Da voce dei cattolici a fotocopia di Micromega
Davide Rondoni, poeta e scrittore, misura i fiammeggianti editoriali del settimanale più cattolico d’Italia con una perfida battuta: «Se gridano, è per dire che ci sono anche loro. Altrimenti nessuno li sente».
Allora, ecco che Famiglia Cristiana si lamenta perché al governo scarseggiano i cattolici, e poi se la prende perché l’esecutivo ha deciso di prendere le impronte digitali ai bambini rom. E ancora, in una deriva antiberlusconiana senza fine, arriva a ventilare, in perfetto stile micromeghese, il ritorno del fascismo.
«Ma andiamo – prosegue Rondoni -, mi pare che il Papa e l’episcopato volino alto, toccando anche con critiche aspre al pensiero laico i grandi temi della vita, il settimanale cattolico, invece, si smarrisce nel rimbombare di polemiche di giornata».
È il tema dell’irrilevanza, per parafrasare le parole del cardinal Camillo Ruini.
Un tema che si capisce già dai numeri; è vero che buona parte dell’editoria periodica soffre, ma a Famiglia Cristiana e al quartier generale dei Paolini la notte è sempre più fonda: le copie distribuite sono sempre meno; il gruppo taglia tutto il tagliabile – dal 1º agosto scorso sono state chiuse tutte le redazioni locali dei periodici paolini -; immaginare un futuro con persone dalla doppia vocazione, giornalistica e religiosa, è assai arduo e nelle stanze del settimanale diretto da don Antonio Sciortino si citano i casi di aspiranti “firme” del gruppo che studiavano da direttore e sono state sonoramente bocciate in partenza all’esame di Stato.
«A me sta bene che si torni a parlare dei giornali cattolici – spiega Vito Mancuso, teologo guardato con sospetto e ammirazione dalle gerarchie, autore del best seller L’anima e il suo destino – ma i temi posti da Famiglia Cristiana nei suoi editoriali mi lasciano perplesso. Agitare lo spettro del fascismo mi sembra improprio, anzi fuorviante. La polemica sulle impronte digitali mi pare impregnata di un vecchio buonismo cattolico, quello di certi pretini che parlavano astrattamente, e può generare pericolose illusioni ottiche; ancora, il tema dell’assenza dei cattolici dalla stanza dei bottoni è legato ad una vecchia logica corporativa, per lobby, mi sa tanto di stampa controllata».
E i grandi nodi della bioetica, del rapporto fra fede e scienza, dei confini della morale? «Certe novità nel Paese – risponde Mancuso – le ha introdotte o ha cercato di farlo, come per la moratoria sull’aborto, il Foglio, che è un piccolo giornale laico che io stesso leggo e sul quale scrivo». E Famiglia Cristiana? «Non la leggo – taglia corto il teologo – non è un mio punto di riferimento così come non lo è Avvenire. Del resto quando vedo la prima pagina di Avvenire mi sembra di non toccare la realtà».
Insomma la stampa cattolica è ormai confinata in una sorta di ghetto e prova a comunicare con la società infilandosi l’elmetto della militanza antiberlusconiana?
«Non lo so – ammette il teologo che insegna all’Università del San Raffaele – certo il mondo cattolico è un arcipelago, in alcuni strati della società Famiglia Cristiana ha probabilmente mantenuto una certa presa, ha senz’altro una sua autorevolezza, ma molti temi sono affrontati in modo vecchio, poco creativo. Non affascinante». Concetti che echeggiano quelli svolti da Rondoni: «Il settimanale dei Paolini è in ritardo, e allora forza i toni polemizzando un giorno sì e l’altro pure con Berlusconi, fino a evocare il ritorno del fascismo, un giochino che a sinistra praticano da molti anni».
Giovanni Reale, filosofo e studioso universalmente noto di Platone, liquida la querelle sul fascismo con termini anche più crudi: «È una vicenda ridicola». E non arretra nemmeno sulla disputa relativa ai bambini rom: «Io li conosco bene. Hanno provato o portarmi via il portafoglio davanti al Castello di Milano e nello stesso punto ci hanno provato anche con Roberto Radice, il mio successore sulla cattedra di storia della filosofia antica alla Cattolica e sempre lì ci sono riusciti con il mio traduttore americano, John Catan. Dov’era Famiglia Cristiana quando accadevano decine di episodi come questo? Ci vuole concretezza, ci vuole Platone ma anche un po’ di Machiavelli. Soprattutto, non si può applicare in modo schematico o buonista il messaggio di Cristo alle cose di quaggiù: c’è il rischio, forte, fortissimo, di rimpicciolirlo. È l’ideologizzazione della fede». E Reale scaglia l’anatema contro il settimanale dei Paolini.
di Stefano Zurlo
© IL GIORNALE, 15 agosto 2008