I soliti cattoregressisti contro Benedetto XVI
Antonio Socci
(C) Libero, 8 luglio 2007
È un grande Pontefice, Papa Benedetto, e avrà un\’importanza storica per la Chiesa. E da oggi, col ritorno alla libertà di celebrare anche la Messa in latino, certi "progressisti" scateneranno una guerra feroce contro di lui. Magari inventandosi falsamente il ripristino della controversa preghiera sugli ebrei, che invece non c\’è affatto.
Sono tanti i segni del coraggio di quest\’uomo, che è mite e gentile, ma anche deciso a «non anteporre nulla a Dio» e a «non fuggire davanti ai lupi». Di recente la lettera ai cattolici cinesi (per riunire le due chiese e reclamare libertà dal regime) e l\’altro ieri il simbolico riconoscimento del "martirio" degli ottocento abitanti di Otranto che furono decapitati nel 1480 dai musulmani invasori perché non vollero rinnegare Gesù Cristo.
Ma soprattutto ha un grande peso questo Motu proprio con cui il Papa restituisce alla Chiesa, accanto alla messa in italiano, la sua bimillenaria liturgia latina che con un colpo di mano era stata spazzata via nel 1969 contravvenendo alle regole della Chiesa stessa. La liturgia per la Chiesa racchiude tutto il suo tesoro, cioè «l\’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede». E dunque il Messale latino non poteva essere messo fuorilegge (infatti giuridicamente è sempre stata valido). Nel delirio post-conciliare l\’intolleranza progressista riuscì a far credere che fosse stato messo al bando. Fu quello il tempo di una spaventosa apostasia di fedeli e un\’apocalittica crisi del clero: dal 1965 circa 100 mila sacerdoti abbandonarono l\’abito e 107.600 monache e suore lasciarono le loro congregazioni fra 1966 e 1988.
Una tragedia senza eguali nella storia della Chiesa. Segno, per una mente cristiana, che Dio non aveva benedetto certi "rinnovamenti" che si dicevano "conciliari", ma anzi ne era disgustato (Benedetto XVI infatti denuncia «deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile»).
Da cardinale, Ratzinger definì il colpo di mano contro la liturgia tradizionale come «una rottura» dalle conseguenze «tragiche».
Un grande laico come Giuseppe Prezzolini, nel 1969 – l\’anno della riforma liturgica – scrisse un editoriale intitolato: "La liquidazione della Chiesa". Pur essendo agnostico, constatava amaramente la febbre rivoluzionaria che aveva fatto irruzione nella Chiesa riducendola a una caricatura delle «sette protestanti» e della «civiltà moderna».
Fu soprattutto la grande cultura laica a denunciare l\’immensa perdita rappresentata dalla cancellazione dell\’antica liturgia cattolica che aveva letteralmente dato forma alla cultura europea.
Due appelli pubbici, nel 1966 e nel 1971, uscirono in difesa della Messa di s. Pio V, come grande patrimonio spirituale e culturale. E furono firmati dalle più grandi personalità della cultura come Borges, De Chirico, Elena Croce, W. H. Auden, Bresson, Dreyer, Del Noce, Julien Green, Maritain, Montale, Cristina Campo, Mauriac, Quasimodo, Evelyn Waugh, Maria Zambrano, Elémire Zolla, Gabriel Marcel, Salvador De Madariaga, Contini, Devoto, Macchia, Pallottino, Paratore, Bassani, Luzi, Piovene, Andrés Segovia, Harold Acton, Agatha Christie, Graham Greene e il pure direttore del Times, William Rees-Mogg.
Fu inutile.
Ormai la sbornia progressista (o meglio: "la dittatura del relativismo") dilagava nella Chiesa e pretendeva di fare a pezzi la sua tradizione.
Anni dopo fu boicottato perfino Giovanni Paolo II quando varò uno speciale indulto, addirittura con due documenti, nel 1984 e nel 1988, affermando che la Messa di san Pio V non era mai stata abolita e la si poteva celebrare col permesso del vescovo. Il Papa aveva esortato «i Vescovi ad usare largamente e generosamente tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedessero», ma parte dei vescovi fece il contrario e di fatto annullò l\’importante atto pontificio.
