(ACNews) S. E.Gregory: ”Dichiarazione sulla guerra con l’Iraq”

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ACNews 007-2003 – “Dichiarazione sulla guerra con l’Iraq” del Presidente della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti d’America

Milano, 4 aprile 2003. S. E. mons. Wilton Daniel Gregory,
vescovo di Belleville, nell’Illinois, e presidente della
Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti
d’America, il 19 marzo 2003 ha resa pubblica una
Dichiarazione sulla guerra con l’Iraq,
che traduciamo da www.usccb.org/sdwp/peace.
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Dichiarazione sulla guerra con l’Iraq

Il nostro Paese è sull’orlo di una guerra. Abbiamo lavorato,
pregato e sperato che questa guerra potesse essere evitata.
Ora occorre lavorare, pregare e sperare che le letali
conseguenze della guerra siano limitate, che la vita dei
civili sia protetta, che le armi di distruzione di massa
vengano eliminate, e che il popolo iracheno possa presto
godere di una pace in libertà e giustizia.

Un tempo di preghiera e solidarietà

In tempo di guerra i nostri primi doveri sono la preghiera
e la solidarietà. Preghiamo per tutti coloro che sono
colpiti più direttamente da questa guerra: gli uomini e le
donne che rischiano la propria vita al servizio del nostro
Paese, le loro famiglie e i loro cari che vivono momenti di
paura e di ansia, e i cappellani che li servono, il popolo
iracheno, che soffre da lungo tempo, e coloro che faticano
per far fronte alle sue esigenze umanitarie.
Tutti noi dovremmo fare il possibile per tendere la mano,
nella solidarietà, a tutti coloro che soffriranno a causa
di questa guerra.

L’obbligo dell’Iraq di disarmarsi

Dopo la Guerra del Golfo abbiamo esortato in modo molto
chiaro i responsabili iracheni ad abbandonare gli sforzi
per sviluppare armi di distruzione di massa e ad adempiere
l’obbligo di distruggere tali armi.
Siamo stati anche molto chiari sul fatto che la comunità
internazionale deve assicurare che l’Iraq adempia i suoi
obblighi secondo le risoluzioni delle Nazioni Unite.
Come ha detto il Santo Padre la scorsa domenica
[16-3-2003],
“[…] i Responsabili politici di Baghdad hanno l’urgente
dovere di collaborare pienamente con la comunità
internazionale, per eliminare ogni motivo d’intervento
armato”.

Profondo rammarico perché la guerra non è stata evitata

I responsabili del nostro Paese hanno preso l’importante
decisione di entrare in guerra in risposta alla mancanza
del Governo iracheno nell’adempiere pienamente ai suoi
obblighi.
Proviamo profondo rammarico per il fatto che questa guerra
non è stata evitata.
Continuiamo a sostenere la dichiarazione fatta da tutto il
collegio episcopale lo scorso novembre.
Le preoccupazioni e gl’interrogativi morali della nostra
Conferenza, nonché l’appello del Santo Padre affinché si
trovino alternative alla guerra, sono ben noti e
rispecchiano i nostri giudizi prudenziali circa
l’applicazione della dottrina cattolica tradizionale
sull’uso della forza in questo caso.
Ci siamo preoccupati in modo particolare dei precedenti
che si potrebbero creare e delle possibili conseguenze
di una grande guerra di questo genere nella regione forse
più instabile del mondo.
Riprendendo il monito del Santo Padre secondo cui “la
guerra è sempre una sconfitta per l’umanità” [13-1-2003],
abbiamo pregato ed esortato a cercare mezzi pacifici per
disarmare l’Iraq sotto gli auspici delle Nazioni Unite.

Le decisioni prese riguardo all’Iraq e alla guerra al
terrorismo potrebbero avere implicazioni storiche circa
l’uso della forza, la legittimità delle istituzioni
internazionali e il ruolo degli Stati Uniti nel mondo.
È necessario continuare a verificare il significato morale
di tali questioni vista la loro importanza per forgiare un
mondo più giusto e pacifico.

Il ruolo della coscienza

Pur mettendo in guardia dai potenziali pericoli morali
dell’intraprendere questa guerra, abbiamo anche detto
chiaramente che non esistono risposte facili.
La guerra comporta gravi conseguenze, come potrebbe
comportarle anche il non agire.
Le persone di buona volontà saranno, potranno essere e
sono in disaccordo su come interpretare la dottrina della
guerra giusta e su come applicare le norme della guerra
giusta ai fatti controversi di questo caso.
Comprendiamo e rispettiamo le difficili scelte morali che
devono compiere il nostro Presidente e quanti hanno la
responsabilità di prendere simili gravi decisioni che
riguardano la sicurezza del nostro Paese e del mondo
(cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2309).

