L’Autobiografia di Chesterton

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Gilbert K. Chesterton,  Autobiografia; Lindau Edizioni 2010, EAN 9788871808772, Pagine 392; Euro 27,00

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Inchinandomi con la mia cieca credulità di sempre di fronte alla mera autorità e alla tradizione dei padri, bevendomi superstiziosamente una storia che all’epoca non fui in grado di verificare di persona, sono fermamente convinto di essere nato il 29 maggio del 1874 a Campden Hill, Kensington; e di essere stato battezzato secondo il rito anglicano nella piccola chiesa di Saint George, che si trova di fronte alla torre dell’acquedotto, immensa a dominare quell’altura. Non attribuisco nessun significato al rapporto tra i due edifici; e nego sdegnosamente che la chiesa possa essere stata scelta perché era necessaria l’intera forza idrica della zona occidentale di Londra per fare di me un cristiano.

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Mi hanno raccontato che, quando mi annunciarono che avevo un fratellino, il mio primo pensiero andò al piacere che provavo nel recitare versi e dissi: «Benissimo, d’ora in poi avrò sempre un pubblico». Se l’ho detto davvero, mi sono sbagliato. Mio fratello non aveva alcuna intenzione di essere un semplice ascoltatore e molto spesso obbligò me a essere il suo pubblico. Spesso tuttavia eravamo tutt’e due oratori senza pubblico. Discutemmo per tutta l’adolescenza e la giovinezza, finché diventammo la bestia nera di chi ci stava intorno. Gridavamo concitati l’uno contro l’altro, dai due lati del tavolo, discutendo di Parnell o del puritanesimo, o della testa di Carlo I, finché coloro che ci erano più vicini e più cari, scappavano via e intorno a noi si faceva il deserto. Anche se non c’è ragione di rallegrarsi tanto per aver costituito un supplizio per gli altri, sono felice di aver potuto esprimere sempre un’opinione su tutti i soggetti del mondo. Sono felice al pensiero che non cessammo mai di discutere e che non litigammo mai. Forse non ci azzuffavamo solo perché così avremmo troncato la discussione. A ogni modo, il dibattito tra noi non si interruppe mai, se non quando si avviava alla conclusione naturale, cioè la persuasione. Non era tanto che l’uno o l’altro finisse per ammettere di essere in errore, piuttosto, attraverso un processo di dissenso incessante, trovavamo infine un accordo. Cecil cominciò come una sorta di pagano ribelle, un nemico giurato dei puritani, un difensore dei piaceri da bohémien, socievole, ma totalmente laico e secolare; io cominciai con una tendenza a difendere, in modo un po’ vago, l’idealismo vittoriano e perfino a spendere una parola in favore del puritanesimo, soprattutto perché animato da una confusa simpatia inconscia per ogni tipo di religione. Alla fine, con un processo di eliminazione, giungemmo a pensare che una religione non puritana fosse più plausibile, e anche più piena di promesse. Quindi, anche se indipendentemente l’uno dall’altro, approdammo alla stessa Chiesa. Penso che per noi sia stato un bene aver messo alla prova nelle discussioni ogni minimo passaggio logico, con critiche continue e reciproche. Aggiungerò anzi qualcosa che sembra una vanteria, anche se intende essere un omaggio. Dirò che colui che si era fatto le ossa discutendo con Cecil Chesterton, non fu mai intimidito in seguito da altri dibattiti.

“Quando la gente chiede a me o a qualsiasi altro: ‘Perché vi siete uniti alla Chiesa di Roma?’, la prima risposta essenziale, anche se in parte incompleta, è: ‘Per liberarmi dai miei peccati’. Perché non v’è nessun altro sistema religioso che dichiari veramente di liberare la gente dai peccati. Ciò trova la sua conferma nella logica, spaventosa per molti, con la quale la Chiesa trae la conclusione che il peccato confessato, e pianto adeguatamente, viene di fatto abolito, e che il peccatore comincia veramente di nuovo, come se non avesse mai peccato. (…) Dio lo ha fatto veramente a Sua immagine. Egli è ora un nuovo esperimento del Creatore. È un esperimento nuovo tanto quanto lo era a soli cinque anni. Egli sta nella luce bianca dell’inizio pieno di dignità della vita di un uomo. L’accumularsi di tempo non può più spaventare. L’uomo può essere grigio e gottoso, ma è vecchio solo di cinque minuti. L’idea cioè di accettare le cose con gratitudine, e non di prenderle senza curarsene. Così il Sacramento della Penitenza dà una vita nuova, e riconcilia l’uomo con tutto ciò che vive: ma non lo fa come lo fanno gli ottimisti e i predicatori pagani della felicità. Il dono viene fatto ad un prezzo ed è condizionato alla confessione. Ho detto che questa religione, rozza e primitiva, di gratitudine, non mi salvò dall’ingratitudine del peccato, che per me è orribile al massimo grado, forse perché è ingratitudine. Ho trovato soltanto una religione che osasse scendere con me nella profondità di me stesso”.
G. K. Chesterton, Autobiografia

