MASSIMO VIGLIONE, «…Rizzate el gonfalone della santissima croce». L’idea di Crociata in santa Caterina da Siena, Consiglio Nazionale delle Ricerche-Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea, Cagliari-Genova-Torino 2007, 144 pp., € 15,00.
È ancora fresco di stampa il volume che Massimo Viglione dedica all’idea di crociata in Santa Caterina da Siena. Viglione è ricercatore del Cnr, docente di storia all’Università Europea di Roma, amico del nostro Istituto (identitanazionale.it), nonché pioniere della ricerca sull’Insorgenza e valido storico del Risorgimento italiano.
Nel volume Viglione pubblica le risultanze di una ricerca condotta fra il 2005 e il 2006 nell’ambito di una commessa dell’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea di Cagliari del Cnr, uno dei più prestigiosi organismi di storia del periodo medievale in ordine ai problemi e ai Paesi dell’area mediterranea.
Gli studi sulle crociate «storiche», come pure quelli sulle crociate in senso ideale e culturale, hanno conosciuto negli ultimi anni una fioritura, nuovi autori si sono segnalati e nuove tesi interpretative sono emerse e sono attualmente a confronto nel dibattito corrente. L’idea di crociata, cioè di spedizione, di pellegrinaggio o di azione genericamente di propagazione o, più tardi, di difesa attiva della fede, di missione evangelizzatrice oltre i confini consueti della cristianità è quasi una costante del pensiero cristiano: se la crociata «storica» caratterizza un arco cronologico che va, all’incirca, dall’XI al XIV secolo, il suo concetto attraversa e marca tutta la storia del cristianesimo, prolungandosi anche dopo la fine dell’età della cristianità — come si esprimerebbe il compianto amico Marco Tangheroni che, del tutto condivisibilmente, preferiva questo termine a quello, troppo carico di ideologia, di «medio evo» —, spingendosi quindi assai addentro all’età moderna. Nella visione della vita e nella concezione della spiritualità dei santi cristiani la crociata è sempre ben presente, vuoi trasfigurata nei termini della «grande guerra santa», in interiore hominis, contro il demonio e la carne, vuoi come invito alla missione di riconquista del mondo al regno di Cristo, senza escludere in determinati personaggi e contesti la riconquista militante e «militare». Esemplare sotto questo aspetto è la meditazione sulla chiamata del «re temporale» e del «Re eterno» che si trova all’interno degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola.
Secondo Viglione nella mistica senese si rinviene nitido questo tema, a costo di cozzare contro rigidi stereotipi culturali contrari: una santa… e poi addirittura una mistica! Eppure l’attenzione di Caterina per la sfera temporale — assolutamente inscindibile, anche se distinta, da quella soprannaturale nell’ottica medievale — non può non estendersi ai pericoli che nei suoi anni vede correre la cristianità, primo fra i quali l’espansione dell’impero ottomano verso l’Europa delle cattedrali. L’originalità della santa sta tuttavia nel fatto che secondo lei la missione militare non doveva essere fine a sé stessa, ma rappresentare, in un certo senso, l’involucro, il tegumento di un’operazione di missione evangelizzatrice del «lontano», dell’islamico, anch’egli considerato figlio di Dio. È questo un aspetto della spiritualità di Caterina Benincasa, nonostante la mole degli studi su di lei, assai poco noto. Viglione attinge soprattutto al vasto patrimonio informativo costituito dall’epistolario della santa, proponendo una selezione di passi in cui è presente chiaramente il tema della crociata. Non si tratta solo di lettere personali ma anche, come noto, di appelli, sollecitazioni, richieste, che la santa indirizza ai potenti della sua epoca — re e regine, papi e cardinali, vescovi e prelati, nobili e generali — per ottenere che agiscano nel senso da lei voluto, al servizio della Provvidenza divina per il bene dei popoli e per la conservazione della pace.