Sosteniamo le parole del Catechismo: “Coloro che si
dedicano al servizio della patria nella vita militare sono
servitori della sicurezza e della libertà dei popoli.
Se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono veramente
al bene comune della nazione e al mantenimento della pace”
(n. 2310).
Affermiamo anche che “i pubblici poteri provvederanno
equamente al caso di coloro che, per motivi di coscienza,
ricusano l’uso delle armi” (n. 2311).
Sosteniamo coloro che hanno accettato la chiamata a servire
il loro Paese in modo coscienzioso nelle forze armate e
ribadiamo il nostro antico appoggio a coloro che scelgono
l’obiezione di coscienza e l’obiezione di coscienza
selettiva.

La condotta morale della guerra

Una volta presa la decisione di usare la forza militare,
occorre osservare gli obblighi morali e legali della
condotta della guerra.
Gli Stati Uniti e i loro alleati sono in guerra con un
regime che ha dimostrato e che, temiamo, continuerà a
dimostrare disprezzo per la vita dei civili e per le
norme tradizionali che governano l’uso della forza.
Questa è una ragione in più perché la nostra nazione
sostenga e rafforzi tali valori con le proprie azioni.
Mentre riconosciamo e accogliamo con piacere la
migliorata capacità e l’impegno di evitare vittime
civili, occorre fare tutto il possibile per assicurare
che lo sforzo di ridurre il rischio per le forze
militari statunitensi sia limitato da una valutazione
attenta delle necessità militari e dal dovere di
rispettare la vita e la dignità dei civili iracheni,
che hanno già sofferto molto a causa della guerra,
della repressione e di un embargo debilitante.

Ogni decisione di difendersi contro le armi di
distruzione di massa irachene utilizzando le nostre armi
di distruzione di massa chiaramente sarebbe
ingiustificata.
L’uso di mine antiuomo, di bombe a grappolo e di altre
armi che non possono distinguere fra soldati e civili,
o fra tempo di guerra e tempo di pace, dovrebbe essere
evitato.
In tutte le nostre azioni belliche, inclusa la
valutazione sul fatto che il “danno collaterale” sia
proporzionato, dobbiamo attribuire alla vita e alla
sussistenza dei civili iracheni lo stesso valore che
attribuiremmo alla vita e alla sussistenza della
nostra famiglia e dei nostri concittadini.

Sollecitudini umanitarie e impegni post-bellici

Una popolazione irachena già vulnerabile potrebbe
dover affrontare nuovi e terribili fardelli durante
questa guerra, e una regione già piena di conflitti e
di profughi potrebbe trovarsi di fronte ad altri
conflitti e a un numero ancora maggiore di persone
sfollate che non hanno dove andare.
Anche in mezzo al caos della guerra occorre compiere
ogni sforzo possibile per prevenire i conflitti
interni e proteggere i gruppi vulnerabili.
È nostra grande sollecitudine che siano attivate
risorse adeguate e piani efficaci per far fronte alla
crisi umanitaria in Iraq che, almeno a breve termine,
sarà aggravata dalla guerra.
Gli Stati Uniti, operando con le Nazioni Unite, le
organizzazioni assistenziali private e tutte le parti
interessate, hanno il gravoso compito di provvedere,
prima e dopo la guerra, ai prigionieri di guerra e
alla popolazione civile, in particolare ai profughi
e agli sfollati.
Le agenzie di assistenza cattoliche continueranno a
fare tutto il possibile per rispondere ai bisogni
del popolo iracheno.

Gli Stati Uniti devono anche accettare la
responsabilità a lungo termine di aiutare gli iracheni
a costruire nel loro Paese una pace giusta e duratura,
affrontando al contempo anche le numerose e gravi
questioni irrisolte del Medio Oriente, in particolare
il conflitto israelo-palestinese.
La guerra e la ricostruzione in Iraq non devono condurre
all’abbandono delle responsabilità della nostra nazione
verso i poveri in patria e all’estero o allo storno di
risorse fondamentali da altre emergenze umanitarie nel
mondo.

In tempi come questi ci rivolgiamo a Dio chiedendogli
saggezza e perseveranza, coraggio e compassione, fede
e speranza.
Noi cristiani siamo chiamati a essere “sentinelle della
pace”, come ci ricorda il Santo Padre [23-2-2003].
Ci uniamo a lui nell’esortare i cattolici a dedicare
questo tempo quaresimale alla riflessione, alla preghiera
e al digiuno, affinché le prove e la tragedia della
guerra siano presto sostituite da una pace giusta e
duratura.

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© per la traduzione di www.alleanzacattolica.org