(Intervista a cura di Josef Joffe – “La Stampa”, 5 settembre 2002) Sono passati quasi dieci anni da quando lei scrisse «Scontro di
civiltà», un articolo per «Foreign Affairs» che ottenne un
successo clamoroso in tutto il mondo e che nel 1996 è stato
pubblicato in forma di libro e tradotto in 32 lingue.
L´11 settembre è stato per lei una conferma?
«In un certo senso sì».
In effetti sembrava un´illustrazione perfetta della sua tesi:
non una guerra fra Stati come nell´Ottocento, né una guerra fra
ideologie come nel Novecento, ma l´attacco di un gruppo islamico
isolato contro il simbolo della civiltà occidentale, l´America.
«Proprio così. Si è trattato di persone che in modo deliberato
si sono identificate con un ramo della civiltà islamica. Lo
stesso Osama bin Laden si è sempre espresso in termini di “lotta
fra culture”».
Per Osama si trattava però di una «guerra contro cristiani e
ebrei»…
«Esatto, ma non bisogna dimenticare che si è trattato di uno
scontro circoscritto. Come ho già detto subito dopo l´11
settembre, solo se le società e i governi islamici si
schierassero con bin Laden ci sarebbe il rischio di uno scontro
mondiale».
Durante la Guerra del Golfo una parte del mondo arabo si è
schierato a fianco dell´America contro l´Iraq. Oggi, al
contrario, di fronte alla prospettiva di un secondo attacco
americano all´Iraq, quasi tutto il mondo musulmano è contro
America e Israele. Lo scontro fra civiltà si fa più acuto?
«Il potenziale per un vero e proprio scontro c´è, anche perché
nella lotta delle culture si sono aggiunti altre due fattori:
l´escalation del conflitto fra Pakistan e India e la seconda
Intifada. I musulmani di tutto il mondo si identificano con i
palestinesi».
Una frase famosa del suo articolo dice: «L´Islam ha dei confini
di sangue». Può spiegarcene il motivo?
«Non perché l´Islam sia sanguinario di fondo. Ci sono più fattori
in gioco. Uno è il sentimento storicamente condiviso fra i
musulmani di essere stati soggiogati e sfruttati dall´Occidente.
Un altro è il rancore per forme concrete della politica
occidentale, soprattutto per il sostegno che l´America dà allo
Stato di Israele.
Il terzo fattore è il “rigonfiamento demografico” nel mondo
arabo.
Il gruppo più consistente è fra i 15 e 30 anni. Questi giovani
non trovano lavoro nei Paesi di nascita. Tentano di andare in
Europa o si lasciano reclutare per la lotta contro i
non-musulmani. Al Qaeda paga molto bene».
Intende dire che lo scontro fra le civiltà è una lotta
demografica alimentata dalla disoccupazione di massa dei
giovani?
«Le società “vecchie” non conducono guerre».
L´Europa è pacifica perché è vecchia e stanca?
«Gli europei erano molto violenti cent´anni fa, quando il
loro profilo demografico assomigliava a quello del mondo arabo.
Il massacro della Prima guerra mondiale era possibile solamente
perché c´erano così tante persone da massacrare. Ma non
esaltiamo troppo questo fattore. Nel 2020 questo fenomeno sarà
ridotto e ciò renderà più facile avere rapporti pacifici con
l´Islam».
Crede che, se gli Stati Uniti ritirassero il loro appoggio a
Israele, l´Islam perderebbe uno dei suoi «confini di sangue»?
«I “confini di sangue” si riferiscono a un fenomeno più ampio
del conflitto fra israeliani e palestinesi. Ma è giusto che i
musulmani ritengano che gli Usa siano di parte, e che gli Usa
chiamino la sicurezza d´Israele un interesse nazionale».
Che cosa dire di tutti gli altri conflitti che mobilitano
musulmani contro non-musulmani? Bernard Lewis vede nell´Islam
la reazione storica di un vecchio rivale contro la nostra
eredità giudaico-cristiana, la nostra presenza secolare, e la
diffusione mondiale di entrambi questi due elementi.
«La rivalità storica esiste fin dal settimo secolo, dalla
nascita dell´Islam e dalla conquista islamica dell´Africa del
Nord, del Medio Oriente e di vasti territori europei. E´
cambiato tutto nell´Ottocento, quando l´Occidente cominciò a
colonizzare il Medio Oriente e portò avanti l´opera fino al
Novecento».
Lei stesso ha parlato di un´ostilità islamica nei confronti di
idee occidentali: individualismo, liberalismo,
costituzionalismo, diritti umani, equità dei sessi, democrazia.
«Dobbiamo distinguere fra varie correnti e gruppi. Naturalmente
esistono musulmani che condividono tutti questi valori
occidentali. Ma purtroppo sembra che dappertutto queste fazioni
siano in minoranza, con poco potere e possibilità d´influenzare.
Gran parte dei governi nel mondo islamico sono dittature».
Dunque si tratta di una collisione fra sistemi di potere?
«La domanda è: perché non esiste democrazia nei Paesi islamici?
Forse il motivo è culturale. Ma se guardiamo all´Islam nella
sua interezza, vediamo che la Turchia, ad esempio, è una forma
di democrazia, e anche il Pakistan ha avuto forme democratiche.
Non credo che l´Islam sia di per sé antidemocratico».
Solamente l´Islam arabo è antidemocratico?
