VICTOR ZASLAVSKY – Lo stalinismo e la sinistra italiana – Dal mito dell’Urss alla fine del comunismo, 1945-1991 – 2004 – pp. 275 – Mondadori 2004, pagg. 275 – €.17,50
Victor Zaslavsky è nato, ha studiato ed è vissuto in Urss e si occupa dei rapporti fra la sinistra italiana e il regime sovietico; oggi vive in Italia e insegna sociologia politica all’Università Luiss a Roma. Il libro, costruito su una profonda ricerca storica negli archivi sovietici, non tratta solo degli aspetti politici ed economici del tema (ad esempio, i finanziamenti dell’Urss alla sinistra italiana), ma anche del forte influsso culturale che lo stalinismo ha avuto e ancora ha in Italia. Zaslavsky lamenta “il cedimento (di fronte allo stalinismo) di gran parte della classe intellettuale del paese” e afferma che la storiografia italiana, “mentre ha compiuto il proprio dovere con il fascismo, è però finora venuta meno all’impegno di fare i conti con lo stalinismo”, a causa della “forte impronta lasciata dallo stalinismo sulla cultura politica in generale e in particolare su quella della sinistra italiana”. Tre “le caratteristiche di questa eredità: la debolezza del riformismo e la mancanza di un progetto riformistico realistico e realizzabile; la comunicazione e la competizione politica basate sulla delegittimazione dell’avversario; l’antiamericanismo come base di costruzione dell’identità politica” (pagg. 245-246).
“Storicamente l’Italia aveva conosciuto l’antifascismo come la forma principale, se non unica, di resistenza al totalitarismo… Nell’Italia del dopoguerra dichiararsi antifascista era la condizione necessaria e sufficiente per essere considerati democratici”: per mezzo secolo c’è stata in Italia “un’enorme produzione storiografica cristallizzata, nelle parole di Renzo De Felice, in una ‘vulgata antifascista”, che per un lungo periodo è stata inquinata dallo stalinismo in veste di rivoluzionarismo, anticapitalismo, antiamericanismo, terzomondismo, appoggiata da una serie di istituti di ricerca storica, presente nei manuali universitari e scolastici e trasmessa dagli insegnanti di storia. Paradossalmente, più tempo passava dalla distruzione del fascismo storico, più acceso ed enfatizzato diventava l’antifascismo retorico” (pag. 244).
Il terzomondismo come “eredità dello stalinismo”? Pare proprio di sì, perché nemmeno dopo il crollo del comunismo nel 1989 (16 anni fa!) si sta verificando quel movimento di studi storiografici che per mezzo secolo è stato alla base della cultura politica della sinistra italiana: cioè “antifascista uguale democratico”, punto e basta! Bisognerebbe anche documentare perchè: “anticomunista uguale democratico”; ma questa svolta culturale ancora non si vede. Zaslavsky dimostra con molte citazioni questo ritardo nella storiografia e nella cultura italiana di sinistra (quanti elettori italiani si riconoscono ancora nel “comunismo”!). La debolezza del sistema italiano sta, secondo Zaslavsky, proprio in questo ritardo e rimozione degli errori politici e culturali che la sinistra italiana, soprattutto il PCI ma non solo, ha commesso dal dopoguerra ad oggi.
Mi chiedo: il mondo cattolico è rimasto immune da questo influsso culturale sconfitto dalla storia? Credo proprio di no. Viviamo anche noi in Italia ed è nota la debolezza dell’azione culturale della Democrazia cristiana e della Chiesa stessa. Per cui, se si cercano le radici del “terzomondismo” di associazioni, gruppi, riviste, centri culturali cattolici, bisognerebbe fare un’indagine su quanto la cultura diffusa dal PCI è stata accettata negli ambienti ecclesiali di sinistra e li ha portati ad esaltare come “liberatori” i regimi totalitari di tipo stalinista: Cuba, Vietnam, Cambogia dei Khmer rossi, Cina di Mao, le “guerriglie di liberazione” africane e i dittatori “socialisti” (Menghistu, Samora Machel, Dos Santos, Sekù Turé, Amilcar Cabral, Mugabe, ecc.). Oggi non se ne parla più, ma si può rimuovere un così lungo periodo di sbandamento senza una verifica delle radici culturali che avevano portato a questi disastrosi abbagli? In Italia, il primo libro sul genocidio dei Khmer rossi è stato il mio “Rivoluzione senza amore” (Torino 1976), rifiutato da tre editrici cattoliche e poi pubblicato dalla SEI dopo inutili insistenze di censurare alcuni capitoli. Nell’atmosfera di quel tempo non si poteva dire che i Khmer rossi erano nuovi e peggiori oppressori!
Si dice a volte che i DS non hanno ancora fatto i conti col loro passato stalinista. I terzomondisti del mondo cattolico (gruppi missionari, associazioni di volontariato internazionale, riviste missionarie, editrici, centri culturali, ecc.) quando faranno i conti con gli abbagli che hanno preso nell’ultimo mezzo secolo?
Padre Piero Gheddo
Tratto da: Mondo e Missione – rivista del PIME gennaio 2005