Gnocchi-Palmaro, Il pianeta delle scimmie

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\"\"Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, Il pianeta delle scimmie: manuale di sopravvivenza in un mondo che ha rifiutato Dio, Piemme 2008, ISBN 978-88-384-6827-8, Prezzo €14,50, pag. 256

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Mario Rossi è un astronauta italiano, spedito nello spazio il 10 ottobre del 1962. Rossi si risveglia dopo un lungo viaggio, sono trascorsi molti anni e si ritrova su un pianeta molto strano, nel quale gli abitanti hanno usi e costumi incredibilmente diversi dalla Terra. Solo dopo molte vicissitudini l’astronauta Rossi scoprirà, con sgomento, di essere atterrato in realtà proprio sulla Terra, trasformatasi in pochi decenni nel “pianeta delle scimmie”, dove gli uomini si sono involuti, rinnegando Dio e tutto ciò che di più bello e sacro essi avevano custodito per secoli.
E’ questa la trama del nuovo, provocatorio e inquietante, libro di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro. A partire dal racconto del viaggio immaginario di Mario Rossi, Gnocchi e Palmaro tornano a parlarci dell’uomo e della donna, della Chiesa e della politica, del lavoro e della famiglia, sempre guidati dalla bussola della dottrina cattolica e dalla critica senza sconti alla modernità. Il tutto condito da una vena umoristica che accompagna ogni pagina e che culmina nell’ormai classico “test finale” per conseguire il “brevetto di astronauta cattolico”.
Per gentile concessione dell’editore, proponiamo di seguito un capitolo del libro. NON TENGO FAMIGLIA
Ovvero il suicidio della civiltà occidentale

Cosmonauta Mario Rossi
a Pianeta Terra
Oggi sono entrato in un bar per farmi una birra, e ho incontrato un uomo simpatico che ha subito attaccato bottone con me. Siccome teneva in spalla due zainetti colorati, gli ho chiesto se per caso stesse partendo per la montagna.
“No, no”, mi ha detto ridendo. “Sono gli zaini di mia figlia, che è salita a prendere una cosa da sua madre”. “Cioè da sua moglie” l’ho corretto io.
“Dalla mia ex moglie – ha ridacchiato lui – perché siamo divorziati da quattro anni. La figlia sta con lei dal lunedì al venerdì. Poi, il sabato, io vado a prenderla a scuola, e allora lei viene con due zaini: uno con i libri e i quaderni, l’altro con la biancheria e il pigiama per dormire da me”. “Scusi – gli ho chiesto – ma la ragazzina non soffre di questa situazione?” Allora ha sgranato gli occhi e mi ha guardato con aria meravigliata: “Soffrire? Ma sta scherzando? Per lei è una cuccagna: io la porto sempre al luna park insieme con la mia attuale compagna e ci divertiamo un mondo. Così anche la mia ex nel week-end se la spassa un po’ con il suo uomo. Insomma: alla fine siamo tutti contenti così.” Ma, nel dire queste parole, non rideva più.

Qualcuno potrebbe pensare: vabbè, ma che esagerati, questi due! D’accordo che il nostro non sarà il migliore dei mondi possibili. Però, dipingerlo addirittura come il pianeta delle scimmie, come un posto degradato e imbarbarito, dove gli uomini si sono ridotti a vivere come degli animali, dove la virtù è un vago ricordo; beh, questa è davvero troppo grossa. In fondo, la modernità ci ha dato tante cose utili e belle, che una volta non c’erano. E poi: siamo così sicuri che “si stava meglio quando si stava peggio”, e che la società dei tempi andati fosse migliore di quella odierna? Nulla di nuovo sotto il sole: abbiamo qualche problema, né più né meno che i nostri antenati. Noi uomini del terzo millennio abbiamo qualche problema ma, alla fine, ce la caveremo anche questa volta.
