(Giornale del Popolo) Cristiani i fuga dalla Terra Santa

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“Giornale del Popolo” del Canton Ticino, 28.11.2002

La testimonianza di padre Giacomo Danesi, per molti anni guida di migliaia
di ticinesi in Palestina

di Luigi Maffezzoli Padre Giacomo Danesi è un biblista, profondo conoscitore della Terra Santa.
Si è formato a Roma (suo compagno di studi era il cardinale Carlo Maria
Martini) ma da oltre trent’anni organizza e partecipa a pellegrinaggi nelle
terre descritte nell’Antico e Nuovo Testamento. Ha vissuto quindi tutti i
più recenti avvenimenti accaduti in Israele e in Palestina, e oggi assiste
con sofferenza a ciò che accade in quelle zone.

Com’è la situazione attuale in Terra Santa e come vivono là i cristiani?

«I cristiani vivono il Calvario. Molte famiglie se ne sono andate, molte se
ne vanno. Perché mentre gli altri hanno grandi aiuti dall’esterno, i
cristiani hanno solo qualche aiuto, molto ridotto. Nel paese di Begjara, per
esempio, che prima era totalmente cristiano, le azioni belliche hanno
praticamente distrutto tutto. Betlemme era una città che fino a pochi
decenni fa era considerata a maggioranza cristiana. Adesso la comunità
cristiana è ridotta ai minimi termini. Per fortuna, in Terra Santa ci sono
ancora quelle grandi colonne che sono i Padri Francescani, i quali fanno il
possibile e l’impossibile per trattenere questi cristiani organizzando
istituzioni assistenziali. Per esempio, esiste una buona organizzazione per
dare una casa ai cristiani, voluta da Paolo VI, sullo stile di quelle che
erano una volta le case popolari sussidiate. Sono state aperte case per i
cristiani vicino a Gerusalemme, ma nella situazione presente, questa
iniziativa incorre naturalmente nei peggiori ostacoli. L’unica speranza per
noi è che questa situazione venga superata e si torni ad avere la
possibilità che molti dei cristiani che se ne sono andati possano tornare».

Dove se ne sono andati?

«Scappano dove hanno dei parenti: in America, in Canada, in Australia, in
Europa. Ovunque hanno dei parenti in grado di ospitarli».

Cosa li fa fuggire?

«Soprattutto l’impossibilità di lavorare e quindi di vivere. Gli ostacoli
veri sono che, avendo le case distrutte, avendo distrutto le istituzioni – a
Betlemme e a Gerusalemme avevamo un grande affllusso di pellegrini e questi
davano da lavorare ad alcuni alberghi gestiti da cristiani – la
disoccupazione è altissima. Per molti è diventato impossibile vivere. Quelli
che appena appena possono, se ne vanno».

Il card. Ruini andò l’anno scorso in Terra Santa per dimostrare che è ancora
possibile effettuare pellegrinaggi, invitando i cristiani ad andare in
pellegrinaggio. Lei oggi andrebbe in Terra Santa?

«Io oggi – se c’è un gruppo organizzato – ci vado. Però organizzare io non
me la sento, perché c’è insicurezza. Questi atti di terrorismo, questi
kamikaze che possono sparare in ogni situazione, sono ovunque. Uno potrebbe
dire: non vado Tel Aviv, ma chi lo può dire che sulle vie ci sia sicurezza?
Chi vuole colpire, colpisce dove vuole».

Lei andrebbe allora solo per portare una testimonianza?

«Una testimonianza e anche aiuti. Io ricevo vari aiuti e varie offerte, non
eccessivamente grandi perché sono un privato: parlo nell’ordine di centinaia
e migliaia di dollari o di euro. Andrei volentieri a portare aiuti anche se
sono gocce nel mare. Betlemme che un tempo era una città praticamente tutta
cristiana, era rimasta ancora cristiana solo per la metà cristiana. Adesso è
musulmana, perché la comunità islamica è aiutata dai Paesi del Golfo e dal
mondo islamico. I cristiani hanno poco o niente: abbiamo degli aiuti per
esempio dai Cavalieri del Santo Sepolcro, ma sono poco più che gocce nel
mare. Quando si va a Betlemme, si vede un nostro albergo sventrato dalle
bombe e lì non si lavora. Al Nôtre Dame, che appartiene alla Santa Sede,
c’erano oltre 150 dipendenti. Adesso sono stati tutti licenziati, dopo che
per mesi sono stati pagati al 75%, poi al 20%. Non ci sono più entrate: chi
aiuta a mantenerli? Devo però dire che oggi non avrei la minima difficoltà
ad accompagnare dei gruppi che riducono i programmi del viaggio. Se ci
fosse, per esempio, da visitare la Galilea, oppure Nazareth, Gerico,
Tiberiade, non avrei problemi. Ma se si tratta di andare a Betlemme, chi si
può fidare? La gente non guarda il card. Ruini, guarda la televisione».

