(il Timone) Il Risorgimento è l'origine della decadenza italiana

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La grandezza di Roma e dell’Italia

di Angela Pellicciari

Il Timone, nº 68, Dicembre 2007

La grandezza del nostro Paese deve la sua ragione in gran parte alla Chiesa cattolica. Solo alterando la storia si può nascondere questa verità. Che Pio IX e Leone XIII non mancarono di richiamare più volte. Come ha fatto ora anche Benedetto XVI.

Ricevendo in Vaticano il nuovo ambasciatore italiano presso la Santa Sede lo scorso 4 ottobre, Benedetto XVI sottolineava il «particolare legame che da tempo unisce l’Italia al Successore dell’apostolo Pietro, il quale ha la sua sede proprio nell’ambito di questo Paese, non senza un misterioso e provvidenziale disegno di Dio». Il «provvidenziale» disegno divino di collocare a Roma la sede di Pietro si è ripetutamente scontrato con molteplici nemici: gli ultimi, in ordine di tempo, sono stati Napoleone e, subito dopo, i Savoia. Gli uomini del Risorgimento si ripromettevano di purificare l’Italia dal virus cattolico e pensavano di conseguire l’obiettivo sottraenda al Papa lo scettro temporale.

Per far sembrare "progressista" un simile disegno e convincere la popolazione del vantaggio dell’apostasia, si trattava di riscrivere la storia. Non a partire dai dati di fatto, ma dai convincimenti, dalle "idee" delle minoranze rivoluzionarie. Se non che, per accreditare la vulgata liberai-massonica che i papi e la Chiesa fossero stati la rovina d’Italia, bisognava negare l’evidenza dei fatti. Impresa, all’apparenza, non facile. Eppure proprio a questo compito il Regno d’Italia si è dedicato con passione e spregiudicatezza, utilizzando tutte le armi che il potere metteva a sua disposizione. A cominciare dal totale controllo sul mondo della cultura e, in modo tutto particolare, sull’insegnamento della storia.

Le cose erano giunte al punto che papa Leone XIII così descriveva le caratteristiche della storia all’epoca dei governo sabaudo: «la scienza storica – scriveva nella Saepenumero considerantes del 1883 – sembra essere una congiura degli uomini contro la verità […] la menzogna si snoda audacemente tra i ponderosi volumi e negli agili libri, fra i fogli volanti dei giornali e nei seducenti apparati dei teatri. Troppi vogliono che il ricordo stesso degli avvenimenti passati sia complice delle loro offese».

In quegli anni – in nome della libertà – i liberi muratori avevano occupato con scientifica determinazione tutti i possibili spazi (scuole, università, associazioni culturali, giornali e riviste) per divulgare una storia d’Italia confezionata sulla base dei propri desiderata. «Abbiamo analizzato sovente – proseguiva il Papa – quali tecniche impieghino più spesso coloro [i membri delle società segrete] che vogliono rendere la Chiesa ed il Pontificato romano oggetti di sospetto e d’invidia, ed abbiamo riscontrato che frequentemente i tentativi di costoro si sono rivolti con grande violenza ed astuzia contro la storia della cristianità e specialmente verso quella parte che riguarda le azioni dei Pontefici romani più strettamente collegate alle vicende italiche […] coloro che danno spazio all’odio per il Pontificato romano più che alla verità dei fatti agiscono in modo ingiusto, e contemporaneamente pericoloso, con ciò mirando palesemente a far sì che la memoria dei tempi precedenti, imbellettata con falso colore, sia asservita al nuovo potere in Italia». Le leggende sulla Chiesa violenta (responsabile dei massacri delle crociate e dell’inquisizione), oscurantista, incivile e nemica della scienza (casi Galilei e Giordano Bruno), nascono in ambiente protestante e massonico. Nell’Ottocento queste orecchiabili litanie prendono piede anche in Italia dove si arricchiscono di una imputazione tutta particolare: la Chiesa è nemica dell’Italia. La Chiesa è nemica della patria.

Per noi italiani si tratta di una calunnia dalle conseguenze serie: se davvero la Chiesa è causa della nostra rovina, tutto intero il nostro passato è degno di disprezzo. Tutta la nostra storia (salvo quella imperiale romana) è da buttare alle ortiche. Dovremmo cospargerci il capo di cenere e limitarci ad imparare da quanti si sono liberati dal credo cattolico prima di noi. La menzogna di una Chiesa e di un papato antitaliani – contraria allo stesso buon senso data la straordinaria mole delle vestigia artistiche e culturali cattoliche diffuse a piene mani sul territorio nazionale – è insidiosa, e i Papi del Risorgimento rispondono. Con umiltà ma anche con la piena consapevolezza di rappresentare l’istituzione che è all’origine della vera gloria italiana. Il magistero pontificio di Pio IX e Leone XIII è stato di grande utilità ieri, ma continua ad esserlo anche oggi in un momento in cui buona parte della popolazione (compresa quella cattolica) ha smarrito le ragioni della propria identità. Nella convinzinne, che le lettere dei Papi ci aiutino a rammentare chi siamo, rileggiamo un lungo brano dell’enciclica Nostis et Nobiscum composta da Pio IX nel 1849, nel pieno della bufera legata alla Repubblica Romana. «Tra i numerosi inganni – scrive il Papa – a cui i predetti nemici della Chiesa furono soliti ricorrere per distogliere gli animi degli italiani dalla fede cattolica, c’è il fatto che essi non si vergognano anche di affermare e di andar vociferando dovunque che la religione cattolica si oppone alla gloria, alla grandezza, alla prosperità del popolo italiano […] è tanto lontano dal vero che quei danni temporali siano derivati al popolo italiano dalla professione della vera fede, che anzi esso deve riconoscere come merito alla religione cattolica se nel crollo dell’impero romano non è caduto in quello stato nel quale erano precipitati gli assiri, i caldei, i medi, i persiani e i macédoni, dopo che avevano dominato per molti anni e col cambiamento dei tempi. Infatti nessuna persona saggia ignora che, grazie alla santissima religione di Cristo, l’Italia non solo è stata sottratta a tante fitte tenebre di errori da cui era avvolta, ma anche che, pur tra le rovine di quell’antico impero e le scorrerie dei barbari che infierivano in tutta l’Europa, essa si elevò a tale gloria e grandezza su tutte le altre nazioni del mondo grazie alla sacra cattedra di Pietro, collocata per singolare beneficio di Dio in essa [Italia], così che poté presiedere con la divina religione più estesamente e più stabilmente che con la dominazione terrena un tempo esercitata».