Obiezione di tal fatta non vanno assolutamente sottovalutate, perché rappresentano in maniera esemplare il succo della modernità: e cioè, convincere la gente che la storia dell’umanità è sempre evolutiva, che procede in ogni caso verso il progresso, e che la tradizione è una bubbola per gli ignoranti. Così la gente comincia a pensare che quelli che ci hanno preceduto erano degli zotici, e noi siamo migliori di loro perché siamo “moderni”. Il tutto, corroborato dalle scintillanti conquiste della tecnologia e della scienza.
In effetti, vivere nel terzo millennio ha degli indubbi vantaggi: si campa più a lungo, si gode di una salute in genere migliore, si hanno a disposizione cibo e vestiti in abbondanza, si vive in case riscaldate adeguatamente e addirittura rinfrescate e climatizzate. A noi queste comodità non dispiacciono, non facciamo la vita dei trappisti e usiamo l’automobile e perfino l’aereo (di linea). Però, c’è un piccolo problemino cui la gente sembra non prestare attenzione. Tutte queste cose magnifiche che il progresso ci ha messo a disposizione servono per migliorare il benessere, letteralmente “lo stare bene” dell’uomo. E non è cosa da poco, né da disprezzare. Ma tutte queste cose non danno la felicità. Nemmeno un granello di felicità.
L’uomo è infatti una faccenda complicata, il frutto di una sapienza che solo Dio poteva dimostrare. Se io ho le scarpe bucate, e un vestito liso e consunto, ma ho una donna che mi ama e che mi aspetta a casa, sono felice. Se io ho le scarpe più belle del mondo, abiti firmati, e una Ferrari fiammante, ma la donna che amo mi ha piantato in asso, non sono felice. Sarà un esempio da Novella Tremila, ma rende benissimo il concetto: la modernità, con tutto il suo apparato di confort e di progresso, è impotente di fronte al mistero dell’animo umano e del suo inesauribile desiderio di felicità.
Quando noi diciamo che questo posto meraviglioso in cui viviamo si sta trasformando nel “Pianeta delle scimmie”, intendiamo dire proprio questo: che nonostante tutte le ricchezze e le meraviglie di cui ci stiamo circondando, abbiamo imboccato da tempo la strada che porta alla riduzione in schiavitù dell’uomo. Al suo “imbestiamento”. Siamo circondati di persone più ricche e più eleganti di un tempo; ma queste stesse persone hanno situazioni famigliari che sembrano Dresda dopo il bombardamento americano del ’45: un cumulo di tizzoni fumiganti tra i quali si aggirano alcuni disperati sopravvissuti.
Nel maggio del 2008, l’Istituto di Politica Familiare (IPF) ha presentato al Parlamento europeo un rapporto sulla evoluzione della famiglia nel vecchio continente. Il quadro che se ne ricava è il seguente: un aborto ogni 27 secondi, un divorzio ogni 30 secondi. Quasi un milione di nascite in meno rispetto al 1980. L’aborto è – insieme al cancro – la principale causa di mortalità in Europa. L’evoluzione demografica dell’Europa vede una crescita di 14,2 milioni di persone tra il 2000 ed il 2007, ma di queste ben 12 milioni, cioè l’84%, sono immigrati. L’Italia ha crescita naturale negativa di -0,2 milioni, ma una immigrazione di 2,9 milioni di persone. Tre nuovi immigrati su cinque vanno in Spagna o in Italia. Le previsioni sono che, nonostante questa immissione di immigrati, dal 2025 la popolazione europea comincerà a scendere. La percentuale di giovani sta calando in maniera enorme. I giovani minori di 14 anni erano 94 milioni nel 1980, e sono 74 milioni nel 2007. Con una perdita netta di 20 milioni di giovani. Al contrario, la popolazione di età superiore ai 65 anni era di 57 milioni nel 1980 ed era di 80 milioni nel 2007. Bulgaria, Germania, Slovenia e Italia sono i paesi con il minor numero di giovani. Allo stesso tempo, Italia, Germania e Grecia sono i paesi con il maggior numero di anziani. Drammatica la situazione delle nuove nascite: nel 2007 le nascite sono inferiori