Intervista a Gianpaolo Barra: “Il popolo dimenticato dalla
politica”
di Massimo Introvigne (il Giornale della Libertà, anno I, numero
25, 23 novembre 2007) La percentuale di approvazione dell’attuale governo tra i cattolici è la più
bassa nella storia della Repubblica, o almeno da quando si fanno i sondaggi.
Abbiamo dunque pensato di portarci avanti con il lavoro, e di chiedere a una
serie di opinion leader del mondo cattolico che cosa si aspettano da un
diverso governo prossimo venturo. Il mondo cattolico, dopo la fine della
Democrazia Cristiana, si è abituato a non rilasciare più deleghe in bianco, ma a
giudicare ciascun governo dai fatti. È un mondo che in questi ultimi anni è
molto cambiato. Come ha mostrato il Family Day, sono emersi nuovi leader e forme
di aggregazione, più ampie e vive di quelle tradizionali.
Il fenomeno
editoriale – e non solo – di maggiore rilievo negli ultimi anni si chiama Il
Timone. Una rivista che – senza essere venduta nelle edicole – è arrivata
in pochi anni a una circolazione di assoluto rilievo, e intorno alla quale sono
nati decine di circoli in tutta Italia. L’avventura de Il Timone è
inseparabile da quella del suo ideatore e direttore, Gianpaolo Barra, di
Varese. 51 anni, sposato, padre di quattro figli, Barra ha fondato la rivista
nel 1999 e la ha guidata in questi anni a una crescita costante. Nato come
bimestrale, con venti pagine e tremila copie di tiratura, oggi è un mensile, ha
64 pagine e tira quindicimila copie. Gli abbonati sono più di diecimila, il
resto è venduto in qualche parrocchia, in libreria o dai circoli.
“Il
Timone – ci spiega Barra – è un mensile di apologetica popolare, che si
prefigge un duplice compito: presentare le ‘ragioni per credere’, vale a dire
offrire argomenti razionali, accessibili a tutti, anche a chi non crede – o
credendo non è però cattolico – per mostrare la verità, la profondità e la
bellezza del cristianesimo cattolico; e difendere queste ragioni dalle
contestazioni e dagli attacchi”. “Per svolgere al meglio questo compito –
continua Barra – ho chiesto e ottenuto la collaborazione di autori prestigiosi,
tra i quali alcuni prelati noti per il loro coraggio e la chiarezza di idee (il
cardinale Biffi, i vescovi Maggiolini, Negri, Grillo) e scrittori che si sono
conquistati un certo seguito, anche al di fuori del mondo cattolico, per non
avere ceduto di fronte alle tante menzogne che vengono propinate sulla Chiesa,
sulla sua storia e sulla dottrina morale che insegna, dunque autentici apologeti
(Messori, Cammilleri, Corti, Tornielli, Gheddo, Cantoni, Palmaro, Agnoli, e così
via)”.
Chiedo a Gianpaolo Barra che cosa vorrebbe da un “buon governo”, e
quali sarebbero i temi urgenti che un futuro governo dovrebbe affrontare per
ottenere i consenso dei cattolici. La risposta è secca: “Condivido totalmente le
indicazioni offerte, in occasione delle elezioni politiche del 2006, dalla
Conferenza Episcopale italiana, la quale indicava tre criteri fondamentali per
giudicare della bontà di un governo, quelli che sono stati definiti valori non
negoziabili. La tutela e la difesa della vita umana dal concepimento alla morte
naturale. La promozione e la difesa della famiglia ‘naturale’, la cellula
composta da un uomo e una donna uniti in matrimonio e aperti alla vita. La
libertà di educazione, con l’affermazione che il primo soggetto titolare del
diritto di educare è la famiglia stessa, che deve essere posta nella condizioni
di poter offrire ai propri figli il tipo di scuola che si preferisce”.
Ma i
politici hanno capito la lezione del Family Day? Risponde Barra: “Il Family Day
ha mostrato a tutti una realtà della quale spesso i politici non si curano, o
che non capiscono a fondo. E la realtà è questa: esiste un popolo, un popolo
concreto, reale, fatto di uomini e donne, di giovani e adulti, di padri, madri e
figli. Questo popolo c’è, non trova spazio sui grandi media ma esiste, ed è pure
numericamente consistente. Ora, questo popolo, nonostante il dilagare di una
‘cultura’ sciaguratamente laicista, che mira ad abbattere i valori naturali e
cristiani che hanno fatto la nostra civiltà, questo popolo – dicevo – ha dato,
con il ‘Family Day’ un forte segnale di vita, ha fatto capire che è un popolo
reattivo, che vuole dire la sua. A una condizione: che trovi ragioni convincenti
per suscitare una sua mobilitazione – nel caso, la difesa della famiglia
naturale e l’opposizione a quell’obbrobrio giuridico che sono i DICO – e che vi
siano delle guide credibili che sappiano interpretare la sua volontà e che
sappiamo dargli voce. Ecco, un ‘buon governo’ dovrà essere capace di ascoltare
questo popolo, di prestare attenzione privilegiata alle sue istanze e, per il
bene di tutti i governati, tradurre in disposizioni anche di legge i valori nei
quali questo popolo crede”.
Le buone intenzioni, tuttavia, non bastano.
Chiedo a Barra che cosa un “buon governo" non dovrebbe fare. “Non
dovrebbe concedere cittadinanza – risponde – a tutte le pretese, ai desideri,
alle aspettative che non si fondano sul bene comune. Il bene comune non è
un’astrazione, è qualche cosa che la ragione può riconoscere. Una sana dottrina
e l’esperienza della storia lo provano. Per fare qualche esempio: poiché non
c’entra niente con il bene comune di una nazione riconoscere legalmente l’unione
di due uomini, di due donne, o la poligamia, un ‘buon governo’ non consentirà
questa legalizzazione. Un altro esempio: poiché per i cattolici è certo che con
l’aborto si uccide una vita umana nel grembo della propria madre, e poiché è
altrettanto certo che una vita umana innocente è sempre un bene di cui può
usufruire l’intera comunità, un buon governo non dovrebbe essere ‘abortista’.
Certo, non mi nascondo il fatto che anche il miglior governo dovrà fare i conti
con la realtà, e in Italia forse non ci sono oggi e non ci saranno domani le
condizioni politiche per modificare la legge 194, ma questo non impedisce di
porsi in un orizzonte ideale anti-abortista. Da questo orizzonte potranno poi
scaturire le misure politicamente possibili che almeno limitino la piaga
dell’aborto”.