«È vero che lì non esiste Stato democratico, tranne il Libano.
Ma il Libano era più cristiano che musulmano. Quando i rapporti
di maggioranza sono cambiati è scattata la guerra civile.
Ciononostante esistono grandi differenze fra i 40 Paesi
islamici».
Lei ha parlato anche di un nesso «islamico/confuciano», vedi il
flusso di armi dalla Cina e dalla Corea del Nord al Medio
Oriente. E´ un nesso culturale oppure si tratta di Realpolitik?
«La base sono gli interessi comuni. Le due culture sono molto
diverse».
Dunque gli interessi pesano più della cultura?
«Gli interessi si riferiscono a un avversario comune, gli Usa.
Forse anche all´Occidente intero. La politica di potere non
finisce mai. Ma viene rafforzata da cultura e religione,
sebbene queste non riescano a spiegare tutto. Vedi l´alleanza
fra la Turchia e Israele».
Ci sono altri esempi in contraddizione con la sua tesi dello
scontro fra le civiltà. Lei descrive la Russia come centro
del «cristianesimo orientale». Non le sembra che questa
cultura orientale si stia spostando decisamente verso Ovest?
«Da Pietro il Grande la Russia ogni tanto l´ha fatto.
Occidentalizzazione e modernizzazione sono un vecchio motivo
della storia russa. Ma c´è anche il motivo contrario, il
motivo “slavo”, secondo cui la Russia ha una destinazione del
tutto divergente dall´Occidente. Questa corrente del resto si
può trovare anche nel bolscevismo: “Siamo diversi e migliori,
siamo il futuro e seppelliremo l´Occidente”».
E il putinismo?
«Il putinismo si distingue dallo eltsinismo, che si era
identificato ideologicamente e culturalmente con l´Ovest.
Putin è solo un pragmatico. Quando gli va, coopera con gli
Usa. Allo stesso momento riesce a fare anche il contrario,
come dimostra la sua attuale politica nei confronti di Iran,
Iraq e Corea del Nord».
I conflitti all´interno delle culture possono essere più gravi
di quelli tra le culture. Da un lato l´Iraq ha aggredito il
Kuwait e l´Iran, dall´altro la Turchia fa pressione per entrare
nell´Ue cristiana.
«Sicuramente esistono seri conflitti all´interno dello stesso
Islam. La Turchia, ad esempio, sta tentando da vent´anni di
entrare nell´Ue, ma sta sempre in lista d´attesa, mentre
Polonia, Repubblica Ceca, Lettonia entreranno. Questo perché
l´Unione non crede – sulla base di ragioni culturali – che la
Turchia debba entrare».
Che c´è in comune fra l´Islam delle ex repubbliche sovietiche
e quello di Egitto e Iraq?
«Tutti sono musulmani, e tutti hanno movimenti fondamentalisti
e regimi estremamente autoritari. La cosa interessante dell´ex
blocco sovietico è che democratizzazione e riforma economica si
muovono lungo linee culturali molto precise. Tutti i Paesi che
appartenevano all´Europa centrale oggi manifestano grandi
progressi. Le culture ortodosse di Bulgaria, Bielorussia e
Ucraina sono invece più lente nel processo di riforma. Ma
l´Albania musulmana e i Paesi dell´Asia centrale sono ancora
molto più lontani dal raggiungere successi di riforma minimi».
Non c´è anche una spaccatura nel mondo occidentale malgrado la
cultura comune? I conflitti fra Europa e Usa sono sempre più
frequenti, vedi Kyoto, l´Aja e il rifiuto dell´Europa di entrare
in guerra contro l´Iraq?
«Prima di tutto si deve distinguere fra cultura e struttura, la
struttura del potere globale. Durante la guerra fredda c´erano
due superpotenze, adesso ne è rimasta una, e in più una dozzina
di poteri regionali (Europa, Cina, Russia, India ecc.). Fra
questi e la superpotenza c´è un costante potenziale di
conflitto».
Dunque la struttura pesa più della cultura?
«Non è proprio così. Gli Usa e l´Ue condividono una cultura
occidentale, ma la logica della cultura lavora contro la
logica del potere. Dopo l´11 settembre gli europei si sono
sentiti parte di una comune cultura occidentale e hanno dato
vita a una grande ondata di solidarietà. Adesso però sta di
nuovo prevalendo la logica del potere, insieme alle vecchie
divergenze. Poi c´è un altro aspetto del conflitto di potere.
I poteri secondari che si sottraggono al potere principale
della loro regione di riferimento, si appoggiano agli Usa
come partner naturale».
Sta pensando alla Gran Bretagna?
«Sì, visto che anche culturalmente è il paese più vicino agli
Usa. Ma anche Polonia, Ucraina e Uzbekistan saranno sempre
filoamericani, perché non vogliono tornare sotto il predominio
russo».
E´ sempre la classica politica degli equilibri mondiali quella
che conta?
«No. Entrambe le cose sono rilevanti. Le fratture più pericolose
sono quelle in cui si sovrappongono differenze di potere e
differenze culturali. Usa e Ue non entreranno mai in guerra
l´una contro l´altra. India e Pakistan invece possono, come
anche Israele e gli arabi o Cina e Stati Uniti».
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Pagina Cesnur – Dal fondamentalismo islamico a Osama bin Laden:
http://www.cesnur.org/2001/osama/default.htm