Certi vescovi hanno dato locali per pregare ai musulmani, ma li hanno negati per le messe tradizionali.
Dunque oggi, alla luce di questi abusi d\’autorità, Benedetto XVI vara un Motu proprio dove i diritti del popolo cristiano sono protetti da Pietro stesso e non rimessi all\’arbitrio dell\’episcopato.
Alberto Melloni, due giorni fa, sul Corriere della Sera, ha dato sfogo alla rabbia della fazione progressista, arrivando addirittura a definire il Motu proprio come «uno sberleffo villano al Vaticano II».
È buffo.
Uno "storico del Concilio" come Melloni ignora che durante il Concilio si celebrava proprio la liturgia a cui oggi il Papa ridà cittadinanza. E ignora che mai il Concilio Vaticano II ha messo fuorilegge questa liturgia: semmai fu l\’atto dispotico del 1969 che andava contro il Concilio.
Un altro buffo paradosso: questo gruppo di storici "progressisti" che hanno fatto di Giovanni XXIII il loro simbolo, oggi si oppongono proprio al Motu proprio che riconosce la validità del "Messale Romano di Giovanni XXIII" (infatti è l\’edizione del 1962 che il Papa restituisce alla Chiesa). E sembrano ignorare il discorso di Papa Roncalli del 22 febbraio 1962, alla firma della "Veterum Sapientia", dove fra l\’altro, esaltando la liturgia in latino, spiegò che essa aveva un legame profondo con "la Cattedra di Pietro".
Il Papa aggiunse che la lingua latina «fu strumento di diffusione del Vangelo, portata sulle vie consolari quasi a simbolo della più alta Unità del Corpo Mistico. (…) E anche quando le nuove lingue delle singole individualità nazionali europee si fecero strada fino a sostituire l\’unica lingua di Roma, questa è rimasta nell\’uso della Chiesa Romana, nelle saporose espressioni della liturgia, nei documenti solenni della Sede Apostolica, strumento di comunicazione col centro augusto della cristianità».
Infine riaffermò la sua validità non solo per «motivi storici ed affettivi» ma anche perché «nel presente momento storico» è segno di unità fra i popoli e serve «all\’opera di pacificazione e di unificazione». Anche per «i nuovi popoli che si affacciano fiduciosi alla vita internazionale. Essa infatti non è legata agli interessi di alcuna nazione, è fonte di chiarezza e sicurezza dottrinale, è accessibile a quanti abbiano compiuti studi medi superiori; e soprattutto è veicolo di reciproca comprensione».
Cinque anni dopo la liturgia latina fu in pratica messa al bando.
Melloni accusa oggi Benedetto XVI di aver «spezzato» una continuità ed aver esautorato i vescovi.
Ma è vero l\’esatto contrario: proprio il Novus ordo fu imposto nonostante la bocciatura della maggioranza dei vescovi. E fu la "proibizione" del Messale latino a "spezzare" la continuità millenaria della liturgia.
Oggi questi strani progressisti si oppongono alla libertà che invece il Papa difende (dà la possibilità di celebrare in «due usi dell\’unico rito romano»). E si oppongono ai diritti del popolo cristiano (difesi dal Papa). Essi rivendicano l\’arbitrio di potere del ceto clericale. E poi parlano di democrazia nella Chiesa!
Infine sono oscurantisti perché disprezzano un patrimonio che tutta la migliore cultura esalta. Benedetto XVI ha affidato le nuove norme alla «potente intercessione di Maria». E le ha pubblicate nel novantesimo anniversario delle apparizioni di Fatima, in uno dei primi sabati del mese (giorno della Madonna di Fatima), un 7 luglio, lo stesso giorno in cui Pio XII, nel 1952, promulgò la "Sacro vergente anno", dove finalmente consacrò la Russia al Cuore Immacolato di Maria come richiesto da lei a Fatima.
Infine Benedetto XVI vara il suo Motu proprio dal 14 settembre, festa dell\’Esaltazione della S. Croce, a ricordare la natura "sacrificale" della Messa che proprio nella riforma del 1969 era stata messa in ombra per avvicinarsi ai protestanti. Col rischio di perdere l\’essenziale.
Questo atto non è una concessione ai "lefebvriani", ma il ritrovamento di un tesoro da parte di tutta la Chiesa.