Massimo Introvigne, La nuova guerra mondiale. Scontro di civiltà o guerra civile islamica?, Sugarco, Milano 2005, 232 pp., euro 18, ISBN 88-7198-493-5
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Introduzione
La tesi di questo libro è insieme complicata e semplice. Riprende un’espressione resa popolare da Norman Podhoretz nel suo La quarta guerra mondiale. Come è incominciata, che cosa significa e perché dobbiamo vincerla (trad. it., Lindau, Torino 2004), ma già usata dal sotto-segretario alla Difesa americano Paul Wolfowitz con i toni di un Winston Churchill (1874-1965) neoconservatore: c’è una guerra mondiale, durerà venticinque anni e saranno lacrime e sangue per tutti. Per questi autori americani si tratta della Quarta guerra mondiale: la Terza è la guerra fredda, e pensano di averla vinta loro contro l’impero comunista. Hanno ragione?
La nozione di guerra mondiale è al centro di un vasto dibattito fra storici, sociologi e politologi. Si tratta di una guerra senza confini, capace di fagocitare e includere decine di conflitti locali, e di presentarsi dal punto di vista della percezione dei combattenti come scontro di civiltà. In questo senso la guerra passata dalla potenza all’atto l’11 settembre 2001 corrisponde alla definizione di guerra mondiale. Poco importa se Samuel Huntington con la sua tesi dello «scontro di civiltà» (riassunta ne Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, trad. it., Garzanti, Milano 1997) abbia ragione o torto: nel mondo musulmano milioni di persone pensano che lo scontro in corso sia fra «i crociati e gli ebrei» e l’islam. Anche in Occidente Oriana Fallaci scrive quello che – vero o no – milioni di persone pensano ma non possono permettersi di dire. E felici i paesi come l’Italia dove queste posizioni sono rappresentate da qualcuno (la Lega Nord, anzitutto) all’interno della politica democratica e parlamentare anziché lasciate, come in Francia o in Germania, a forze marginali e potenzialmente eversive.
Tuttavia lo scontro di civiltà è solo una faccia della medaglia. Era così anche per le altre guerre mondiali. Da una parte si trattava dello scontro fra l’Occidente moderno e «qualcun altro». Ma dall’altra le prime tre guerre mondiali erano guerre civili europee che esportavano le loro conseguenze in tutto il mondo. Tutte le ideologie coinvolte (democrazia, fascismo, nazismo, comunismo) erano nate in Europa, anche se lo scontro – in questo senso andando a corrispondere alla definizione di guerra mondiale – si estendeva pressoché ovunque, assorbendo e ridefinendo i preesistenti conflitti locali.
Oggi succede qualche cosa di simile e nello stesso tempo diverso. Quello che per un verso è uno scontro percepito come di civiltà, per un altro è anche questa volta una guerra civile che una civiltà esporta nel mondo. Ma non ci sono più guerre civili interne alla civiltà occidentale (in questo senso Francis *censura*uyama – nel suo La fine della storia e l’ultimo uomo, trad. it., Rizzoli, Milano 1992 – pensava anni fa che fosse finita la storia). La nuova guerra civile è interna al mondo islamico, che pur non essendo la civiltà dominante è abbastanza grande dal punto di vista demografico (oltre un miliardo di persone) e del controllo delle risorse (il petrolio) per esportarla in tutto il mondo.
È questa seconda faccia della medaglia che la Fallaci, con altri, non vede e che del resto non è facile da vedere. Perché lo scontro non è tra musulmani «moderati» (una categoria estranea all’islam) e «fondamentalisti», ma una guerra civile assai più complessa tra nazionalisti, tradizionalisti, conservatori, fondamentalisti e ultra-fondamentalisti, dove le alleanze si fanno e si disfano rapidamente. Per esempio, i tradizionalisti cosiddetti «wahhābiti» dell’Arabia Saudita sembravano alleati degli ultra-fondamentalisti, che però hanno cominciato ad attaccare con il terrorismo le istituzioni saudite (e non più solo obiettivi stranieri in Arabia). Chi in Occidente non vede nella guerra in corso l’aspetto di guerra civile islamica globalizzata, si priva anche di una risorsa strategica essenziale: inserirsi nel gioco dei conflitti intra-islamici, facendo emergere le loro contraddizioni e cercando alleati senza i quali è impossibile vincere.
