La scelta di don Aldo Trento è effettivamente molto significativa perché rispecchia la frattura che questa tragica vicenda ha determinato tra il sentire diffuso, che appartiene a noi come alla maggior parte della popolazione, e le istituzioni.
Ricordiamo che l’uccisione di Eluana Englaro è stata sancita dal decreto di volontaria giurisdizione (non da sentenza) di una Corte di Appello, sulla base di un pronunciamento creativo della Cassazione che, per l’occasione, ha cambiato radicalmente i propri precedenti orientamenti sul tema.
In base a queste decisioni ci si è visti d’un tratto "autorizzati" a togliere la vita a una disabile, seguendo un protocollo clinico anch’esso inventato di sana pianta dai giudici, fattisi così medici oltre che legislatori: una morte somministrata meticolosamente come cura (che follia!), entro una concezione quasi zoologica delle potestà pubbliche verso la vita e la salute dei cittadini. Tutta una costruzione totalmente estranea, anzi apertamente in contrasto con l’ordinamento vigente e coi canoni di civiltà.
Non è senza significato, infatti, che dall’autorevole e laico comitato Verità e Vita muova ora la denuncia per omicidio volontario http://www.comitatoveritaevita.it/repository/CS_N.70_10-02-2009.pdf , che a me parrebbe fondata stante che nessuna disposizione penale prevede una scriminante in qualche modo riconducibile alle suddette invenzioni dei giudici civili. http://www.comitatoveritaevita.it/repository/Diffida_alle_case_di_cura_03-02-2009.pdf
A fronte di ciò, il decreto legge apprestato dal Governo unanime, espressione di larghissima maggioranza parlamentare, e nell’esercizio del potere legislativo che ad esso compete nei casi di urgenza, ha trovato ostacolo insormontabile nel “gran rifiuto”, tassativo e non ritrattabile, alla emanazione da parte del Presidente della Repubblica: altra scelta senza precedenti, sia nella forma che nella sostanza, anche per la labilità delle motivazioni addotte, come spiega il costituzionalista prof. Olivetti, in sintonia, tra i tanti, con presidenti emeriti della Consulta quali Baldassarre e Mirabelli.
E’ palese quindi che – al di là della “controversia” giuridica (che a questo punto passa in secondo piano) – la scelta del Presidente Giorgio Napolitano, se pur diversamente ispirata nella sua intenzione dichiarata e certamente sincera, nel reprimere il potere legislativo del Governo ha mostrato una eminente connotazione politica-ideologica, lacerante e divisiva. Egli è apparso partigiano delle soluzioni e delle forzature dettate dal decreto giudiziario “rivoluzionario” delle Corti per il caso singolo a preferenza (!) dello svolgersi lineare del potere legislativo, infliggendo così una profonda frattura nel quadro istituzionale e, ancor più, tra la popolazione; in una prospettiva, peraltro, oggettivamente di scontro verso i cattolici e la Chiesa che tanta parte hanno nella società.
Ora l’art. 87 della nostra – e sottolineo nostra – Costituzione dice che il Presidente della Repubblica “rappresenta l’unità della nazione” e in ciò sta il valore più alto ed essenziale dell’istituzione. Per questo, ricevuta la carica, il Presidente non appartiene più a nessun partito, a nessuno schieramento, ma è chiamato piuttosto a garantire il corretto e libero esercizio della sovranità popolare, attraverso i suoi organi costituzionali. Questa immagine sembra ora perduta e molto difficilmente recuperabile.
A mio sommesso parere il guaio è fatto e non c’è rimedio. L’ipotesi di dimissioni andrebbe seriamente presa in considerazione dal Colle, vista la enorme gravità del caso che mette in gioco gli stessi principi fondativi della convivenza civile (il diritto indisponibile alla vita di ogni ammalato e sofferente!), allo scopo di restituire al paese una rappresentanza apicale che possa tornare a unire, e nella quale tutti possano serenamente riconoscersi come cittadini della Repubblica.
In questa direzione possono muoversi, insieme all’opinione pubblica, anche tutti i parlamentari che lo hanno eletto, sia quanti hanno già, durante il drammatico svolgersi degli eventi, apertamente deplorato la sua condotta, sia quanti, pur non avendolo fatto, hanno a cuore l’unità della nazione e la vita sana (non comatosa né vegetativa) delle istituzioni democratiche.
justum
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