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Jan Dobraczyński (1910-1994) è stato un uomo politico e scrittore polacco, autore di romanzi “kattolici” tra i quali ricordiamo “La spada santa” dedicato a san Paolo, “Incontri con la Madonna Nera” di Częstochowa, intorno alla quale orbitano numerosi personaggi della storia polacca, “il fuoco arde nel mio cuore. Il romanzo di Teresa d’Avila” (tutti editi da Gribaudi, rispettivamente nel 2002, 2003 e 2004). Questo breve romanzo è dedicato alla figura della Vergine Maria – che egli chiama col nome ebraico Miriam – e ci permette di contemplare i fatti evangelici attraverso lo sguardo della Madre di Dio. L’autore attinge alle testimonianze dei Vangeli e degli Atti, integrandoli con la fantasia – per quanto ci sembri più naturale, alla scuola di sant’Ignazio di Loyola, pensare alla “composizione di luogo”, il cui fine non è l’immaginazione di cose inesistenti quanto farsi presenti alla vicenda per poterla “gustare e sentire interiormente.”
Sulla soglia della casa di Miriam si affaccia un ragazzino, Giovanni detto anche Marco – l’evangelista – inviato dal Maestro a Sua Madre per dirLe di raggiungerLo a Cana, alle nozze di un amico. In casa la curiosità di Marco è attratta da una croce piccolissima, a suo tempo fabbricata da Gesù con gli avanzi del legno di Giuseppe. «Non ne conosco il motivo. – risponde Miriam – Anch’io Gli dissi che le croci vere sono grandi, ma Lui mi rispose che le croci crescono allo stesso modo degli uomini…» (p. 8).
Naturalmente coloro che seguono Cristo devono fronteggiare numerosi ostacoli, come Simone lo zelota, che si trova il passo sbarrato da due uomini, uno dei quali lo accusa di tradimento. Simone però non si lascia intimidire: «Conosco le sue debolezze. Si chiama Barabba» (p. 21). Non può mancare, poi l’avversario per eccellenza, il diavolo, impossessatosi di un uomo – già visto in sogno da Miriam – che corre selvaggiamente col viso insanguinato, tenendo in mano delle pietre. L’unico a non lasciarsi intimorire è Gesù, davanti al quale gli spiriti fuggono atterriti ed entrano in una mandria di porci che si gettano in un dirupo.
Nella sinagoga di Nazareth, come sappiamo, Gesù riceve una pessima accoglienza, rischiando di essere linciato – nemo propheta in patria… Nella fantasia dell’autore però Gesù viene salvato dalla folla inferocita, grazie all’intervento di uno dei due che, precedentemente, avevano ostacolato lo zelota – e in cui, già allora, Miriam aveva riconosciuto un volto familiare: «Ho saldato soltanto un vecchio debito. […] Quando ero un ragazzino, [Giuseppe] mi ha salvato dalle mani dei briganti. Mia madre e mio padre mi dicevano sempre che avrei dovuto ripagare questo debito. Mi chiamo Dysmas» (p. 36).
Pietro tuttavia deve ancora imparare che la regalità di Gesù – che lo rimprovera seccamente – deve passare necessariamente per la croce; e di lì a poco, mentre cammina sulle acque incontro al Maestro, viene colto dal dubbio, rischiando di affogare: «Perché hai dubitato? Tante volte ti ho ammonito» (p. 44), gli dice Gesù.
A questo punto l’autore dedica due capitoli “paralleli” a Giuda, figlio di Cleofa – meglio noto come san Giuda Taddeo – e Giuda, figlio di Simone, detto Iscariota. Il primo è pieno di fiducia in Miriam, cui chiede di intercedere per «un grande miracolo» (p. 61) a favore di un cieco; il secondo è pieno di orgoglio e non perde occasione per criticare il sublime “spreco” della “peccatrice” Maddalena che cosparge con un olio prezioso i piedi del Maestro. L’Iscariota, cui la demagogia è più familiare della liturgia, subito accusa: «Invece di versare un olio profumato simile, era meglio venderlo, e distribuire i soldi ai poveri» (p. 69), ma Gesù risponde che i poveri «sempre li avrete intorno a voi, me non mi avrete sempre. Lei ha fatto una cosa grande, ha unto il mio corpo per la sepoltura» (ibidem) e aggiunge: «Oggi non è più una peccatrice. È stata capace di bruciare i suoi peccati, come un ciuffo d’erba secca, col fuoco del rimorso e dell’amore. Che anche tu possa fare lo stesso…» (ibidem).
Nella notte Miriam sogna una moltitudine di gente che sale «verso una chiarità di immenso splendore» (p. 77). «Proprio alla testa camminava una donna. Miriam non la conosceva, eppure si rese subito conto che qualcosa La univa a quella donna» (ibidem). È la schiera di coloro ai quali Cristo ha aperto la via del cielo, guidati da Eva. Tra di essi riconosce molte persone care, tra cui lo sposo Giuseppe. Successivamente la scena cambia: città distrutte, uomini e donne grondanti lacrime e sangue, bambini malati e piangenti. Miriam si desta all’improvviso, spaventata, ma nella stanza è comparso Gesù a spiegarle che quanto ha visto in sogno è l’ultima ora del mondo, la più terribile: «Satana farà ancora una volta un tentativo. Quella sarà la Tua ora, Madre. Tu dovrai far sì che quelle ore crudeli passino in fretta. Dovrai trovarti degli aiutanti. Io sarò sempre al Tuo fianco e per questo vincerai» (p. 81). Impossibile non pensare a quel “ciclo di terrore e di morte” di cui ha parlato Benedetto XVI a Fatima e all’intensificarsi delle apparizioni mariane a partire dal XIX secolo, agli “apostoli degli ultimi tempi” presagiti da san Luigi Maria Grignion de Montfort e alla consolante promessa della stessa Vergine: “Infine, il Mio Cuore immacolato trionferà!”.
Seguono gli eventi dell’Ascensione e della Pentecoste, che comunica una nuova vita alla timorosa comunità dei discepoli guidati da Pietro: «In quel pescatore grande e grosso di nuovo era avvenuto un cambiamento. Negli ultimi tempi appariva come un poco apatico e depresso, ma adesso aveva recuperato l’antica voce profonda» (p. 92) dando inizio alla predicazione del Vangelo.