I danni dell’“operazione Sturzo”
Il 18 aprile 1948 l’Italia scelse di dirsi occidentale e cristiana, ma la DC se ne scordò presto incubando la svolta di Centrosinistra. Nel giro di vent’anni il costume e la cultura mutarono profondamente. Il Sessantotto era pronto. Soprattutto a raccogliere…
di Marco Invernizzi
Conduttore di Radio Maria
Anzitutto una premessa. Il 18 aprile 1948 conclude il periodo bellico e i sommovimenti successivi, cioè il referendum istituzionale e l’Assemblea Costituente. L’Italia ha una Costituzione in vigore dal 1° gennaio frutto di un compromesso ideologico fra le tre grandi famiglie, cattolica, socialcomunista e liberale, che hanno tutte titolo per riconoscersi in parte nel testo costituzionale. Gli italiani hanno scelto la repubblica, anche se con uno scarto minimo di voti e con un’accusa di brogli che perdura a 60 anni di distanza anche attraverso alcune testimonianze dei protagonisti dell’epoca, come quella dell’allora segretario di Palmiro Togliatti, Massimo Caprara. In questo frangente, l’Italia appare sostanzialmente divisa in due dal punto di vista della cultura politica di riferimento e sostanzialmente divisa in due sarebbe rimasta anche nel caso di una vittoria monarchica.
Poi venne il risultato del 18 Aprile. Votò il 92,2% degli aventi diritto (29.117.554 italiani) e le forze politiche contrarie al socialcomunismo rappresentano oltre il 60% dei voti espressi, quindi molti milioni oltre la metà degl’italiani. È un risultato schiacciante che trasmette un segnale inequivocabile, ben oltre i risultati del referendum istituzionale e le elezioni per la Costituente, con la Democrazia Cristiana che guadagna quasi 5 milioni di voti e quasi 13 punti percentuali.
Il voto esprime chiaramente la scelta occidentale e cristiana, e il radicale rifiuto del totalitarismo socialcomunista, in nome della libertà. Si tratta allora di verificare se – ed eventualmente perché – i protagonisti di questo evento, molto più che elettorale, si siano allontanati dalle caratteristiche identitarie espresse dalla grande maggioranza degl’italiani il 18 aprile 1948.
Anzitutto, la prima scelta di Alcide De Gasperi consiste nel fare un governo con i partiti laici. È una scelta importante e significativa perché la DC aveva la maggioranza dei seggi alla Camera e avrebbe teoricamente potuto tentare un governo monocolore. De Gasperi aveva invece sempre voluto sostenere i partiti laici, anche economicamente, durante la campagna elettorale, orientando verso di loro parte dei finanziamenti statunitensi. La cosa aveva peraltro lo scopo di ampliare il consenso al governo, di allontanare da socialisti e comunisti antichi compagni di viaggio (come i saragattiani usciti dal Partito Socialista Italiano), e pure quello – a detta di molti storici – di svincolare la DC da influenze della Chiesa che sarebbero state più pressanti nel caso di un governo composto esclusivamente da ministri democristiani.
La domanda che nasce da questa scelta politica e governativa è: che influenza ebbe l’alleanza centrista sulla secolarizzazione del Paese? Il coinvolgimento dei partiti laici costrinse la DC a una politica culturale meno attenta alla difesa e alla promozione dei valori cristiani oppure il partito d’ispirazione cristiana non aveva nel proprio dna questa preoccupazione?
SI PROFILA LA SCONFITTA CULTURALE
In effetti, la componente più attrezzata dal punto di vista culturale del partito, che faceva capo a Giuseppe Dossetti, sembrava poco attenta a certi princìpi della morale naturale e la sua tendenza politica a impegnare il partito perché attuasse una politica coerente con i valori cristiani si riferiva in realtà a una polemica con il governo per le scelte liberiste nel campo economico-sociale e filoamericane in politica estera. Fu Augusto Del Noce a ricordare come, già durante la Resistenza ma soprattutto dopo, nel mondo cattolico progressista si tendesse a contrapporre le virtù cosiddette passive (castità, purezza, rispetto della morale sessuale) a quelle attive, che verranno privilegiate. Eppure anche queste saranno scelte con criteri ideologici e “politicamente corretti”; significativo è, al riguardo, l’episodio riportato dal filosofo a proposito di un volantino distribuito a Parigi dai cattolici di sinistra del periodico Témoignage Chrétien contro una manifestazione contraria alla pornografia, volantino dove si scrive d’inutili battaglie contro la pornografia che andrebbero sostituite con iniziative contro la guerra nel Vietnam, a favore degli scioperi in corso, ecc.
La mancanza di attenzione verso questo ambito dello scontro culturale che si profilava all’orizzonte oppure, al contrario, una contrapposizione esclusivamente moralistica, che non si sforzava d’indagare sull’aspetto culturale del fenomeno e che non sapeva spesso spiegare il perché di certe virtù e il fine della loro pratica, spinse il mondo cattolico a una posizione incerta, quasi imbarazzata, oppure di semplice reazione.