di circa un milione (920.089) a quelle del 1982. In Europa, la fecondità è di 1,56 figli per donna, inferiore a quello di crescita zero che è di 2,1 figli per donna. In termini di confronto, negli Stati Uniti la fecondità è di 2,09 bimbi per donna. A causa dell’aborto si perde ogni anno in Europa una popolazione equivalente a quella di Lussemburgo, Malta, Slovenia e Cipro. Uno ogni cinque bambini concepiti, cioè il 20%, non vede la luce del giorno: delle 6.390.014 gravidanze del 2006, 1.167.683 sono terminate in un aborto. Gli aborti di Francia, Regno Unito, Romania, Italia, Germania e Spagna rappresentano il 77% del totale. La Spagna da sola ha raddoppiato il numero di aborti tra il 1996 ed il 2006. I matrimoni sono in caduta vertiginosa: tra il 1980 ed il 2006 ci sono stati 737.752 matrimoni in meno. Gli europei si sposano poco e sempre più tardi. La media è di 31 anni per l’uomo e 29 per la donna. Uno ogni tre bambini nasce fuori del matrimonio. Ci sono più di un milione di divorzi all’anno, con una cadenza di un divorzio ogni trenta secondi. Dal 1996 al 2006 i divorzi sono stati circa 10,1 milioni, ed hanno coinvolto 15 milioni di bambini. Belgio, Lussemburgo e Spagna sono i paesi con il maggior numero in percentuale di divorzi. Per ogni due matrimoni c’è un divorzio. Le famiglie sono sempre meno numerose: ci sono 2,4 membri per coppia, mentre 54 milioni di persone vivono sole. Se questo è il quadro del vecchio continente, lo scenario oltre oceano non deve essere molto diverso, se un senatore degli Stati Uniti, il Colonnello North, ha dichiarato: “Il più grande problema che vedo in questo Paese non è vincere la guerra contro il terrorismo. Il vero problema riguarda gli uomini, che non hanno più la responsabilità per i bambini che hanno generato”.
Insomma: torniamo al “teorema delle scarpe bucate”. E’ molto probabile che un statistica sulla situazione delle calzature indossate oggi dagli europei ci direbbe che pochissime presentano delle suole bucate, a differenza di quanto accadeva cent’anni fa. Ma che gli europei siano più felici, o felici almeno quanto lo erano ai tempi in cui indossavano scarpe bucate, beh, abbiamo ragione di dubitarlo fortemente.
La nostra civiltà è così sazia e disperata, da inseguire con crescente impegno tutte quelle strade che conducono alla sua autodistruzione. Non paga di attraversare una crisi della famiglia e del matrimonio senza precedenti, l’Europa nichilista e anticristiana si abbandona a un patologico cupio dissolvi che oscilla – paradossalmente – tra la sudditanza alla cultura islamica e l’elogio dello stile di vita gay. Nel 2007 il Comune di Roma – guidato da Walter Veltroni – ha concesso il suo patrocinio al progetto “Smontiamo i bullismi, impariamo a convivere”. Si tratta di un percorso formativo promosso e realizzato dal circolo di Cultura omosessuale Mario Mieli in sei scuole superiori della Capitale per combattere “il machismo e l’omofobia”. Ovviamente, in cattedra vanno i teorici (e forse anche i pratici…) della normalità e della bellezza dell’essere gay.
Saltando dall’altra parte dell’Oceano, precisamente in Nebraska, scopriamo che gli americani hanno prodotto un cartone animato “didattico” per bambini, nel quale entrambe i genitori sono dello stesso sesso. Il cartoon è stato inventato da due esperte del genere: una coppia di mamme simbolo dei diritti gay al femminile.
Tornando nel vecchio continente, nel febbraio 2008 il governo laburista inglese ha deliberato il pagamento di assegni familiari ai poligami, in modo che i musulmani residenti sul suolo di Albione possano riscuotere un tot per ogni moglie a carico. E’ la certificazione del riconoscimento legale della poligamia. Al quale si è accodata anche la esangue e moritura chiesa anglicana, visto che l’arcivescovo di Canterbury ha definito “inevitabile” il provvedimento delle autorità britanniche.
