La porta dei cieli

  • Categoria dell'articolo:In libreria

Sharing is caring!

\"\"Jan Dobraczyński, La porta dei cieli. Il romanzo della Madre di Dio, Gribaudi, Milano 2005,  , ISBN 9788871528311 , pagine 104, € 7,50

Jan Dobraczyński (1910-1994) è stato un uomo politico e scrittore polacco, autore di romanzi “kattolici” tra i quali ricordiamo “La spada santa” dedicato a san Paolo, “Incontri con la Madonna Nera” di Częstochowa, intorno alla quale orbitano numerosi personaggi della storia polacca, “il fuoco arde nel mio cuore. Il romanzo di Teresa d’Avila” (tutti editi da Gribaudi, rispettivamente nel 2002, 2003 e 2004). Questo breve romanzo è dedicato alla figura della Vergine Maria – che egli chiama col nome ebraico Miriam – e ci permette di contemplare i fatti evangelici attraverso lo sguardo della Madre di Dio. L’autore attinge alle testimonianze dei Vangeli e degli Atti, integrandoli con la fantasia – per quanto ci sembri più naturale, alla scuola di sant’Ignazio di Loyola, pensare alla “composizione di luogo”, il cui fine non è l’immaginazione di cose inesistenti quanto farsi presenti alla vicenda per poterla “gustare e sentire interiormente.”


Sulla soglia della casa di Miriam si affaccia un ragazzino, Giovanni detto anche Marco – l’evangelista – inviato dal Maestro a Sua Madre per dirLe di raggiungerLo a Cana, alle nozze di un amico. In casa la curiosità di Marco è attratta da una croce piccolissima, a suo tempo fabbricata da Gesù con gli avanzi del legno di Giuseppe. «Non ne conosco il motivo. – risponde Miriam – Anch’io Gli dissi che le croci vere sono grandi, ma Lui mi rispose che le croci crescono allo stesso modo degli uomini…» (p. 8).

Giunti a Cana incontrano Gesù con i discepoli. «Miriam strinse al petto la testa del Figlio, ed Egli le baciò con rispetto le mani» (p. 9). Il banchetto si svolge all’aperto, a causa del gran numero di presenti che contribuisce a d esaurire il vino troppo presto. Miriam vorrebbe aiutare i novelli sposi in difficoltà con gli ospiti e confida nel Figlio, addirittura anticipandone l’inizio dei miracoli: «per il fatto che Tu hai tanto voluto questo, la mia ora è giunta» (p. 11).
Le voci corrono, raccontando della straordinaria trasformazione dell’acqua in vino, attirando nuovi discepoli, mentre altri, al contrario, Lo rifiutano spinti da un certo “pauperismo” ante litteram: «Gesù, che si era sempre preso cura dei poveri e aveva dimostrato il Suo amore per loro, aveva compiuto un gesto superficiale, fornendo vino ai convitati, in quanto si sarebbe potuto compiere un miracolo più serio, ad esempio trasformando il vassoio di fichi in un vassoio di denari. Per questo non Lo avrebbero seguito» (p. 12). Stesso pauperismo di cui, più avanti, darà prova Giuda Iscariota, che intanto già si distingue nell’allontanare la Maddalena: «Quelle come te non possono seguire il Maestro. La gente se ne scandalizzerebbe! Vattene via di qua!» (p. 14). Il Maestro tuttavia non è venuto per i sani, ma per i malati, come Matteo il pubblicano che lascia tutto e decide di seguirLo. Gesù dà prova di poteri fuori dal comune, liberando un indemoniato e guarendo la suocera di Simone. Miriam, nella preghiera, ringrazia il Padre per il bene che si diffonde per mezzo del Figlio, e Questi Le dice: «il bene che si compie è anche opera Tua» (p. 17).

Naturalmente coloro che seguono Cristo devono fronteggiare numerosi ostacoli, come Simone lo zelota, che si trova il passo sbarrato da due uomini, uno dei quali lo accusa di tradimento. Simone però non si lascia intimidire: «Conosco le sue debolezze. Si chiama Barabba» (p. 21). Non può mancare, poi l’avversario per eccellenza, il diavolo, impossessatosi di un uomo – già visto in sogno da Miriam – che corre selvaggiamente col viso insanguinato,  tenendo in mano delle pietre. L’unico a non lasciarsi intimorire è Gesù, davanti al quale gli spiriti fuggono atterriti ed entrano in una mandria di porci che si gettano in un dirupo.

