Papa Benedetto XVI, Perché siamo ancora nella Chiesa

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\"\"JOSEPH RATZINGER – PAPA BENEDETTO XVI – PERCHE’ SIAMO ANCORA NELLA CHIESA – Rizzoli –Milano- 2008 – pp. 299 – €. 19,00

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Nel 1970, il cattolicesimo viveva anche in Germania il periodo turbinoso del post-concilio. Contestazione dei dogmi e critica dell’autorità e delle stesse strutture istituzionali della Chiesa producevano a ripetizione abbandoni del sacerdozio e, spesso, anche della religione cattolica. Per alcuni, la meta era il protestantesimo che offriva libero esame delle Scritture e mancanza di ogni gerarchia ecclesiastica; per altri, invece, si trattava di un puro e semplice abbandono della fede con la prospettiva magari dell’adesione al marxismo allora in voga.
In questo clima, la più prestigiosa istituzione ecclesiale del capoluogo bavarese, l’Accademia cattolica di Monaco, organizzò alcuni incontri sul tema: ‘Essere cristiani e la Chiesa’. Ad inaugurare la serie, il 4 giugno 1970, fu chiamato il prof. dr. Joseph Ratzinger, allora docente di Dogmatica all’Università di Ratisbona (in Germania, le Università statali annoverano ancora la facoltà di teologia; di regola, anzi, ve ne sono due, una cattolica e l’altra protestante). Il suo intervento che si intitolava ‘Perché sono ancora nella Chiesa’, si svolse alla presenza di oltre mille persone: segno di interesse per il tema –che, all’epoca, toccava molti- ma anche per il relatore. A distanza di anni, quando l’allora professore di teologia è divenuto prima arcivescovo di Monaco quindi Prefetto dell’ex-Sant’Uffizio ed infine, dal 2005, è il successore di Pietro, quell’ancora assume un sapore che incuriosisce non poco. Si comprende perfettamente perché la ristampa di 11 dei 17 interventi che Joseph Ratzinger ha tenuto nel corso degli anni presso l’Accademia di Monaco rechi proprio il titolo di quella conferenza.
Titolo a parte, gli scritti contenuti nella raccolta –che vanno dal 1967 al 2004- riflettono praticamente tutta la vita intellettuale dell’attuale pontefice a partire dagli anni dell’insegnamento fino all’ultimo periodo in cui egli ha retto il dicastero romano.
La loro natura è, ovviamente, la più varia: si va dall’intervento di tipo apologetico come quello che da il titolo al volume ad argomenti teologici di carattere più tradizionale come il destino ultraterreno, la struttura delle Chiesa, fino a temi politici come il concetto di Europa o i fondamenti dello stato liberale.
Da tutti gli scritti emerge il personalissimo stile di Joseph Ratzinger che, in genere, muove da richiami alla Scrittura ed ai Padri della Chiesa, dibatte con la teologia ed il pensiero contemporanei e termina con il gettare sugli argomenti trattati una vivida luce che li colloca al loro giusto posto all’interno delle vicende della storia umana ed ecclesiastica. Si tratta del resto di un metodo che ricorda con tutta evidenza i modelli culturali prediletti: Platone e Agostino.
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La natura eterogenea degli argomenti affrontati nella raccolta rende impossibile individuare un loro filo unitario.