In effetti, di fronte a questo delirio della ragione innescato dalla secolarizzazione galoppante, ciò che più sconcerta è l’arrendevolezza (o addirittura la complicità) di certi cristiani.
Un esempio in casa cattolica. Nel 2007 l’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi ha scritto una lettera pastorale agli sposi in situazioni problematiche: separati, divorziati, risposati. Il documento non contiene errori dottrinali espliciti, ma è certo che presta il fianco a una interpretazione “politica”: la diocesi di Milano vorrebbe fare qualcosa di più per i divorziati risposati, nonostante i “freni” della retrograda posizione cattolica romana. Insomma: con l’argomento (sacrosanto) che bisogna voler bene anche ai divorziati, si legittima il divorzio.
Prova ne sia che sul numero di maggio 2008 di un bollettino parrocchiale – prelevato nel duomo di una bella città situata nella diocesi che fu di Ambrogio – si può leggere l’articolino di una donna nel quale si tesse l’elogio della separazione. “Il solo pensiero – scrive la donna – che i miei figli potessero pensare che quello che vedevano tutti i giorni di fronte ai loro occhi fosse un’unione basata sulla stima o sull’amore reciproco, mi faceva rabbrividire. Ho pensato che l’unica cosa che potevo trasmettere loro e che potesse placare la mia insofferenza fosse la lealtà, il senso della pulizia e la gioia di vivere nella lealtà e nella sincerità, la capacità di dire la verità a dispetto di convinzioni, di convenzioni ed anche delle richieste religiose se vogliamo: la capacità di scegliere senza mentire”. Insomma: per separarsi ci vogliono un sacco di virtù; per restare insieme, solo la sudditanza a stupide convinzioni e convenzioni. “Non è stato difficile disfare – prosegue la cattolica-separata-ma-sincera – impegnativo sì, però, sapendo che si fa del male all’altro ma che niente è peggiore che fingere un legame ormai morto”. Ed eccoci approdati alla riva dei bravi, alla sponda del più vieto e televisivo “politicamente corretto”: al luogocomunista del “non provo più niente per te”, e del “meglio separarsi piuttosto che vivere nell’ipocrisia”. Si aggiunge poi che la separazione è stata raggiunta consensualmente (il che è davvero molto cristiano) e che “oggi i miei figli possono vedere il padre tutte le volte che lo desiderano”. Però, che fortuna.
“Per la mia vita – spiega madre-coraggio – certamente desidererei un nuovo compagno, ma credo che non accetterei che qualcun altro, oltre al loro padre naturale, si occupasse dei miei figli”. Insomma: sì a nuovi “legami”, ma senza confusioni di ruoli. Sembra di leggere una rubrica della posta a Maurizio Costanzo. “A volte – dice sempre la signora separata – il confronto con la chiesa (minuscolo) è difficile perché è difficile fare capire la propria posizione a una mentalità, fuori e dentro la visione religiosa, che considera la donna e la maternità come uno stato di debolezza.”
“Per quanto mi riguarda – conclude la donna-separata-educatrice – quello che più mi sta a cuore è la consapevolezza dei miei figli di essere uomini del terzo millennio.” Con una madre così, lo hanno capito oltre ogni ragionevole dubbio.

PUNTO DI RISTORO
“Il mondo ci infarcisce dalla mattina alla sera; gli uomini sono ormai diventati talmente accumulatori di queste balordaggini che, ad avvicinarne uno, si prende la scossa elettrica. Se riflettete, noi ci troviamo tanti pallini nella testa: ce li ha messi il mondo. Pallini sulla personalità, sulla indipendenza, sulla libertà, sulla democrazia: sono i pallini di oggi. Pallini! Se cominciamo a fare una lista dei pallini, ne vien fuori una lunga lista. Stiamo in guardia! Difendiamo la nostra testa, perché se non si difende la propria testa, non si difende nemmeno la propria fede. Per difendere la fede bisogna difendere la testa, la propria capacità critica, il proprio retto giudizio, la propria indipendenza dai complessi di inferiorità imbibiti dagli altri”
Cardinale Giuseppe Siri, Esercizi spirituali, 1978.