Non sono solo i "VIP" i suoi interlocutori: le sue lettere sono scambiate anche con gente comune, consorelle, figli spirituali, membri del clero, religiosi, capifamiglia. Se esorta chi regna «per l’amore di Cristo crocifisso», a far uso del suo potere per il bene della Chiesa, un analogo richiamo va anche a chi è suddito, nella consapevolezza che i potenti nulla possono senza la sincera adesione dei minores. Fra queste azioni, accanto ai luoghi tipici della predicazione epistolare della Benincasa: il ritorno del Papa a Roma, la riforma della Chiesa, la lotta contro l’eresia medievale, la pace interna e internazionale della cristianità, trova una collocazione di primo piano appunto l’appello all’indizione di spedizioni armate sotto il segno, il gonfalone, della Santa Croce. E si avanza l’idea, geniale quanto ardita, di convertire in sforzo contro gl’infedeli islamici il dispendio di vite, di energie e di risorse che richiedeva l’ininterrotto svolgersi di guerre intestine alla cristianità e alle singole nazioni che la componevano, fra le quali, non ultima, la cara Italia sede del Vicario di Cristo.
Nella chiamata si intrecciano costantemente due elementi: la conversione del cuore del «missionario» crociato e la conquista e conversione del «missionato».
Già, proprio questo secondo aspetto, la conversione, distingue l’idea di apostolato crociato della santa da altre prospettive analoghe. Per lei la conquista delle terre degl’infedeli e della Terra Santa, in particolare, non si esaurisce con l’abbattimento dei poteri anti-cristiani, con la liberazione delle chiese oppresse, con la erezione di nuove diocesi cattoliche oltremare, con l’occupazione del territorio, con l’erezione di principati cristiani: la conquista con la forza deve essere la porta attraverso cui attuare la conquista religiosa con le modalità lecite, cioè la persuasione e la fascinazione.
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Il volume consta di tre ampi capitoli. Nel primo — L’azione di Caterina da Siena per la Crociata (pp. 27-82) — si dà conto delle lettere contenenti riferimenti più o meno ampi all’idea crociata. Fra il 1372 e il 1380, quando Caterina muore — in quella che sarà l’età di Papa Gregorio XI (1330; 1370-1378), che sarà il principale interlocutore di Caterina in veste di Pontefice ma anche di sovrano temporale perennemente in guerra in Italia —, i suoi scritti e i suoi interventi di altro genere — che pure non mancheranno — per mantenere viva l’idea crociata, per propiziarne l’indizione, per sollecitarne la necessità sono ininterrotti. Viglione individua tre fasi diverse di questo lavorìo spirituale e dottrinale: quella del 1372-1376, che precede la missione cateriniana ad Avignone, l’estate avignonese del 1376 e il periodo post-avignonese, coincidente con il ritorno del Papa a Roma, la sua morte e l’elezione di Urbano VI (1318; 1378-1389).
Ma da dove veniva a Caterina questa idea che domina così fortemente la sua spiritualità e la sua azione pubblica? Viglione affronta il tema nel secondo — La crociata come programma politico della Cristianità (pp. 83-92) — e nel terzo capitolo — La Crociata come strumento di salvezza universale (pp. 93-116) —, dove il giovane studioso romano cerca rispettivamente di ricostruire lo «spirito del tempo», i tratti caratteristici della visione del mondo medievale, e la collocazione del tema nella complessa visione del mondo della mistica senese.
Una prima radice è nell’idea stessa di cristianità, ossia di un regime politico tendenzialmente universale, espandibile attraverso la missione pacifica, ma anche capace di difendersi con le armi da ogni minaccia a questa dilatazione del cristianesimo nel mondo o ad aggressioni volte a indebolirne o comprometterne la stessa esistenza. Così l’accesso ai luoghi santi è visto come necessità assoluta per poter svolgere una pratica cristiana importante, cara anche agli islamici, quella del pellegrinaggio, mezzo, anche se non condizione, per la salvezza personale. E per questo i luoghi santi sono inscindibile proprietà della cristianità ed è intollerabile che siano in dominio degl’infedeli. L’idea di crociata non è propria solo di alcuni ambienti ma permea la società cristianizzata come un aspetto inscindibile della declinazione medievale della fede cristiana.
Un altro aspetto di legittimazione morale di un’impresa armata come la crociata si può far risalire alla nozione di Chiesa del tempo e alla particolare acutezza che il tema ha nei mistici: la Chiesa è sentita come il reale corpo di Cristo e ogni vicenda che la tocca percepita come un bene o un ulteriore dolore per colui che spesso è eletto a sposo, con cui si vive un legame strettissimo. Chiesa che soffre, dunque, per Caterina equivale a Cristo stesso che soffre, e non è solo un modo di dire, ma a una realtà che la compenetra totalmente.