È una tesi che cercherò di dimostrare attraverso un viaggio negli eventi degli ultimi mesi, sulla base di miei articoli pubblicati su il Giornale, il Domenicale, Il Foglio, Cristianità, Il Timone e il dialogo – al hiwâr, ampiamente rivisti per assicurarne un coordinamento che non evita alcune ripetizioni necessarie alla comprensione dei testi (ma del resto, tanto più quando si tratta di tesi non «politicamente corrette», repetita iuvant) e che mantiene lo stile dell’editoriale di quotidiano o periodico, certo diverso da quello di un saggio di sociologia delle religioni.
Dalla strage degli italiani a Nāsiriyya, del 12 novembre 2003, alle elezioni irachene del 2005, passando per l’11 settembre dell’Europa dell’11 marzo 2004 a Madrid e per l’11 settembre dei bambini del 3 settembre 2004 a Beslan, questo libro ripercorre una fase cruciale della Quarta guerra mondiale. Una sequela di eventi troppo numerosi per ricordarli tutti, che il testo si sforza di sottrarre alla cronaca e d’inserire in un quadro coerente. Dalle morti di ‘Arafāt e del fondatore di Hamās, Yāsīn, alle elezioni che, già prima dell’Iraq, hanno mobilitato centinaia di milioni di votanti in Afghanistan, Algeria, India, Indonesia, Stati Uniti; dai conflitti fin troppo noti – Palestina, Cecenia, Iraq – alle guerre spesso dimenticate nel Sudan, nelle Filippine, in Uganda, in Congo. E sangue, tanto sangue: Fabrizio Quattrocchi, Enzo Baldoni, le teste mozzate, le autobomba, i razzi di Hamās sugli asili israeliani, la strage degli innocenti in Ossezia. È la guerra dei tre B – Bush, Blair e Berlusconi – contro il redivivo Osama bin Laden, ma anche contro un pacifismo no global che sempre più spesso gioca il ruolo di alleato oggettivo del fondamentalismo islamico, sostenuto anche dalle ambiguità della Francia e delle sinistre europee. Una guerra che non registra solo sconfitte, ma anche importanti vittorie contro il terrorismo globale. Una guerra, soprattutto, che si può vincere: purché alla forza delle armi si accompagni una forza morale capace di condannare tutti i terrorismi, davvero «senza se e senza ma».
Indice
Introduzione
I. Islam, fondamentalismo, conservatorismo
Chi è «fondamentalista» nell’islam?
L’islam e il terrorismo
Islamici conservatori cercansi
Quelli per cui i Pokémon sono un complotto giudeo-massonico
Quale islam è compatibile con la democrazia?
La falsa pista dell’islam «illuminista»
Alla ricerca di un islam «democristiano»
Colpire l’Occidente per conquistare l’Oriente
Eppure il terrorismo si può battere
Tre cadaveri eccellenti
I limiti del metodo inglese
È possibile un islam senza fondamentalismo?
Michael Moore vince l’Oscar delle bugie
Il caso Tarīq Ramadān, o perchè non c’è un terrorismo «buono»
I Fratelli Musulmani si sono «sciolti» nel novembre 2004?
Perché i «fondamentalisti» cristiani non sono (quasi mai) terroristi
II. Le metamorfosi di al-Qā‘ida
Che cosa resta della rete di Bin Laden?
Al-Qā‘ida è ferita ma può colpire ancora
L’intreccio del terrore e la «dottrina Carlos»
Il segreto dell’11 marzo 2004
Madrid, una strage annunciata
La scommessa perduta di Zapatero
Paura al Bernabeu: Aznar aveva ragione
La monarchia saudita sfidata da al-Qā‘ida
Al-Qā‘ida e la strategia dell’annuncio
Il dialogo sabotato
Nel sangue rispunta la «dottrina Carlos»
I tre obiettivi di Osama bin Laden
Al-Qā‘ida contro la voglia di democrazia
Terrorismo e bugie
La guerra di Karzai contro l’oppio: la droga come arma di distruzione di massa
III. L’Iraq del dopo-Saddām
Le bombe nelle moschee
La Costituzione provvisoria: un primo passo, ma non irrilevante
Il fattore al-Sadr (I)
Il fattore al-Sadr (II)
Il fattore al-Sadr (III)
Il fattore al-Sadr (IV)
Il ruolo dell’Iran
Dopo l’assassinio di Enzo Baldoni
Il vero volto della «resistenza»
Chi rivuole Saddām
Il filo doppio che lega Saddām al terrorismo