Tornati a Nazareth, Giovanni, il discepolo prediletto dal Signore, chiede a Maria di intercedere per una ragazza malata: «Miriam, Tu sei tanto buona. Esaudisci sempre quello che Ti chiediamo. Qualche volta penso che Tu sia simile a una porta spalancata, che conduce al cuore del Maestro» (p. 29). Il miracolo avviene proprio quando la ragazza è ormai data per morta. Il medico, che non è riuscito a salvarla, resta impressionato da Gesù e vorrebbe seguirLo, ma ancora non è giunto il suo momento…

Nella sinagoga di Nazareth, come sappiamo, Gesù riceve una pessima accoglienza, rischiando di essere linciato – nemo propheta in patria… Nella fantasia dell’autore però Gesù viene salvato dalla folla inferocita, grazie all’intervento di uno dei due che, precedentemente, avevano ostacolato lo zelota – e in cui, già allora, Miriam aveva riconosciuto un volto familiare: «Ho saldato soltanto un vecchio debito. […] Quando ero un ragazzino, [Giuseppe] mi ha salvato dalle mani dei briganti. Mia madre e mio padre mi dicevano sempre che avrei dovuto ripagare questo debito. Mi chiamo Dysmas» (p. 36).

Dal proliferare di miracoli tra la gente scaturisce un proliferare di opinioni differenti su Gesù, che ne chiede conto agli apostoli. Tante opinioni, e tutte sbagliate o incomplete in quanto umane, mentre a Simone la risposta giusta – «Tu sei il Messia, il Figlio dell’Altissimo» (p. 40) – viene suggerita dallo Spirito: «Beato te, Simone, figlio di Giona. […] Non sono stati né la tua intelligenza né il tuo cuore a suggerirti che è così, ma lo Spirito dell’Altissimo te lo ha suggerito» (ibidem). Simone riceve un nome nuovo, Pietro (roccia), e come sappiamo, sarebbe diventato la roccia su cui è fondata la Chiesa. L’episodio è caratterizzato da una particolare solennità: «A mano a mano che [Gesù] parlava, i discepoli si alzavano in piedi e ascoltavano le Sue parole con la testa umilmente abbassata. Poi anche loro si rivolsero verso colui che Gesù aveva chiamato Pietro e gli resero ugualmente omaggio» (ibidem).

Pietro tuttavia deve ancora imparare che la regalità di Gesù – che lo rimprovera seccamente – deve passare necessariamente per la croce; e di lì a poco, mentre cammina sulle acque incontro al Maestro, viene colto dal dubbio, rischiando di affogare: «Perché hai dubitato? Tante volte ti ho ammonito» (p. 44), gli dice Gesù.

Successivamente, nelle loro peregrinazioni si imbattono in dieci lebbrosi che implorano: «Risanaci, Figlio di Davide!» (p. 48). Nonostante vengano risanati tutti e dieci, soltanto uno torna a ringraziare, per giunta un samaritano – in quanto tale considerato “impuro” dagli israeliti, e la cui compagnia provoca qualche malumore anche tra i discepoli, che ancora ignorano che la redenzione si estenderà oltre i confini di Israele: «Il tempio dei samaritani – rispondeva con dolcezza Gesù – non è un Santuario dell’Altissimo, che si è scelto come dimora il monte Moria. È lì infatti che ha condotto il vostro avo Abramo, lì ha stretto con lui l’alleanza, lì lo ha messo alla prova con il massimo dei cimenti con cui si può mettere alla prova un uomo: con la fiducia nel Suo amore. […] Ma anche questo Tempio servirà l’Eterno soltanto per un tempo limitato. È ormai giunta l’ora in cui coloro che vogliono servire l’Eterno, Lo venereranno “in spirito e verità”» (p. 53).
Giunti a Gerusalemme il gruppo si divide temporaneamente e mentre Gesù si dirige a Betania, da Lazzaro, con Maria si ritrovano Nicodeo, Giuseppe d’Arimatea e Luca, il medico greco che abbiamo incontrato in precedenza. I tre uomini discutono del problema del male e della sofferenza, senza venirne a capo, per cui Luca interpella Miriam: «Mi rivolgo a Te, Madre del Maestro. Tu infatti conosci bene Tuo figlio, più volte hai ascoltato i Suoi insegnamenti» (p. 56).

