La modica quantità di religione
di Massimo Introvigne (il Giornale, 21 dicembre 2003)
La Rivoluzione pensò per un momento di potere cancellare la religione con il Terrore. La resistenza cattolica – nella sua forma anche militare, in Vandea e altrove – indusse Napoleone a più miti consigli, e al Concordato. Ma, nel momento in cui riapriva le chiese, Napoleone pensava di sorvegliarle, secondo la formula: dietro ogni vescovo un prefetto, dietro ogni parroco un capo della gendarmeria. Ho fatto in tempo a conoscere, tanti anni fa e da bambino, una vecchissima zia che, giovane suora in un ordine francese, era stata esiliata dalle leggi contro le congregazioni religiose di inizio Novecento. Mi raccontava la storia – se non vera, come si dice, bene inventata – di un capo della polizia che a un presidente del consiglio preoccupato per l’afflusso di treni di pellegrini a Lourdes rispose, volendo fare sfoggio di latino: “Non si preoccupi, eccellenza, omne trinum est perfectum, in ogni treno viaggia un prefetto”.
La coppia prefetto-vescovo, però, vale soltanto se una religione è organizzata su base territoriale e gerarchica come la Chiesa cattolica. Napoleone impose la stessa struttura ai protestanti, e inventò perfino un altro unicum francese, il Concistoro, una vera “Chiesa ebraica” organizzata (e sorvegliata) secondo il modello cattolico.
Ma da qualche anno il modello della laïcité è in crisi, perché sono arrivate religioni che non sono organizzate su base territoriale, non hanno “vescovi” né “parroci”. Sono le cosiddette “sette” (una parola che, in Francia, copre tutte le piccole forme religiose che non si riconoscono nel modello della laïcité) e i musulmani. Dichiarando pubblicamente di “non volersi prendere per Napoleone”, Chirac ha tentato di fare per i musulmani precisamente quello che Bonaparte fece per gli ebrei: inventare una “Chiesa islamica” chiamata Consiglio Francese del Culto Musulmano, nel quale però (ci dicono i sondaggi) la maggior parte dei musulmani francesi, membri di una religione ostinatamente orizzontale e senza gerarchie, non si riconosce. La laïcité, infine, è in crisi perché poggiava su valori comuni (la patria, la famiglia, l’esercito) che oggi sono assai meno condivisi. Se non fosse in crisi, del resto, non si nominerebbero commissioni per rilanciarla.
Le crisi, si sa, generano fondamentalismi. La crisi della laïcité ha generato un “fondamentalismo laicista” che prima se l’è presa con le “sette” (legge del 30 maggio 2001), preparando gli strumenti per mettere fuorilegge decine di piccoli gruppi, ora con i musulmani. La legge sul velo manda un segnale: o accettate la religione della laïcité o non siete veri francesi. Che molti daranno la seconda risposta, e saranno regalati dallo Stato al fondamentalismo, forse non è entrato totalmente nel conto delle previsioni. La laïcité tollera la religione? Sì, se si tratta di modica quantità (altrimenti si è “settari”), per uso personale (se la si mostra sulla scena pubblica si è “fondamentalisti”) e anche “non terapeutico” (si veda la severità dei documenti sulle “sette” contro le “religioni di guarigione”, accusate di lesa medicina). La Francia libertaria e antiproibizionista, quando si tratta di religione, ci propone il più severo proibizionismo.