Il Papa non è buonista. L’accoglienza non prescinde dalla sicurezza
di Massimo Introvigne (Il Giornale della Libertà, anno 1, n. 23, 9 novembre 2007)
La polemica fra Pier Ferdinando Casini e alcune frange del mondo
cattolico accusate di “buonismo” per il loro atteggiamento nei
confronti degli immigrati ha indotto molti a leggere con attenzione le
poche ma importanti parole dedicate da Benedetto XVI alla questione
dell’immigrazione nell’Angelus di domenica scorsa. “Auspico – ha detto
il Papa – che le relazioni tra popolazioni migranti e popolazioni
locali avvengano nello spirito di quell’alta civiltà morale che è
frutto dei valori spirituali e culturali di ogni popolo e Paese. Chi è
preposto alla sicurezza e all’accoglienza sappia far uso dei mezzi atti
a garantire i diritti e i doveri che sono alla base di ogni vera
convivenza e incontro tra i popoli”.
Parole, come si vede,
molto chiare. Anzitutto, è impossibile impostare con serietà la
questione dell’immigrazione se si rimane nell’angusto orizzonte del
relativismo, secondo cui ogni popolo ha i “suoi” valori e non esistono
valori universali e assoluti. Così, per esempio, il matrimonio
monogamico sarebbe un valore attestato e vissuto da secoli in Occidente
ma non si potrebbe, senza essere razzisti o imperialisti, imporlo a
popoli che da secoli praticano la poligamia. E anche l’atteggiamento
dei nomadi Rom sul rapporto con il territorio e la proprietà privata
(altrui) avrebbe lo stesso intrinseco valore dei principi di legalità
maturati dalla nostra cultura. Non è così. Tutto il magistero di
Benedetto XVI insegna che un’autentica “civiltà morale” si costruisce
intorno a un tessuto di valori che non sono propri di questo o di quel
popolo, ma di “ogni popolo”. Principi come non uccidere, non rubare,
non spacciare droga, rispettare il lavoro e la famiglia non sono
europei o asiatici, italiani o balcanici, cristiani o buddhisti o atei:
sono principi universali, che s’impongono a ogni persona umana in
quanto persona. La Chiesa stessa non li indica come valori che deduce
dal Vangelo: come Benedetto XVI ha ricordato tante volte, i valori
universali possono essere riconosciuti dalla ragione a prescindere da
ogni esperienza di fede, e dunque vincolano anche chi ha una religione
diversa da quella storicamente maggioritaria in Italia o non ne ha
nessuna, senza che questo vincolo costituisca un’oppressione delle
minoranze o un’ingerenza della Chiesa nella vita sociale.
Dai
valori universali che la ragione è capace di riconoscere discendono
“diritti e doveri”. La “vera convivenza” non si può costruire sulla
sola rivendicazione dei diritti. Occorre anche che le persone di
cultura, lingua, abitudini e provenienza diversa che la globalizzazione
porta a convivere sullo stesso territorio si riconoscano pure negli
stessi doveri. Diversamente, la convivenza è sostituita dalla violenza
e dallo scontro di tutti contro tutti.
Certamente sia nel
patrimonio spirituale della Chiesa cattolica sia nell’ethos nazionale
italiano è forte il senso dell’accoglienza del più povero e del più
debole. Ma lo Stato non può orientare la sua politica dell’immigrazione
al solo principio di accoglienza, e infatti Benedetto XVI menziona
insieme “sicurezza e accoglienza”. Buonista è chi parla solo di
accoglienza dimenticando la sicurezza, solo di diritti dimenticando i
doveri, solo di minoranze dimenticando che esistono anche i diritti
delle maggioranze, primo fra tutti quello a una vita sicura e a uno
Stato che ci sappia proteggere dalla violenza quotidiana. Né sono
sufficienti le belle parole. Il Papa ricorda che spetta a “chi è
preposto”, cioè allo Stato, “fare uso dei mezzi adatti” perché anche la
sicurezza, e non solo l’accoglienza, sia garantita. Mezzi adatti
significa politica dell’immigrazione seria e non velleitaria e
pasticciona come è purtroppo quella del governo Prodi, ma anche
tribunali che funzionino e giudici che condannino. Il buonismo – anche
di certi cattolici dalla lacrimuccia facile – è forse buono con il
prepotente e il violento, ma è certamente cattivo con chi della
prepotenza e della violenza è quotidianamente vittima.