Merita piuttosto segnalare alcuni degli spunti più interessanti che in essi si rinvengono. Così, ad esempio, nella relazione su ‘La salvezza dell’uomo – Intramondana e cristiana’ (pp.85-115) svolta il 26 settembre 1974, Ratzinger, in un momento in cui il marxismo esercitava un fascino oggi inimmaginabile sulle coscienze europee, dopo una serrata indagine sulla morte nella prospettiva cristiana, conclude nel senso che ‘non appartiene all’aspettativa cristiana la speranza in un definitivo progresso nella storia ed in una società definitivamente salva all’interno della storia’. A tale affermazione, egli fa seguire un interessante excursus storico sulla nascita della moderna idea di progresso che deriva appunto dalla laicizzazione dell’aspettativa religiosa medievale di una terza epoca storica, detta dello Spirito Santo. In essa -secondo la più famosa elaborazione di tali tesi, quella del monaco calabrese Gioacchino da Fiore: c.a 1130-1202- avrebbe realizzato già in questo mondo il Discorso delle beatitudini, una sorta cioè di Paradiso in terra. E’ proprio da questo mito religioso delle tre età che, secondo Ratzinger, nella moderna età secolarizzata, è nata anche la triade hegeliana tesi-antitesi-sintesi. Essa sarà poi ripresa da Karl Marx in chiave politica proiettando nel futuro l’aspettativa di una favolosa età dell’oro o, meglio, di autentico rinnovamento sociale: la società comunista. Puntualmente, Joseph Ratzinger ricordava invece come ‘l’aspettativa cristiana per questo mondo deve essere descritta, secondo la Bibbia e le professioni di fede fondamentali, in tutt’altro modo. per l’aspettativa cristiana questo mondo sarà sempre un mondo della tribolazione e delle difficoltà’ (p.100). Si trattava certamente di concetti assai noti nella teologia cattolica ma la cui riproposizione –e stroncatura- in quel turbolento contesto ecclesiale, comportava l’andare nettamente in controcorrente. E’ anche interessante rilevare come tale condanna sarebbe stata ripresa da Joseph Ratzinger dapprima nella veste di Prefetto dell’ex-Sant’Uffizio nelle due Istruzioni sulla c.d. Teologia della Liberazione con cui, negli anni ’80, egli avrebbe -teologicamente almeno- liquidato questo insidioso tentativo di provenienza latino-americano di conciliare cristianesimo e marxismo che tanta fortuna stava riscuotendo perfino a livello di episcopati. A distanza di anni, parole e frasi non dissimili le si ritrovano anche nella seconda enciclica di Benedetto XVI, Spe salvi, del 30.11.2005. E’ per questo che anche a distanza di oltre 30 anni, la lettura della relazione si rivela di fondamentale importanza per comprendere le radici culturali di questi fondamentali interventi del Magistero.
Non meno interessante è il saggio che da il titolo alla raccolta (pp.139-160). Joseph Ratzinger prende qui le mosse dall’oggettiva difficoltà che lo stare nella Chiesa poneva al cristiano in quel momento (1970): concorrevano a causarlo le pesanti mancanze degli uomini di Chiesa, l’enorme distanza tra quanto la Chiesa predica e come essa invece appare, lo smarrimento di molti di fronte ad un Chiesa che pare stia ‘tradendo la propria missione, che si stia svendendo alla moda e stia quindi perdendo la propria anima: sono delusi come un innamorato che deve vivere il tradimento di un grande amore e considerano seriamente di voltarle le spalle .. come si è potuti arrivare a questa singolare situazione nel momento in cui ci si aspettava invece una nuova Pentecoste? Come è stato possibile che proprio nel momento in cui il Concilio sembrava aver raccolto il frutto maturo del risveglio degli ultimi decenni, invece della ricchezza del compimento sia emerso un vuoto inquietante?’ (pp.140-142).
Per rispondere, Ratzinger va anzitutto al fondo della questione: ‘è la crisi della fede che è il vero nocciolo del problema .. diventa normale quello che finora era impensabile, cioè che delle persone che da tempo hanno abbandonato la fede della Chiesa si considerino ancora con buona coscienza i veri cristiani progressisti. Per loro però l’unico criterio in base al quale giudicare la Chiesa è l’efficienza con la quale essa funziona; ma rimane ancora da chiedersi che cosa sia efficace ed a quale scopo il tutto debba effettivamente essere usato. Per criticare la società, per aiutare lo sviluppo o per fomentare la rivoluzione? O per celebrare le feste locali? In ogni caso, bisogna ricominciare da capo poiché originariamente le Chiesa non era stata concepita per tutto questo e nella sua forma attuale effettivamente non è adatta queste funzioni. In questo modo, aumenta il disagio sia fra i credenti che tra i non credenti. Il diritto di cittadinanza che la miscredenza ha ottenuto nella Chiesa rende la situazione sempre più insopportabile per gli uni e per gli altri; soprattutto attraverso questi processi il programma di riforma (conciliare) è finito in una tragica ambiguità che per molti è irrisolvibile’ (p.146). Anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad espressioni difficilmente equivocabili che descrivono con rara franchezza la difficile situazione che la Barca di San Pietro viveva in quegli anni. Esse preludono alle più famose –e non meno impietose- diagnosi contenute nel libro-intervista Rapporto sulla fede scritto dal cardinal Ratzinger in collaborazione con il giornalista Vittorio Messori del 1985 e che, divenuto Benedetto XVI, avrebbe ripreso nel fondamentale discorso ai membri della Curia romana del 22 dicembre 2005. Parlando dello stato della Chiesa nel post-concilio, il Papa la paragona infatti alla ‘descrizione che il grande dottore della Chiesa, san Basilio, fa della situazione della Chiesa dopo il Concilio di Nicea: .. una battaglia navale nel buio della tempesta, dicendo fra l\’altro: “Il grido rauco di coloro che per la discordia si ergono l’uno contro l’altro, le chiacchiere incomprensibili, il rumore confuso dei clamori ininterrotti ha riempito ormai quasi tutta la Chiesa falsando, per eccesso o per difetto, la retta dottrina della fede …’.