Bisognerà infatti aspettare il pontificato di Papa Giovanni Paolo II per un’adeguata riflessione sul significato del corpo e della sessualità, ma questa è un’altra storia.
I COMITATI CIVICI
Tornando a quanto accadde dopo il voto del 18 Aprile, occorre fare una riflessione sulle caratteristiche dei parlamentari della Dc e in generale sulla linea politica seguita dal partito.
Tutte le componenti del partito sentivano come estraneo, e in alcune circostanze addirittura ostile, il “collateralismo” dei Comitati Civici guidati da Luigi Gedda e certamente operarono per un loro “silenziamento”, come ebbe a dire Gedda stesso. Tuttavia, questi ha poi raccontato di aver contribuito concretamente alla scelta dei candidati e quindi è verosimile immaginare che fra gli eletti non fossero pochi i sostenitori di una linea politica più vicina alla sensibilità dei CC.
Perché questo non avvenne? Perché i CC vennero silenziati nonostante avessero il sostegno del pontefice che nel 1952 nominò Gedda presidente dell’Azione Cattolica? Sono domande che non hanno avviato neppure una indagine fra gli storici eppure sono certamente fra le prime che deve porsi chiunque studi il periodo.
Certamente, come ha scritto don Gianni Baget Bozzo, la componente dossettiana sperava che la DC non vincesse le elezioni con margini troppo ampi giacché questo avrebbe allontanato eccessivamente ogni possibile ulteriore collaborazione con le Sinistre, mentre un altro storico (e senatore della DC), Pietro Scoppola, ha scritto che la proposta politica di De Gasperi, al contrario di quanto viene ritenuto dall’opinione comune, era rivolta a riattivare una collaborazione con i partiti della Sinistra, alla quale lo statista dovette però rinunciare per le pressioni del Pontefice e degli Stati Uniti.
L’«OPERAZIONE STURZO»
Vi è però forse un episodio che può essere indicato come l’evento che produsse una frattura, quindi un profondo mutamento d’indirizzo politico e culturale, in qualche modo in grado di “spianare” la strada verso il Centrosinistra sul piano politico e verso il Sessantotto sul piano culturale. È l’evento conosciuto come “operazione Luigi Sturzo”.
Avanzo questa ipotesi non tanto perché esistano forti indizi storiografici in tal senso, ma per l’enfasi che diedero all’avvenimento i protagonisti dell’epoca.
Nel maggio 1952 si dovevano tenere le elezioni comunali a Roma, e il Papa e gli ambienti cattolici temevano che le Sinistre unite nel Blocco del popolo guidato dall’ex presidente del Consiglio dei ministri Francesco Saverio Nitti potessero conquistare Roma. Nacque allora per scongiurare tale possibilità l’idea di unire in una lista elettorale priva di simboli di partito tutte le forze contrarie al socialcomunismo, ivi compresi i monarchici e il Movimento Sociale Italiano.
Anche per il suo passato antifascista, Sturzo sembrò la figura carismatica capace di guidare la lista. Il sacerdote di Caltagirone era peraltro disponibile, anche perché la proposta veniva chiaramente sostenuta dal Papa. Secondo alcuni, l’idea era di monsignor Roberto Ronca, un influente sacerdote della diocesi romana, noto per essersi prodigato durante la Resistenza a vantaggio dei rifugiati politici antifascisti in Vaticano e per essere un sostenitore della necessità di costituire un partito conservatore accanto alla DC.
L’ipotesi era del resto importante poiché avrebbe potuto lanciare un segnale politico in grado di ridimensionare il ruolo dei partiti e forse favorire la nascita di un’aggregazione politica permanente di cattolici accanto alla DC, ma soprattutto capace di rafforzare la dipendenza della DC dalle articolazioni del mondo cattolico. Il progetto incontrò però troppe e significative resistenze, e quindi non si realizzò.
LA FINE DI UNA IDEA
Il tentativo cominciò il 19 aprile e morì cinque giorni dopo, nonostante l’iniziale avallo anche di Guido Gonella e della DC. Nelle sue memorie, Gedda racconta l’ostilità espressa dai diversi rami dell’ACI, l’Azione Cattolica Italiana (escluso quello degli uomini guidato da Agostino Maltarello), della FUCI, Federazione Universitari Cattolici Italiani, nonché dei Laureati cattolici, e pure la tristezza del Papa dopo il fallimento dell’operazione. Scrive Gedda a proposito del Papa: «Sorridendo osserva che l’Azione Cattolica collabora non con la Chiesa ma con la Democrazia Cristiana».
