Fanin, laico e martire

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\"Servo«Giuseppe Fanin, insieme a tanti nostri sacerdoti uccisi da un odio insensato e cieco, è una delle pietre immacolate con cui il Signore ha costruito l’edificio delle comunità cristiane dell’Emilia Romagna. Vittime di un disegno insano che pensava di edificare una società di uguali mediante l’uccisione di innocenti. E se a noi sono stati risparmiati anni di disumana devastazione della dignità dell’uomo, come non avvenne in altri Paesi dell’Europa dell’Est, ciò fu dovuto anche al loro sacrificio» .
Lo ha affermato il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, che ieri pomeriggio a San Giovanni in Persiceto ha ricordato ( e qui a fianco riportiamo alcuni brani del discorso) il sessantesimo anniversario della morte del giovane sindacalista, del quale è in corso il processo di canonizzazione.

La sera del 4 novembre 1948 Fanin, 24 anni, si era recato al cinema con la fidanzata. Gli fu detto che tutti i posti erano occupati. Allora la riaccompagnò a casa e poi si avviò in bicicletta verso la propria abitazione. In via Biancolina fu aggredito da tre persone. Colpito ripetutamente con una spranga di ferro, fu abbandonato rantolante sulla strada. Visto da un passante e trasportato in ospedale, morì senza aver ripreso conoscenza. Appena venti giorni più tardi i carabinieri ebbero la confessione del segretario della Sezione Centro del Pci persicetano, il quale ammise di avere ordinato l’aggressione e indicò i nomi dei tre compagni che ne erano stati gli esecutori materiali. Fanin, terzo di dieci figli, era nato a Lorenzatico l’ 8 gennaio 1924. Nel 1943, dopo aver ottenuto il diploma di perito agrario, si iscrisse alla Facoltà di Agraria a Bologna. Durante gli studi universitari iniziò la sua attività nelle Acli, diventando collaboratore del senatore Giovanni Bersani, mentre partecipava all’animazione della Fuci di San Giovanni in Persiceto. Il 12 febbraio 1948 la laurea. Nei mesi precedenti la sua morte Fanin si era dato interamente all’attività nelle Acli- terra, divenendone l’esponente di punta: era il sindacato a rappresentare per lui la più urgente forma d’apostolato e di servizio alle persone sulla linea della Rerum novarum e della Quadragesimo anno.
 
Fanin lottò per una nuova stagione, segnata da un rapporto più costruttivo fra le parti: una tutela strettamente sindacale, non ideologica ma interclassista, volta al progresso sociale dei lavoratori attraverso un patto di compartecipazione che nel persicetano era molto caldeggiato. E cominciarono le minacce. Dopo l’attentato a Togliatti ( 14 luglio) Giuseppe venne aggredito mentre lavorava nel suo campo. Fu un primo avvertimento. In un volantino che circolò poco prima dell’agguato veniva collocato fra i « servi sciocchi degli agrari » . Nonostante le minacce da parte degli avversari, continuò la sua opera rifiutando di dotarsi di un’arma di difesa, come gli suggerivano vari amici, e rispondendo che preferiva presentarsi davanti a Dio senza la responsabilità di aver provocato il lutto in una famiglia. L’agguato mortale era stato, in primo luogo, frutto d’una campagna d’odio condotta presso i lavoratori persicetani da alcuni militanti di sinistra, che nelle settimane precedenti avevano additato i sindacalisti cristiani come crumiri, nemici del popolo, servi degli agrari e fascisti. Ma si collocò anche in un clima drammatico da resa dei conti in forza del quale tra il 1945 e il ’ 46 vi furono aree dell’Emilia Romagna di fatto sottratte al controllo dello Stato ( il cosiddetto « triangolo rosso » ) dove furono uccise anche tantissime persone che col fascismo non c’entravano, E dove si era sviluppato un odio antireligioso che costò la vita anche a molti sacerdoti, l’ultimo dei quali don Pessina a Correggio. Su un piano più generale l’omicidio di Fanin si inquadrò in una prospettiva storica caratterizzata dalla rottura dell’unità sindacale. La nascita di un nuovo soggetto, la Libera Cgil di orientamento cattolico ( poi Cisl), indebolì l’azione delle Camere del lavoro, mentre la legge Fanfani, che toglieva le funzioni di collocamento ai sindacati per riservarle allo Stato, privava la Cgil di un efficace strumento di organizzazione delle masse lavoratrici. Fu in questo contesto che la violenza degli estremisti si riversò contro i sindacalisti cattolici e contro i braccianti che, rivolgendosi a quelli, lasciavano la Cgil. Un contesto storico pesantissimo riecheggiato anche nella conclusione del discorso dell’arcivescovo di Bologna, che ha preso le mosse da un testo poetico di Karol Wojtyla nel quale il futuro Giovanni Paolo II medita sul martirio di san Stanislao, ucciso dal re Breslao mentre celebrava l’Eucaristia. « Sulla zolla della nostra libertà – recita il passo – cade la spada. Sulla zolla della nostra libertà cade il sangue. Quale avrà più peso? Il primo secolo volge alla fine e comincia il secondo, mettiamo mano al Disegno di un tempo ineluttabile » .
  Anche sulla zolla della nostra terra emiliana, ha concluso Caffarra « cadde in quei tragici anni la spada, ma anche il sangue di martiri. Noi questa sera desideriamo e vogliamo ancora una volta che abbia più peso il sangue: e metteremo \’ mano al Disegno di un tempo ineluttabile\’ » .

Avvenire, 2 novembre 2008 – da Bologna Stefano Andrini