(Libero) Gheddo: All’Islam occorre testimoniare la nostra fede

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di Renato Farina
(C) “Libero”, 1 aprile 2003

Intervista a padre Gheddo

Che ne dice di questa guerra, padre Gheddo, lei che è
il missionario più caro al Papa?

«Sento la sua angoscia e con lui chiedo alla Madonna la pace.
Con lui riconosco che la medicina ai mali del mondo non è anzitutto l’esportazione della democrazia da parte occidentale, ma la riscoperta nei nostri Paesi di Gesù Cristo senza cui la libertà si intristisce ed è fragilissima.
Ma, ecco, almeno in America c’è e grazie a lei anche da noi. Per fortuna lì c’è». Che cosa prevede?

«Se l’America riesce a sistemare alcuni di questi Stati canaglia
del Medio Oriente, senza distruggerli per carità, ma con una
buona bastonatura dei regimi, allora il mondo respirerà, anche
il dialogo con le religioni ci guadagnerà».

Ma il Papa?

«Il Santo Padre è riuscito in un’impresa eccezionale. Non è
riuscito a impedire la guerra, ma ha ottenuto di non
trasformarla in un conflitto di religioni. Ci sono dei segni
precisi: in Egitto sta salvando i tre milioni di cristiani
copti, altrimenti oltre che cittadini di serie B oggi
sarebbero ex cittadini».

Lei è arrabbiato con l’America?

«Bush esagera con il suo messianismo religioso. Io credo però
che la possibilità futura di libertà, e persino di predicare
il cristianesimo dipenda da una vittoria americana, dalla
capacità dell’Occidente di mostrare che la libertà gli è
cara ed è disposto per difenderla a fare la voce grossa e a
rischiare la vita dei suoi figli».

Padre Piero Gheddo, 74 anni, vercellese, è un profeta.
Intendiamoci: non di quelli con la barba ispida e la voce
ispirata. E’ un profeta perché vede lontano e indovina pure,
usando molta osservazione della realtà e quella dose minima
di orazione che caratterizza i santi: cioè tanta, tantissima
preghiera. Digiuna (lo so: mangia poco più di una mela), ma
si profuma la testa per non farsi lodare come capita ai
farisei dall’aria smunta. E’ uno che dà la vita per i bambini
del Terzo Mondo, che conosce come le sue tasche, avendo
visitato più di 170 Paesi, e non per un giorno o due a testa,
ma standoci a lungo nelle linde catapecchie dei missionari
(i suoi sono quelli del Pime). Per questo il suo giudizio su
questa guerra in Iraq ci preme molto.

E – sorpresa – è insieme totalmente con il Papa condividendo
la sua amarezza per la guerra, ma dice un sonoro sì all’America.
Che Gheddo se ne intenda, anche in senso scientifico, è provato
dal suo giudizio sul conflitto indocinese espresso sin dagli
anni ’60. E’ stato in Vietnam prima e durante la guerra, e
spiegò che sarebbe finita malissimo per gli americani.
Non perché lottavano contro i vietcong ma perché sostenevano un
regime squalificato e immorale invece che la “terza forza
religiosa” (buddista e cattolica, ora perseguitatissima e difesa
solo da Marco Pannella).
E profetizzò che peggio ancora che agli Usa sarebbe andata per
i locali, sottoposti al tallone vietcong.
Lo linciarono o quasi in Italia, ma aveva ragione lui, dice
la storia.

Cosa dicono ora i suoi missionari?

«Non mi piace fare discorsi in generale. Racconto quanto mi è
stato raccontato e ho visto negli ultimi due Paesi dove sono stato
fino a un mese fa: Bangladesh e Indonesia».

Cominciamo dal Bangladesh.

«Quanto sta accadendo è incredibile. Questo Paese musulmano non
ha mai avuto ostilità verso l’Occidente. Si può dire che sia
mantenuto dall’Occidente, le sue scuole sono finanziate dall’Unicef.
Dopo l’11 settembre ci sono state manifestazioni di giubilo per la
strage delle Torri gemelle e affermazioni di odio contro i cristiani.
I missionari, le suore mi hanno detto che sono stati difesi dalla
gente, e che non hanno avuto da temere.
Ma il contesto è incredibile.
Arrivano predicatori finanziati da sei-sette Paesi islamici del Medio
Oriente.
Alcuni loro proseliti sono andati in Afghanistan, e sono morti nella
guerra contro Al Qaeda.
Sono stati onorati come degli eroi e dei martiri.
Impossibile ora predicare Cristo.
Si può solo dare un aiuto materiale, dir messa fin quando la
lasciano dire».

In Indonesia però sarà diverso: c’è una democrazia…

«Giusto. C’è una costituzione che garantisce la pacifica
convivenza delle cinque religioni.
Però oggi è un disastro.
Stanno proliferando i pesantroem, ed è un guaio».

Traduca, per favore.