I motivi di interesse della raccolta non si fermano qui. Nell’impossibilità di anche soltanto accennare ai molti che lo meriterebbero, occorre però ricordare almeno il tema delle radici culturali dell’Europa che Ratzinger fu chiamato ad illustrare in un convegno organizzato dall’Accademia nei giorni 28-29 aprile 1979, nell’imminenza delle prime elezioni del parlamento europeo. Nel suo intervento dal titolo ‘L’Europa: un’eredità vincolante per i cristiani’ (pp.163-184), l’allora arcivescovo di Monaco e già cardinale, mostra anzitutto una notevole capacità di comprendere le linee di tendenza della storia dal momento che colloca tra i nemici dell’Europa, insieme al marxismo, l’islam al quale, dieci anni prima del crollo del Muro di Berlino, pochi avrebbero anche solo pensato. Lo stesso autentico anti-conformismo egli mostra poi anche poco dopo quando, dopo questa parte iniziale, passa ad individuare le radici culturali del continente. Nel farlo, egli ricorda insieme a quella cristiana, l’eredità del pensiero greco e del diritto romano: e tutto questo è, oggi almeno, assai comune. Vi aggiunge però qualcosa di assai meno consueto che chiama l’eredità dell’epoca moderna. Joseph Ratzinger infatti, pur condividendo un giudizio di sostanziale ambivalenza a proposito di quella modernità che volle costruirsi autonoma dalle proprie radici, ritiene però che vi siano in essa acquisizioni significative tali da farne uno dei pilastri culturali dell’Europa. Questo a motivo di quella ‘separazione di fede e legge -da cui ha potuto trarre origine- in un dualismo fruttuoso di Stato e Chiesa, la libera società umana nella quale è assicurato il diritto alla libertà di coscienza e, con esso, i diritti fondamentali dell’uomo. In questa società, possono coesistere diverse forme di fede cristiana e possono trovare spazio diverse posizioni politiche che tuttavia dialogano con un canone di valori centrala la cui forza vincolante è la difesa della più ampia libertà’ (p.176): anche in questo caso, si tratta di concetti che con estrema facilità, si ritroveranno più volte ripresi nei documenti di carattere magisteriale elaborati da Joseph Ratzinger negli anni successivi.
Infine, su di un piano del tutto diverso e questa volta per comprendere più che il pensiero, l’uomo Joseph Ratzinger (certamente ben diverso dal pastore tedesco con cui il quotidiano Il Manifesto volle bollarlo quando divenne Papa), è opportuno riprodurre le parole con cui egli descrive la ‘bavaresità’ e, dunque, forse, un po’ anche se stesso. Esse si trovano in uno dei brani più d’occasione della raccolta. l’Elogio del Presidente dei Ministri della Baviera dr. H.C. Alfons Goppel per il conferimento del premio Romano Guardini 1978 (pp.227-237) da parte dell’Accademia. Parlando l’arcivescovo di Monaco e presidente della Conferenza episcopale bavarese, riprende -neanche troppo nascostamente facendola sua- la definizione fornitane in altra circostanza dallo stesso Goppel: ‘bavaresità .. significa proprio questo: gioire della terra, della patria, del mondo e della vita, una serenità che anche nel turbamento dei tempi bui, non cessa né di riconoscere che questo mondo è stato creato buono da Dio né di rallegrarsene. A questo si unisce un-+.a religiosità non patetica, che non oscura il mondo in modo ascetico ma lo rende chiaro e lo illumina a partire dalla fede. Bavaresità significa .. una mentalità insieme tedesca, europea e cosmopolita’ (p.232): e non è davvero difficile riconoscere in questi tratti il lato umano dell’attuale successore di Pietro.
Andrea Gasperini