A questo punto l’autore dedica due capitoli “paralleli” a Giuda, figlio di Cleofa – meglio noto come san Giuda Taddeo – e Giuda, figlio di Simone, detto Iscariota. Il primo è pieno di fiducia in Miriam, cui chiede di intercedere per «un grande miracolo» (p. 61) a favore di un cieco; il secondo è pieno di orgoglio e non perde occasione per criticare il sublime “spreco” della “peccatrice” Maddalena che cosparge con un olio prezioso i piedi del Maestro. L’Iscariota, cui la demagogia è più familiare della liturgia, subito accusa: «Invece di versare un olio profumato simile, era meglio venderlo, e distribuire i soldi ai poveri» (p. 69), ma Gesù risponde che i poveri «sempre li avrete intorno a voi, me non mi avrete sempre. Lei ha fatto una cosa grande, ha unto il mio corpo per la sepoltura» (ibidem) e aggiunge: «Oggi non è più una peccatrice. È stata capace di bruciare i suoi peccati, come un ciuffo d’erba secca, col fuoco del rimorso e dell’amore. Che anche tu possa fare lo stesso…» (ibidem).

Il seguito della storia è tragicamente noto, ma all’alba del terzo giorno sfocia in quella che lo scrittore inglese J.R.R.Tolkien definisce “eucatastrofe”, ovvero l’improvviso capovolgimento dopo la tragedia, quando Miriam, provata dagli eventi, si accorge di una presenza vicino a Lei: «Sono vivo. Te l’ho pur detto, e Tu credi alle mie parole. – Ci credo. Ci ho sempre creduto. Ma è stato così terribile. Quando Ti hanno tirato giù dalla croce, quando Ti hanno deposto sulle mie ginocchia. Tutto il Tuo corpo era coperto di sangue, pieno di ferite, di lividi, tumefatto» (p. 74).

Nella notte Miriam sogna una moltitudine di gente che sale «verso una chiarità di immenso splendore» (p. 77). «Proprio alla testa camminava una donna. Miriam non la conosceva, eppure si rese subito conto che qualcosa La univa a quella donna» (ibidem). È la schiera di coloro ai quali Cristo ha aperto la via del cielo, guidati da Eva.  Tra di essi riconosce molte persone care, tra cui lo sposo Giuseppe. Successivamente la scena cambia: città distrutte, uomini e donne grondanti lacrime e sangue, bambini malati e piangenti. Miriam si desta all’improvviso, spaventata, ma nella stanza è comparso Gesù a spiegarle che quanto ha visto in sogno è l’ultima ora del mondo, la più terribile: «Satana farà ancora una volta un tentativo. Quella sarà la Tua ora, Madre. Tu dovrai far sì che quelle ore crudeli passino in fretta. Dovrai trovarti degli aiutanti. Io sarò sempre al Tuo fianco e per questo vincerai» (p. 81). Impossibile non pensare a quel “ciclo di terrore e di morte” di cui ha parlato Benedetto XVI a Fatima e all’intensificarsi delle apparizioni mariane a partire dal XIX secolo, agli “apostoli degli ultimi tempi” presagiti da san Luigi Maria Grignion de Montfort e alla consolante promessa della stessa Vergine: “Infine, il Mio Cuore immacolato trionferà!”.


Seguono gli eventi dell’Ascensione e della Pentecoste, che comunica una nuova vita alla timorosa comunità dei discepoli guidati da Pietro: «In quel pescatore grande e grosso di nuovo era avvenuto un cambiamento. Negli ultimi tempi appariva come un poco apatico e depresso, ma adesso aveva recuperato l’antica voce profonda» (p. 92) dando inizio alla predicazione del Vangelo.

Il libro, che si era aperto con la piccola croce del giovane Marco, si chiude con il medesimo segno, al centro del benevolo rimprovero che Miriam rivolge all’impaziente e tormentato Nicodemo: «su quella Sua croce, sulla quale è morto per noi tutti, coloro che sono vissuti, che vivono, e coloro che vivranno, c’è anche posto per i Suoi amici. Egli li tocca con la Sua croce e lascia che aggiungano il proprio dolore al Suo sacrificio» (p. 98).
 
Stefano Chiappalone