IL GUERRIERO SCONFITTO DALLA STORIA
Marcello Veneziani
Libero 3 aprile 2005
Tutti vi parlano e più vi parleranno del Grande Papa e della Grande Impronta che ha lasciato sul mondo e sulla storia del nostro tempo. Tutti vi raccontano e vi racconteranno le sue grandi imprese, i suoi viaggi trionfali nel mondo, le folle osannanti e plaudenti, il suo pontificato lunghissimo e larghissimo, nel tempo e nello spazio. Io vi parlerò invece delle sue sconfitte, e delle sue imprese fallite, della sua maestosa solitudine, del suo pontificato difficile e sofferto.
Questo Papa ha fronteggiato la crisi più radicale che possa abbattersi su un Santo Padre: la scristianizzazione del mondo, a cominciare dall’Occidente. Ha navigato in un mondo e in un tempo in cui Dio si è ritirato, e la cristianità è stata presa a morsi e rimorsi, dal cinismo imperante, dal nichilismo e dall’ateismo pratico, e dal fanatismo islamico. A tutti i Papi era accaduto di fronteggiare nemici pagani e musulmani, eretici e satanici, miscredenti e carogne, a volte anche interne alla Chiesa. Ma non era mai accaduto di dover fronteggiare oltre i suddetti, anche uno spiegamento così profondo, così esteso, d’indifferenza, irrisione e ironia verso la fede cristiana. A Giovanni Paolo II questo è accaduto. La sua lotta da Papa contro l’Allegra Disperazione dell’Occidente è durata 27 anni ed è stata coronata da un magnifico insuccesso. E’ stato il Papa dell’Europa che si unisce e tramonta.
L’insuccesso più vistoso e più superficiale ha riguardato la pace. I suoi appelli, per definizione dei media “accorati”, non sono mai stati accolti, le guerre hanno continuato con i loro massacri, in ogni parte del mondo, a causa di amici e nemici della cristianità, oltre i semplici conoscenti. I suoi appelli rivolti agli europei di ricordare nell’atto costitutivo le radici cristiane dell’Europa sono caduti vergognosamente nel vuoto. Duemila anni di storia europea, di civiltà, di mentalità e di usi, cultura e costume, sono stati ritenuti irrilevanti. L’Europa è nata così da un parricidio.
Il suo costante appello in difesa della famiglia, contro l’aborto e la disgregazione, per la natalità d’Occidente, in difesa delle famiglie con padre, madre e figli contro le unioni omosessuali, per la dignità della donna contro la mercificazione del sesso e la liberazione sessuale, sono caduti tutti in un increscioso e sterminato oblio, appena interrotto da sorrisini di compatimento, ironie più o meno feroci, con aria di sufficienza. La difesa dei valori religiosi, del senso della vita e della morte, del dolore e della fede, della tradizione cattolica e dell’ispirazione cristiana, si sono inabissate nell’indaffarata indifferenza dei contemporanei, nel deserto che cresce, nell’edonismo più ottuso e diffuso. E’ duro il mestiere di Papa in queste condizioni.
Le sue encicliche sulla solidarietà, i suoi appelli alla generosità verso i poveri, all’economia sociale e al senso comunitario si sono scontrati con un sordido egoismo e individualismo mercantile, la volontà di potenza, il desiderio sfrenato di profitto e di possesso. E poi il dialogo interreligioso che il Papa ha avviato con cocciuta ostinazione e santa pazienza, è stato tragicamente spezzato dai fanatici dell’Islam, da orde di integralisti e fondamentalisti, anche occidentali. Quanti appelli del Papa a fermare la violenza, a non uccidere, a non decapitare, a non ammazzare, a non praticare la pena di morte, la tortura e la persecuzione, sono risuonati nel vuoto dei mass media come vane litanie, esercizi di pura e astratta precettistica?
No, signori, il Papa che salutiamo per l’ultima volta non esce trionfante dal mondo, come voi lo descrivete. Esce sconfitto, umiliato, disatteso; amatissimo e popolarissimo, certamente, ma non per questo ascoltato. Un fragoroso silenzio ha accompagnato la sua missione pastorale. Tanto è clamoroso il chiasso intorno alla sua figura quanto è sconfortante il mutismo intorno ai suoi principi. Mai un Papa ha parlato così tanto e a così tanta gente e mai è stato così inascoltato. Il pensiero debole del relativismo etico dispone di poteri forti; il pensiero forte di Papa Woytila ha avuto invece dalla sua poteri fragili e sommessi.
Dovremmo allora concludere che il suo papato si conclude con un maestoso fallimento? No, il contrario. Sappiamo quanto ha contato il Papa nella storia del secolo, anzi del millennio, quanto ha pesato nella caduta del comunismo, nella nascita dell’Europa, nell’incontro dei popoli, nel vigore del messaggio cristiano, nel passaggio di millennio. Sappiamo che la sua impronta storica e mediatica è stata potente, ma la sua impronta pastorale e religiosa è stata impotente. Giovanni Paolo II è stato un Vinto, come Gesù Cristo. E tutto questo non induce ad un bilancio amaro e fallimentare. Per il Vicario di Cristo in terra, la sconfitta di Dio sul campo della storia è una vittoria nei cuori e in eterno, per chi crede. Il Papa ha perso, ma la sua non è una sconfitta infruttuosa: darà frutti. In terra e in Cielo. Ci sono sconfitte che grandeggiano assai più di oscene e pacchiane vittorie. Ci sono perdenti che vincono in cielo quel che perdono in terra, non solo per clemenza divina, ma perché hanno accumulato tesori nella banca dei cieli. Perché la verità non è di questo mondo, per quanto sia giusto cercarla ad ogni costo anche qui, in questa fettina di terra e di tempo. Il Papa ha perso, come i martiri e i santi, i veri eroi e i profeti inascoltati. E intanto il mondo ha perso il padre.