Il ponteficie prosegue: «Inoltre, da questo stesso singolare privilegio di ospitare la sede apostolica e dal fatto che la religione cattolica abbia avuto più salde radici nei popoli d’Italia, derivarono altri moltissimi e insigni benefici. Infatti la santissima religione di Cristo, maestra di vera sapienza, protettrice dell’umanità e madre feconda di tutte le virtù, distolse gli animi degli italiani dalla magnificenza di quella gloria caduca che i loro antenati avevano riposto nel perpetuo tumulto delle guerre, nell’oppressione degli stranieri, e nel ridurre a durissima schiavitù una moltitudine di uomini per quel diritto di guerra che allora vigeva; illuminati gli stessi italiani con la luce della verità cattolica, li sollecitò ad un tempo a seguire la giustizia e la misericordia e, inoltre, a gareggiare in opere di pietà verso Dio e di beneficenza verso gli uomini. Perciò nelle principali città d’Italia si possono ammirare sacri templi e altri monumenti dei secoli cristiani, edificati non certo con cruente fatiche di uomini gementi in schiavitù, ma dal nobile fervore di una carità vivificante; e pii istituti di ogni genere fondati o per gli esercizi della religione, o per l’educazione della gioventù e per coltivare adeguatamente le lettere, le arti, le scienze, o per alleviare le infermità e necessità dei miseri. Questa divina religione, dunque, nella quale; per tanti titoli, stanno la salvezza, la felicità e la gloria dell’Italia, proprio questa religione è quella che dovrebbe essere ripudiata dai popoli d’Italia?»

Circa quaranta anni dopo, gli stessi concetti sono ribaditi da Leone XIII nella lettera Quantunque le siano, indirizzata al Segretario di stato Mariano Rampolla: «Questa guerra [contro la Chiesa] al presente si combatte più che altrove in Italia, dove la religione cattolica ha gittato più profonde radici […]. Per l’Italia la perdita sarebbe altresì più sensibile. Le sue maggiori glorie e grandezze, per cui tra le più colte nazioni ebbe per lungo tempo il primato, sono inseparabili dalla religione; la quale o le produsse, o le ispirò, o certo le favorì, le aiutò e diede ad esse incremento. Per le pubbliche franchigie parlano i suoi Comuni; per le glorie militari parlano tante imprese memorande contro nemici dichiarati del nome cristiano; per le scienze parlano le Università che fondate, favorite, privilegiate dalla Chiesa, ne furono l’asilo e il teatro; per le arti parlano infiniti monumenti d’ogni genere, di cui è seminata a profusione tutta Italia; per le opere a vantaggio dei miseri, dei diseredati, degli operai parlano tante fondazioni della carità cristiana, tanti asili aperti ad ogni sorta d’indigenza e d’infortunio, e le associazioni, e corporazioni cresciute sotto l’egida della religione».

Pio IX e Leone XIII combattono la buona battaglia a favore della verità. La profeticità della loro denuncia e dei loro moniti è attuale: «tutelate gl’interessi supremi della Chiesa e del Papato – scrive Leone XIII nella lettera Custodi dell’8 dicembre 1892 -, che sono altresì i supremi interessi dell’Italia e di tutto il mondo cristiano. Ispiratrice e gelosa custode delle italiche grandezze fu sempre l’Apostolica Sede. Siate dunque italiani e cattolici, liberi e non settari, fedeli alla patria e insieme a Cristo ed al Vicario suo, persuasi che un’Italia anticristiana e antipapale sarebbe opposta all’ordinamento divino, e quindi condannata a perire». Quando la consapevolezza del «provvidenziale disegno» divino (per usare le parole di Ratzinger) di scegliere l’Italia e Roma a sede del papato viene a mancare, succede quello che, amareggiato, descrive il cardinal Caffarra rivolgendosi ai fedeli bolognesi: «Sradicarsi dalla nostra tradizione progettando una sorta di "patto di convivenza" da sottoscrivere dimenticando o mettendo fra parentesi tutto ciò che definisce la nostra vita e la nostra persona così come la vita e la storia della nostra città, significa metterci su una strada che porta alla totale disgregazione». La speranza – prosegue il cardinale – è diventata fragile: «la speranza nel cuore del singolo e nel cuore di un popolo si riduce e perfino si inaridisce, se il singolo e la città ha la sensazione come di dover ripartire dal nulla. Nel nulla si può solo cadere; ma dal nulla non si ha alcun appoggio per risalire».

Le parole di Caffarra non valgono per la sola Bologna.