(FS-NET) Il padre condannato per la sua fede

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La lettera del padre condannato per la sua fede


Il 17 novembre il quotidiano «Alto Adige» ha reso finalmente pubblica una prima lettera di Claudio Nalin.

Non è piacevole essere condannato a tre anni sulla base
di teoremi e pregiudizi anticattolici che da qualche tempo
girano per il Tribunale di Bolzano.
Per ora sono stato la prima vittima, in futuro
probabilmente ce ne saranno altre.
Ciò che fa ancora meno piacere è che un sacerdote di
Santa Romana Chiesa prenda per buone certe cantonate
giudiziarie senza neppure conoscermi personalmente [1].

E a questo punto, per la prima volta, visto che il buon
senso non pare farsi strada ne nelle aule di giustizia
né fuori di esse, mi permetto di prendere carta e penna
per fare alcune precisazioni dopo il fiume di inchiostro
versato dai giornali sul mio conto negli ultimi anni.

Ho quasi sessant’anni, sono in pensione da poco tempo dopo
aver svolto la mia professione per tutta la vita.
Sono un convertito di Padre Pio, ora Santo, e sono stato
suo figlio spirituale.
Ho sempre cercato di seguire i Suoi insegnamenti alla
lettera e per questo mi sono sposato.
Con mia moglie ho avuto sette figli: tre femmine e
quattro maschi.

Una famiglia numerosa al giorno d’oggi non è facile farla
crescere senza che qualche figlio prenda una brutta piega
anche perché se un figlio si comporta male subito tutti
gli altri gli vanno dietro soprattutto se si tratta di un
fratello maggiore.

Per questo ho cercato di dare ai miei figli una educazione
cristiana secondo i comandamenti della Chiesa, anche se
oggi sono attaccati e derisi da molti.
Tre figlie sono suore: una di clausura, una missionaria in
Russia, una in un convento francescano.
Altri due figli lavorano con profitto e serietà.
Il più piccolo frequenta un istituto professionale con
buoni risultati.

Il maggiore dei maschi invece ne ha sempre combinate di
tutti i colori, ha cambiato diecine di lavori perché
“tutti lo sfruttano” e da qualche tempo cercava di
influenzare i fratelli più giovani dando il cattivo
esempio e invitandoli a licenziarsi dal lavoro perché
anch’essi “erano sfruttati”.
È quest’ultimo che si è prestato ad accuse false e a
continue provocazioni in famiglia solo perché negli ultimi
tempi gli avevo chiesto di contribuire con euro 150,00 al
mese alle spese della famiglia dove viveva anche lui.
Ciò non per mia ingordigia dl denaro, ma perché la mia
pensione è di circa euro 800,00 al mese con la quale dovevo
mantenere sei persone, me compreso.

Se la mia educazione è sempre stata un po’ all’antica,
preciso che in tutto il processo che ho subito non è mai
saltato fuori un certificato medico o una relazione
negativa di qualche maestro, insegnante o professore che
lamentasse maltrattamenti o peggio ancora percosse verso
alcuno del miei sette figli.
Nessuno dei miei figli ha mai avuto bisogno di psicologi
o insegnanti di sostegno.
E certamente la procura di Bolzano è andata a rovistare
dappertutto.

Con l’inizio di questa autentica persecuzione sono stato
allontanato forzosamente dalla casa e dalla famiglia per
ben sei mesi, il periodo massimo consentito dalla legge,
come se fossi il peggiore dei delinquenti o dei mostri.

Alla richiesta scritta di tutti i miei famigliari, a
parte l’accusatore Mariano, di farmi rientrare in
famiglia, le magistrate del Tribunale di Bolzano si
opposero con risolutezza e quasi con scherno e mi fecero
scontare l’intero periodo di esilio dalla mia famiglia.
Altro che l’Inquisizione medioevale!

Poi c’è stato il processo di cui ne hanno parlato perfino
la stampa e le televisioni nazionali.

Mia moglie si è ammalata gravemente dall’anno scorso, tanto
che è stata operata già due volte da allora e, pur in
queste condizioni, ha voluto testimoniare in Tribunale
dicendo che era tutta una stona assurda ed inveritiera.

Anche mia suocera, di 84 anni, che si può dire abbia
allevato con noi i nostri figli, ha detto ai giudici che
questa storia è tutta incredibilmente assurda.

Questo è tutto e confesso che non mi sento un padre fallito,
ne’ un padre-padrone come dicono i giornali, né mi sento
un “aguzzino” come mi ha ripetutamente definito la
dottoressa Marchesini [il pm; ndr] in Tribunale l’altro
giorno, né lo sono i frati dove andarono a studiare alcuni
dei miei figli.
Anzi, sono contento di avere tre figlie suore e di avere
altri tre figli che mi amano e mi rispettano come del resto
ho sempre fatto io con loro, che ci credano o meno le
magistrate del Tribunale di Bolzano.

Quando vedo la fine di tanti poveri ragazzi che rincorrono
per le strade droga, alcool, sesso e altre miserie,
ringrazio Dio di avermi risparmiato queste sofferenze di
padre e di avere i figli che mi ritrovo.
Lo ringrazio anche per la forza che mi ha dato di perdonare
mio figlio Mariano che prima o poi capirà quanto dolore ha
causato a tutta la sua famiglia.

Per quanto riguarda la giustizia umana questa prima o poi
verrà a galla.
A me importa soprattutto la Giustizia di Dio ed in quella
ho piena fiducia.

Claudio Nalin

[1] Nalin si riferisce alle dichiarazioni, di tale don
Fabio Chiarani, cappellano nella parrocchia di Caldaro
(Bolzano). Questi aveva espresso sul quotidiano «Alto
Adige» la propria approvazione per la condanna di Nalin.
Eccone alcune “perle” dal chiaro sapore evangelico:
«Questi atteggiamenti vanno giudicati con molta severità.
Il tribunale ha fatto molto bene a infliggere una dura
pena a chi distorce in questo modo la fede. Queste
storture della religiosità urtano la sensibilità del
credenti. […] Ma il tribunale dovrebbe assicurare a
Nalin delle cure adeguate, perché non ci sono dubbi,
un soggetto simile ê malato». («Alto Adige», 13/11/04).
Don Chiarani balzò agli onori della cronaca già in
passato, quando a Natale fece leggere versetti del Corano
in chiesa; ndr.