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"Mi è stato concesso di scorgere in una visione generale tutto quel campo di negazioni, curiosità e cercare a tastoni, e io vidi tutto ciò che questo significa. Non c’era una Chiesa Teistica, non c’era una Fratellanza Teosofica né Società Etiche; non c’erano neppure nuove religioni. Ma io ho visto Israele sparso sulle colline come pecore senza pastore".
G. K. Chesterton, Autobiografia


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R
imarrebbe deluso chi pensasse di trovare in queste pagine un racconto puntuale intessuto di luoghi, fatti, incontri. Non manca – beninteso – nessuno di questi ingredienti, ma l’Autobiografia di Chesterton, uscita postuma nel 1936, è soprattutto la storia di un’intelligenza e di un’anima che cercano, non senza incertezze e contraddizioni, la propria strada.


Sullo sfondo, evocato con tocchi magistrali, sta il difficile periodo di transizione tra XIX e XX secolo, con il crollo degli Imperi coloniali e il dramma della prima guerra mondiale. E dallo sfondo si affacciano le personalità del panorama politico e letterario con cui lo scrittore entra in contatto e su cui esercita la propria attitudine all’analisi per paradossi dell’uomo e della società, senza mai rinunciare alla sua impareggiabile vis polemica.

La nota segreta del testo – quella che risuona inconfondibile dietro le vicende e le battaglie quotidiane – è però la ricerca di una verità più grande di quella proposta dalle filosofie e dalle dottrine che occupavano (e occupano ancora) la scena contemporanea, una verità capace di cogliere l’umano nella sua complessità e integralità. L’approdo sarà, come è noto, la Chiesa cattolica, «dove tutte le verità si danno appuntamento».


Il volume è corredato da un ricco inserto fotografico.

La «Nota biobibliografica» e l’elenco delle «Opere di Chesterton» sono a cura di Marco Sermarini, Presidente della Società Chestertoniana Italiana.


Titolo originale: The Autobiography of G. K. Chesterton


Traduzione dall’inglese di Cristina Spinoglio


Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) fu scrittore e pubblicista dalla penna estremamente feconda. Soprannominato «il principe del paradosso», usava una prosa vivace e ironica per esprimere serissimi commenti sul mondo in cui viveva. Scrisse saggi letterari e polemici, romanzi «seri» (L’uomo che fu GiovedìL’osteria volante) e gialli (celebre la serie di avventure di Padre Brown). Lindau ha pubblicato i suoi saggi biografici su san Francesco d’Assisi e san Tommaso d’Aquino, le opere La Chiesa cattolicaEretici e Ortodossia, e il romanzo Il Napoleone di Notting Hill.


L’INDICE
7 I. Per sentito dire
33 II. L’Uomo con Chiave d’Oro
61 III. Come diventare un somaro
89 IV. Come diventare pazzo
119 V. Il nazionalismo e Notting Hill
151 VI. Una fantastica periferia
179 VII. Il delitto dell’ortodossia
209 VIII. Personaggi di Fleet Street
225 IX. Il processo per corruzione
245 X. Amicizia e follie
269 XI. Sotto l’ombra della spada
295 XII. Uomini politici eminenti
315 XIII. Celebrità letterarie
331 XIV. Ritratto di un amico
353 XV. Il viaggiatore incompiuto
369 XVI. Il Dio dalla Chiave d’Oro

395 Indice dei nomi
401 Nota biobibliografica
405 Opere di Chesterton