli furono impartiti i sacramenti, l’amico padre MacNabb intonò il Salve Regina, poi si accostò alla sua scrivania e davanti a tutti baciò la penna di Chesterton, come la spada un guerriero o la reliquia di un santo».

E da qualche tempo ci si inizia a chiedere se, oltre alle sue virtù letterarie, Chesterton non avesse esercitato anche quelle virtù eroiche che la Chiesa riconosce nei candidati agli altari. Se così fosse GKC diventerebbe forse il patrono del buon senso e della ragione, ma anche di quell’allegria in cui egli vedeva il "segreto" di Cristo («Era qualcosa di troppo grande perché Dio lo mostrasse a noi quando Egli camminava sulla terra; e io qualche volta ho immaginato che fosse la Sua allegrezza») e che forse era anche il segreto di GKC, al quale possiamo applicare le parole scritte dal "chestertoniano" J.R.R.Tolkien a proposito di Gandalf: «Nel profondo della sua anima vi era una grande gioia: una fonte di allegria che, se fosse sgorgata, sarebbe bastata per suscitare risa nell’intero reame».

 

Stefano Chiappalone