Così trovano spiegazione la frequenza del tema, le forme espressive con cui la santa la descrive, la durezza stessa — proporzionale alla percezione dell’essenzialità della crociata — dei toni che impiega con gli infedeli, il legame strutturale che ella pone fra crociata, missione evangelizzatrice, conversione dell’infedele e sua inclusione nel regno di Dio, contribuendo così alla propagazione della fede e all’attuazione del piano divino verso i popoli della Terra.
Viglione riporta un brano chiarificatore del grande letterato medievalista Claudio Leonardi, in cui si afferma che "Caterina […] pensa sempre alla crociata come ad una guerra, ma vi pensa senza nessuna volontà bellica di acquisizione territoriale o politica: il suo problema, siccome la Chiesa ha da essere universale, è che in essa siano inclusi tutti gli uomini. […] La crociata di Caterina dunque è già l’annuncio di quello che sarà poi lo spirito delle missioni moderne nel loro migliore significato. Per questo la sua crociata s’identifica talvolta con la stessa opera di rinnovamento della Chiesa" (p. 91).
In specifico per Caterina la crociata è una missione armata che può produrre molti benefici ai cristiani: la penitenza e forse il martirio per i crociati, la salvezza per gl’infedeli, una forma eminente di vivere l’ideale cavalleresco e la militia Christi, l’arresto dell’avanzata islamica e quindi la pace dei popoli chiamati a levare il gonfalone di Cristo.
Naturalmente tutti questi spunti di cui do solo un rapido cenno nel volume sono trattati in maniera adeguatamente problematizzata e contestualizzata e con l’ausilio di una bibliografia assai ricca e criticamente vagliata.
Il lettore sarà aiutato a meglio seguire l’argomentazione di Viglione potendo avvalersi di una breve selezione — sette — delle missive più importanti in relazione al tema che figura in Appendice — (pp. 117-139) — al volume, testi che rendono meno lontano e più familiare lo stile, la verve, la terminologia della grande protettrice del nostro Paese.
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In generale, si può dire che il lavoro che l’amico — e collega all’Università Europea di Roma — Massimo Viglione ha svolto nell’ambito della sua collaborazione organica con uno dei più prestigiosi istituti pubblici di ricerca sull’Europa mediterranea e sul Medioevo, pare quanto mai puntuale e opportuno non solo sul piano scientifico — dove vanta una «carenatura» di tutto rispetto —, ma anche nel frangente culturale in cui viviamo, dove la confusione regna e non sono infrequenti i tentativi di annacquare non tanto la fede quanto i suoi presupposti filosofici e le sue ricadute sull’ortoprassi ecclesiale e sulla vita civile. Oggi, quando il termine crociata è contemporaneamente urtante per molte orecchie cristiane e perennemente a sproposito sulla bocca dei nemici dichiarati della visione cristiana della vita, una rimessa a fuoco e una puntualizzazione, anche se attraverso la finestra visuale, del pensiero di una mistica — ma di una delle più grandi —, pare del tutto preziosa.
Dal mio angolo d’interesse specifico non posso non intravedere possibili sviluppi dell’argomento in direzione della questione dell’identità culturale degl’italiani. Ovviamente è difficile formulare in questa sede e a questo stadio ipotesi compiute, ma dalla lettura del collega ho tratto il sentore che la spiritualità di Caterina e della scuola «cateriniana» possa aver lasciato dei residui nel profilo identitario-religioso del nostro popolo — come altre linee di ricerca stanno peraltro mostrando — anche sotto questo profilo specifico della crociata intesa prima di tutto come missione, come esportazione di una cultura fondata sulla fede e sul diritto di natura. È troppo ardito pensare che il modo con cui gl’italiani — di fatto, al di là delle politiche dello Stato, e in senso lato — si sono confrontati con popoli lontani, dall’inizio del Novecento alla fine dell’epoca coloniale, nonostante tutte le accuse che si possano loro rivolgere in prospettiva anti-colonialistica, possa averne conservato almeno un barlume?
Oscar Sanguinetti
www.identitanazionale.it