«Sono i convitti, i collegi islamici. Accompagnano i bambini e ora
anche le bambine dall’asilo fino all’università.
Sono scuole di fondamentalismo islamico.
Lì si creano i quadri musulmani, coloro che chiameranno alla
preghiera, che organizzeranno la raccolta delle elemosine e i
pellegrinaggi alla Mecca.
Sono tutti di una scuola che non è precisamente moderata.
Il governo laico ha ceduto.
E queste scuole-convitti non sono sottoposte al ministro
dell’educazione, che vigilerebbe sui programmi (lo fa con le scuole
cattoliche), ma a quello del culto, che è islamico e le sostiene.
I quadri islamici che gestiscono e guidano i viaggi alla Mecca in
realtà tengono in mano le chiavi dell’Islam: ogni anno sono
duecento milioni di musulmani che alla fine si lasciano indottrinare
e versano denari a questa macchina che poi li trasferisce dove uno
può immaginare».

Come si difendono i missionari?

«Fanno quel che possono. Ci sono casi di persecuzioni e di
violenze terribili.
Io però trattengo nel mio cuore la lezione di una etnia di
Sumatra, la perla dell’arcipelago Indonesiano».

I famosi cristiani Nias…

«Qualcuno sa che esistono? Meno male. Ma dovrebbero imparare
tutti.
Sono una popolazione cristiana, prima protestante poi convertitasi
al cattolicesimo.
Quando l’Islam ha cominciato a farsi aggressivo, i loro capi hanno
convocato con solennità quelli delle tribù vicine ormai in
preda ai fermenti islamici.
Sarà stato otto-dieci anni fa.
E hanno detto loro: “Vogliamo vivere in pace, come in passato,
anche voi pregate il Dio di Abramo. Sappiate che se ci bruciate una
cappella, noi vi incendieremo dieci moschee”».

Il celebrato dialogo tra le religioni…

«Non scherzare. Il dialogo avviene, teologicamente, a livello di
intellettuali.
A livello di popolo comunica di più la tua affezione, al prezzo
della vita, per la fede, e per i suoi simboli, per i tuoi fratelli
e per gli indifesi.
Non dico che dappertutto si deve far così e rendere pan per
focaccia.
Ma dobbiamo ricordarci che l’Islam è indietro rispetto al
cristianesimo di seicento anni.
E’ nato nel 622 dopo Cristo.
Loro sono come noi nel 1400, senza l’idea di una riforma, della
libertà individuale, una mazzata all’infedele e via».

Insomma occorre pazientare seicento anni…

«Pazientare e aspettare altre Torri Gemelle? No, grazie.
Occorre la testimonianza dei martiri, e ce ne sono stati tanti, come
documenta il libro di Antonio Socci, I nuovi perseguitati.
Occorre una presenza di cristiani capace di trasmettere qualcosa di
più dei valori effimeri del consumismo.
Ma occorre anche mostrare che sappiamo difendere con la forza ciò
che ci è caro. E’ una deterrenza sacrosanta».

La guerra in Iraq allora è giusta?

«Mi fido del Papa e delle sue ragioni. Aggiungo che nel 1986
Gheddafi era un sostenitore del terrorismo e lo organizzava pure.
Qualche missile di Reagan lo ha indotto a cambiare idea.
Certo l’Iraq non è la Libia, ed è cambiato il mondo, per cui
non si deve presumere di sistemare le cose con una guerra magica.
Ma capisco che non si possa più tollerare di vivere con questi
Stati canaglia che fomentano e finanziano l’odio».

Ricordo che nel in quell’anno domandai un giudizio sul bombardamento
di Tripoli al grande teologo Hans Urs von Balthasar, poi fatto
cardinale da papa Wojtyla. E mi disse:
“Senza polizia, senza i soldati romani a garantire un po’ di ordine,
Gesù non avrebbe potuto predicare le beatitudini”.

«Disse questo? Sono d’accordo. Naturalmente questo non significa
approvare ogni mossa tesa a questo ordine…».

Cosa rimprovera all’Occidente?

«Di aver dimenticato se stesso e la sua origine cristiana.
Se non torna ad essere cristiano, perde.
Ricordo di aver predicato gli esercizi spirituali sette anni fa nel
sud della Tanzania.
Mi raccontarono i missionari che nel giro di pochissimo tempo da zero
i musulmani divennero il 5 per cento.
I mercanti arabi comperavano terreni e case, ne facevano moschee,
facevano affari con chi si convertiva.
Gli occidentali vedono i missionari come folclore umanitario.
E in Italia si è ridotta la missione, anche tra i cattolici, a
uno spunto di giustizia sociale.
No! Annunciare Gesù Cristo!».

Ci sono notizie di conversioni dall’Islam in America: capita nelle
comunità di Comunione e Liberazione…

«Lo so. Il cristianesimo ha un grande fascino per ciascun uomo che
possa incontrarlo».

E la guerra rende questo incontro difficilissimo…

«Giusto. Ma oggi in quei Paesi, persino in Turchia, nessuno può
farsi cristiano salvo perdere la vita.
Sulla Stampa del 31 marzo c’è al riguardo un bellissimo articolo
di padre Leonardo Zega.
Nel contesto della tanto vituperata civiltà e libertà
americana, invece questo incontro è possibile in pace».