Il progetto finisce dunque perché bloccato dal gran rifiuto dei dirigenti cattolici, dal ripensamento dei democristiani, dall’ostilità dei partiti laici alleati alla DC, dalla poca flessibilità dei partiti di destra coinvolti e infine dal rifiuto di Sturzo, il quale, quanto alla propria disponibilità, aveva dato un ultimatum che non fu rispettato.
Iniziò dunque così, nel 1952, con il fallimento dell’“operazione Sturzo”, la strada che portò la DC verso il Centrosinistra, imboccata la quale la DC abbandonò ogni idea di alleanza con l’elettorato di destra e con i partiti che lo rappresentavano. Inizia qui anche lo scontro interno all’ACI che porterà all’allontanamento di Carlo Carretto, responsabile della GIAC, Gioventù Italiana di Azione Cattolica, grande amico, anzi quasi figlio spirituale di Gedda. Il leader dei CC ha del resto scritto che il cambiamento di Carretto – causa delel sue dimissioni dall’ACI – fu dovuto soprattutto all’influenza esercitata da Dossetti e dalla Sinistra della DC. Altri, fra i dirigenti cattolici dell’epoca che sono poi rimasti legati a Gedda, sostengono oggi che Carretto venne soprattutto influenzato dall’ambiente che gli stava intorno, composto da giovani dirigenti dell’Italia Settentrionale, venuti a Roma a dirigere la GIAC già nel 1945 e animati dal mito della Resistenza antifascista e della collaborazione con le Sinistre, quindi propensi a considerare filofascista chi – era però il caso di tutti i romani e dei meridionali – non aveva partecipato alla guerra partigiana.
VERSO IL SESSANTOTTO
In realtà, l’“operazione Sturzo” esprimeva un malessere presente nel mondo cattolico italiano di cui furono ulteriore manifestazione le dimissioni del successore di Carretto, Mario Rossi, influenzato da idee che già allora s’ispiravano a qualcosa di simile a quella che sarebbe diventata poi la cosiddetta “teologia della liberazione”. Un malessere esteso soprattutto a livello giovanile, esploso in grande stile dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II.
La ferita del 1952 rimase aperta per decenni e quando Gedda ne parlava ai propri collaboratori, credo lo facesse anche per mostrare la rilevanza di tutto quello che era accaduto.
Infatti, non può non stupire come in quelli che sono stati polemicamente definiti i «giorni dell’onnipotenza», per indicare l’“autoritarismo” di Papa Pio XII e il potere di Gedda, in realtà i desiderata del pontefice non riuscirono a realizzarsi. Aperta la strada alla collaborazione con il PSI, allontanatasi la sponda dell’elettorato di destra, è peraltro facile ipotizzare una minore resistenza da parte della DC e del mondo cattolico in generale ai profondi mutamenti cultural in corso in quegli anni in tutto il mondo e che sfoceranno in quella che è stata definita la rivoluzione culturale del Sessantotto.
Sette anni dopo questi fatti, don Luigi Sturzo sentirà il bisogno di ritornare sull’operazione che aveva assunto il suo nome per spiegare cosa era realmente accaduto e lo fece con un articolo pubblicato su il Giornale d’Italia del 21 febbraio 1959. Certamente, altri fatti di grande importanza accadranno negli anni successivi all’“operazione Sturzo” e prima del fatidico 1968.
Come dimenticare, infatti, il 1953 e il fallimento di quel tentativo di stabilizzare il potere del governo attraverso la cosiddetta “legge truffa”, e poi, tre anni dopo, il 1956, un anno incentrato sul “rapporto segreto” sui crimini di Stalin presentato da Nikita S. Kruscëv al XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica e sulel rivolte polacca e ungherese, fatti, questi ultimi, che, pur non comportando la liberazione di milioni di uomini dell’Europa Orientale dal giogo comunista, spinsero però molti intellettuali firmatari del “Manifesto dei 101” ad abbandonare il Partito Comunista Italiano?
Come non ricordare, ancora, i fatti di Genova del 1960, che in un certo senso introdussero l’Italia nell’epoca del Centrosinistra?
Ma qui siamo già negli anni Sessanta. L’Italia è orfana di De Gasperi dal 1954, anno in cui, però, gl’italiani cominciano a dipendere dalla televisione e, l’anno seguente, a informarsi tramite il settimanale l’Espresso.
Sono proprio fatti di costume e di cultura popolare decisivi come questi che contribuiranno a cambiare, lentamente ma inesorabilmente, la mentalità di un popolo intero, e questo in maniera assai più decisiva delle crisi di governo che continuano a ripetersi anche in quegli anni.
Intanto la secolarizzazione avanza e penetra persino a sinistra, mentre la Chiesa universale riunita nel Concilio Vaticano II imposta la strada per far fronte al fenomeno. Sono passati 20 anni dal 18 aprile, l’Italia è ormai alla soglia del Sessantotto.
Il Domenicale N. 49 – DAL 9 AL 15 DICEMBRE 2006