Si può intravedere una via di sbocco al dramma che si consuma in Palestina?
Se sì, quale può essere?

«Attualmente una via di sbocco non c’è. Però ci sarebbe abbastanza
facilmente se tutte le nazioni facessero pressioni su questi organismi
internazionali perché si facesse la pace. Si scontrano due fondamentalismi,
due totalitarismi ideologici. Sia l’Islam, sia Israele. Non dico chi dei due
abbia più ragioni, perché è una questione che coinvolge la politica, la
storia e molte altre cose. Ma oggi, soprattutto con la via dello scontro
imboccata, questo non porta a nessuna soluzione. Abbiamo brutalità da una
parte e dall’altra. Non possiamo accusare l’uno e scusare l’altro. Per me,
l’unica cosa possibile è che coloro che hanno il potere – gli Stati Uniti,
l’Unione Europea, l’ONU – premano perché arrivino ad un’intesa».

Ma non ci troviamo di fronte a due culture inconciliabili?

«Il concetto del perdono l’ha insegnato solo Gesù. Il perdono radicale, non
quello fittizio o furbesco. Il vero perdono che porta a cancellare le
differenze tra i due superando i conflitti, questo è insegnato solo da Gesù.
L’Islam ha il Corano che raccomanda di eliminare i nemici della fede;
Israele vuole eliminare tutti coloro che non vogliono riconoscere che quella
terra è la loro – anche se per duemila anni nessuno ha mai parlato di questa
terra d’Israele – e applica la legge del taglione. La via che l’attuale
governo ha imboccato credo che non sia esattamente quella che porta a delle
soluzioni».

Promuovere nuovi viaggi e aiutare con opere di beneficenza è il contributo
richiesto

Tornare in pellegrinaggio? «Ci andrei subito!»
Padre Danesi, cosa provava ogni volta che andava in Terra Santa?

«Io ho passato tutta la mia vita nell’insegnamento della Bibbia e delle
Sacre Scritture. Per me la Terra Santa è un libro: attraverso le località,
attraverso i luoghi, attraverso le circostanze narrative che si possono
desumere dalla situazione, la Terra Santa è per me un grande libro vivo.
Quando vediamo il Calvario, oppure la Grotta della Natività; o il Monte
Tabor e il Colle delle Beatitudini; quando contempliamo il lago di
Tiberiade – quel lago su cui Gesù ha navigato, che ha una parte così
importante nel Vangelo di Marco – io dico: come possiamo avere di meglio per
poter spiegare? Una volta ero con un famoso giornalista il quale, mentre
navigavamo sul lago di Tiberiade disse: “Ecco la vera Cattedrale! Qui io
vedo oggi quello che vedeva anche Gesù. Perché le città sono cambiate,
mentre il luogo, quello che vedono i miei occhi adesso, è quello stesso
panorama che vedeva Gesù”. Io sarei felice – ormai ho 82 anni, e vado in
Terra Santa dal 1969 – di poter concludere i miei viaggi in Terra Santa
facendo un ultimo pellegrinaggio là. Poi, se invece dell’ultimo fosse il
penultimo, meglio ancora…».

Non vorrebbe fare come il cardinale Martini: ritirarsi a Gerusalemme?

«Io non so cosa lui intenda fare. Martini è un grande uomo, mio compagno di
studi al Biblico. Martini è un grande studioso, un gesuita. Loro a
Gerusalemme hanno una grande base: per lui è un posto ideale. Ma per me, più
che un posto ideale soggettivo, è un posto ideale per insegnare agli altri.
Io sono stato professore e per me l’insegnamento è stato tutto: poter far
vedere delle realtà concrete, la realtà viva della parola di Gesù,
inquadrata nelle circostanze storiche, naturalmente».

Cosa possiamo fare noi, svizzeri e ticinesi, in favore della Terra Santa
oggi?

«Favorire nell’ambito del possibile una ripresa dei viaggi. Senza
naturalmente forzare la gente, perché se ha paura non si può fare niente.
Seconda cosa: aiutare con le opere di beneficenza. Per esempio, la Svizzera
ha quel magnifico ospedale, quella magnifica opera che è il Baby Charitas
Hospital. A Betlemme abbiamo altre due opere meravigliose: la Effetà, voluta
da Paolo VI, e l’Opera per le ragazze madri – che lì altrimenti vengono
eliminate – sostenuta dai Cavalieri di Malta. Aiutare queste opere: altro
non vedo».