I giovani italiani: la nuova missione di Benedetto XVI

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di Massimo Introvigne (il Giornale, 19 agosto 2005)


E tre. Prima la straordinaria partecipazione di giovani alle esequie di Giovanni Paolo II. Poi gli studi secondo cui l’astensione «consapevole» è stata ampiamente maggioritaria tra i giovani della fascia 18-25 anni nel referendum sulla fecondazione assistita. Ora il record italiano di Colonia: gli italiani – da centoventimila a duecentomila, i conti si faranno alla fine – sono il nucleo più consistente fra i partecipanti alle Giornate Mondiali della Gioventù.
Il dato rilancia il dibattito sullo stato di salute del cristianesimo e della secolarizzazione in Italia.

Naturalmente se su qualche prato di Colonia si troverà uno spinello o un preservativo leggeremo le solite diatribe sulla partecipazione meramente “turistica” o superficiale di molti giovani alla kermesse pontificia. Ma chi ha partecipato anche a una sola GMG sa che i sacrifici sono reali, il “turismo” è tutt’altro che comodo e la partecipazione della stragrande maggioranza dei ragazzi convinta e sincera.
Tutt’altro discorso è se, tornati da Colonia, questi giovani andranno a Messa tutte le domeniche o seguiranno il magistero morale del Papa.


Paradossalmente, spesso sono i sacerdoti e alcuni vescovi a mostrarsi più scettici. I sociologi hanno posizioni più sfumate, perché conoscono le statistiche. Secondo l’autorevole “Indagine Mondiale sui Valori”, diffusa nel 2002 e terza di una serie iniziata nel 1980, dall’inizio del papato di Giovanni Paolo II (1978) al suo ultimo anno la pratica religiosa italiana con cadenza «almeno mensile» dei giovani tra i 18 e i 25 anni è risalita da meno del 20% a oltre il 30%.
Una buona dozzina di studi sociologici nostrani ha cercato di mostrare che i dati dell’“Indagine Mondiale” sopravvalutano la pratica religiosa giovanile in Italia, ma le correzioni apportate sono di lieve entità. Certamente, i giovani che vanno a Messa «tutte le settimane» sono di meno. Ma una pratica «almeno mensile» è comunque un segno di voler rimanere in contatto con la Chiesa. Dunque i funerali di Giovanni Paolo II o le Gmg di Colonia non sono rondini che non fanno primavera. Un «effetto Wojtyla» – che distingue l’Italia da Francia, Spagna e altri Paesi – ha riportato molti giovani, se non del tutto dentro, almeno più vicini alle chiese, e sembra continuare con Benedetto XVI.


C’è però un rovescio di medaglia, su cui gli scettici hanno in parte ragione. Questa discreta pratica religiosa dei giovani non si traduce in comportamenti conseguenti. L’Italia avrà nel 2005 il più basso tasso di natalità del mondo. Il numero di giovani che dichiarano di avere rapporti sessuali prima del matrimonio è in linea con la media europea. E la maggioranza dei giovani dichiara di non tenere particolarmente conto della religione quando vota alle elezioni politiche.
I sociologi, quando misurano la secolarizzazione, parlano in inglese di tre B: “believing” (credere nell’esistenza di Dio o comunque di un potere superiore), “belonging” (appartenere, cioè mantenere il contatto con le istituzioni religiose) e “behaving” (comportarsi in modo conseguente alla fede). Sappiamo da sempre che alla credenza in Dio non corrisponde necessariamente la pratica religiosa. L’Italia mostra anche che alla pratica spesso non corrisponde il comportamento. Ridurre la contraddizione fra comportamenti e partecipazione religiosa è la vera «nuova evangelizzazione» di Benedetto XVI.


I giovani italiani, più di altri, si muovono per ascoltarlo: la sua sfida è convincerli a comportarsi di conseguenza.