I martiri cristiani e la carta dell’odio
La nuova al-Qā‘ida dietro l’attacco alle chiese
Dal terrorismo alla barbarie
Iraq: se Castro se la prende con Bush
IV. La guerra, il terrorismo e l’Italia
La disfida di Rivombrosa: il vescovo, Elisa e i musulmani
I girotondini si mobilitano: liberate Saddām
Le tre bugie di padre Zanotelli
Giudici, terroristi e «pacifisti» a Perugia (I)
Giudici, terroristi e «pacifisti» a Perugia (II)
Giudici, terroristi e «pacifisti» a Perugia (III)
Il fantascenario della pace senza se e senza ma
Due parole agli assassini
Tappeti rossi ai terroristi
L’ambiguità in corteo
Quattro domande al professor Prodi
Il nuovo terzaforzismo di Romano Prodi
Gli ostaggi e la pista italiana
L’enigmatico padre Benjamin
L’impotenza dell’ONU
L’asse mondiale del terrore
Giudici che liberano terroristi
Toghe verdi
Al-Qā‘ida contro Berlusconi
Terrore, morale e politica
Gli italiani e il terrorismo suicida
I calcoli sbagliati sull’immigrazione
L’introvabile islam moderato italiano
Un «modello italiano» per il Caucaso (e non solo)
La sinistra stregata da Chirac
Berlusconi sdogana la Turchia
V. Il fattore F: lo strano ruolo della Francia
La modica quantità di religione
Il Papa contro i profeti del nuovo laicismo
Ma la legge sul velo è sbagliata
Il modello francese non serve all’Italia
I francesi rapiti in Iraq: furbizie al capolinea
Il boomerang della trattativa
Gli ostaggi francesi e le due Simone
La pista nera
Metodo Putin e metodo Chirac
La Francia contro il modello turco
Dal velo alla croce
La politica dello struzzo in Costa d’Avorio
Gilles Kepel, un ideologo per Chirac
Antisemitismo: se la Francia spegne gli Hizbullāh
VI. La guerra che non vuole finire: arabi e israeliani nel dopo-‘Arafāt
L’ineludibile fattore demografico
Gli arabi e la menzogna infinita dei Savi di Sion
Il terrorista che amava il calcio
Scuola di terrore
Dopo Yāsīn, al-Rantīsī
Contro Sharon una strage degli innocenti
Se Hamās «scomunica» al-Qā‘ida
Hamās colpisce gli asili e se ne vanta
L’alternativa giordana
Quelle toghe internazionali campioni del pregiudizio
Il ritorno degli Hizbullāh
Il crepuscolo di ‘Arafāt
Sfida all’Egitto: la tregua è finita
Non piangete per ‘Arafāt
La bambina ‘Arafāt, tra miliardi e politica
Il futuro di Hamās
Il rischio di un nuovo Olocausto
VII. Pakistan, India, Kashmir
Il Pakistan in bilico (I)
Il Pakistan in bilico (II)
India: il BJP è «fondamentalista»?
India: tutti pazzi per Sonia?
Sonia tradita dall’alleanza con i comunisti
Come disinnescare la mina del Kashmir
VIII. I problemi della Russia e il rompicapo ceceno
Terroristi fanatici ma non disperati
Tutte le difficoltà del Cremlino
Al-Qā‘ida e il sogno del califfato nel Caucaso
Intanto in Uzbekistan
Gli attentati agli aerei russi e il nuovo scenario del terrore
Un conflitto secolare dietro il dramma della scuola di Beslan
L’orgoglio ortodosso e il caso ucraino
IX. La tragedia del Sudan e altre storie africane
Al-Turābī in prigione
La pace nel Sudan meridionale e il contributo dell’Italia
La catastrofe del Darfur
Darfur: il pericolo di un nuovo genocidio
La Somalia che l’Italia non ha dimenticato
Il Congo, l’Uganda e gli strani amori del colonnello Qadhdhāfī
X. Scenari cruciali: Algeria e Arabia Saudita
L’Algeria dopo le presidenziali del 2004
Le difficili riforme saudite
XI. Nuovi scenari: il Sud-Est asiatico
L’autogol di Manila e il terrorismo nelle Filippine (I)
L’autogol di Manila e il terrorismo nelle Filippine (II)
La filiale indonesiana del terrore
Democrazia in Indonesia?
La guerra ignota nel Sud della Tailandia
XII. L’inquieto islam dei Balcani
Perché i terroristi attaccano la Bulgaria
Rischio fondamentalismo nel Kosovo
XIII. L’amico «amerikano»
Osama vota Kerry
Elezioni americane: il voto religioso ha davvero contato
I due volti di Condi Rice
Per non concludere