UN SANTO A CAPORETTO

  • Categoria dell'articolo:Chiesa

Sharing is caring!

Un santo a Caporetto
 di Rino Cammilleri
www.rinocammilleri.it 
 
\"\"Tratto da Il Timone, Anno IX – Dicembre 2007 – n.68 – www.iltimone.org

Il mese di ottobre 2007 ha visto un’orgia di rievocazioni per i novant’anni di Caporetto, cioè del peggiore disastro bellico della storia italiana. In quell’occasione gli austro-tedeschi sfondarono il nostro fronte penetrandolo profondamente e provocando un fuggi-fuggi generale. Si evitò la disfatta grazie al tempestivo arretramento di tutta la linea ordinato da Cadorna. L’Italia aveva per nemico un beatificato dalla Chiesa: l’imperatore asburgico Carlo d’Austria. Egli aveva provato a far cessare l’«inutile macello» (secondo la definizione che ne aveva dato il papa Benedetto XIV) addirittura avanzando proposte di pace separata di nascosto dall’alleato germanico. Ma il suo tentativo fallì per l’ostinata opposizione del governo italiano.

Quasi verrebbe da dire che l’Italia meritò la batosta di Caporetto, se non fosse per i tanti poveri disgraziati morti, mutilati o semplicemente feriti, nostri connazionali che spesso, data la loro provenienza regionale, non sapevano neanche parlare correttamente l’italiano. Una guerra inutile, per noi, quella: ci costò seicentomila morti e una «vittoria mutilata» che sfociò nel fascismo e nella guerra successiva. Non solo: avrebbe dovuto finalmente «fare gli italiani» (com’è noto, dopo l’Unità il solito D’Azeglio ebbe a dire: «L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani») dopo mezzo secolo di unificazione politica; invece a «fare» gli italiani sarebbe stato il regime fascista, potendo contare sui nuovi mezzi di comunicazione di massa come la radio e il cinema. E per imparare a parlare e scrivere nella lingua ufficiale gli italiani avrebbero dovuto attendere altri quarant’anni, l’avvento della televisione e programmi come Non è mai troppo tardi. Caporetto: stampa e tiggì hanno ricordato che là c’erano due personaggi che avrebbero avuto una posizione di primo piano nella guerra seguente, Rommel e Badoglio. Il primo avrebbe imparato proprio là la disistima per gli italiani; il secondo vi anticipò la sua attitudine alle decisioni sciagurate. Tutto questo, come abbiamo detto, è stato largamente rievocato sui nostri media. Ma nessuno si è ricordato che a Caporetto c’era anche un santo canonizzato, Erminio Pampuri, non ancora il Fatebenefratello s. Riccardo. La grande ritirata di Caporetto costò a moltissimi l’umiliazione, ad altri la degradazione, ad alcuni il plotone d’esecuzione per vera o supposta codardia; lo stesso comandante in capo dell’esercito italiano, Cadorna, venne silurato. Invece, Pampuri ci guadagnò una medaglia al valore. Strano ma vero. Meno strano, però, apparirebbe qualora si considerasse la sua coerenza “cattolica”. Ma andiamo per ordine. Innanzitutto i fatti. Erminio Pampuri, classe 1897, in quella guerra aveva già perso un fratello, caduto in una delle tante battaglie dell’Isonzo. Studiava medicina a Pavia e fu chiamato alle armi nella Sanità. I cattolici italiani erano stati contrari all’entrata in guerra ma, quando lo Stato decise per l’intervento, fecero il loro dovere di cittadini. Così Pampuri e suo fratello, che erano per giunta orfani di entrambi i genitori. Il cattolicissimo Pampuri, poi, aveva dovuto anche affrontare i battibecchi con i commilitoni anticlericali, massoni o che semplicemente consideravano i cattolici dei disfattisti antipatriottici. Si tenga presente, infatti, che ufficialmente lo Stato italiano e la Santa Sede non avevano rapporti dal tempo di Porta Pia e che per la loro Conciliazione ci sarebbero voluti altri trent’anni. Ebbene, la ritirata di Caporetto fu così rovinosa che moltissimo materiale bellico e logistico cadde in mano nemica senza colpo ferire. Anzi, per la fretta di darsela a gambe, cannoni, carriaggi e intere batterie furono abbandonati là dove si trovavano, cosa che ingolfò talmente le strade da rendere impossibile ai rinforzi di affluire al fronte. Tutti scappavano e un sistema gerarchico ridicolmente rigido incoraggiava ciascuno a scaricare ogni responsabilità sull’inferiore, il che accresceva la confusione e il clima di disfatta. Pampuri si ritrovò da solo e con un intero ospedale da campo intatto: era stato semplicemente abbandonato, casse di bende, siringhe, ferri chirurgici e medicine comprese. Pampuri, anziché pensare alla pelle come tutti, caricò tutta quella roba su di un carro tirato da un bue e, sempre da solo, la portò in salvo dietro le linee italiane. Data la velocità di un bue, ci mise ventiquattro ore. Sotto le cannonate e la pioggia battente. Ci si buscò la pleurite che lo avrebbe portato alla tomba a soli trentatré anni. Per questo atto eroico fu insignito della medaglia al valore e gli venne concessa una piccola pensione. Che, quando fu medico, restituì allo Stato. Perché? Perché era un «italiano serio», per usare un’espressione di Messori. A guerra finita l’Italia si ritrovò piena di mutilati, di tombe e di disoccupati. I soldi della pensione al dottor Pampuri non servivano, meglio che andassero a qualcuno veramente bisognoso. Certo, la voragine nei conti pubblici, nel dopoguerra, era tale (scioperi, disordini di piazza, tumulti) che la pensione del Pampuri sembrava la classica goccia nell’oceano. Ma un oceano è fatto di tante piccole gocce, pensò il Nostro, «italiano serio» e serio perchè cattolico. Si noti che la medaglia al valore concessagli non era la massima, quella d’oro. Infatti, per la mentalità militare e nazionalistica è eroismo solo quello che produce ecatombi di nemici o «si immola» scagliando stampelle dalla trincea. Ma l’eroismo cattolico è cosa diversa. Non si gloria di avere ammazzato poveracci o di essersi prodotto in un estremo quanto inutile gesto di odio. No, la mente e il cuore del soldato Pampuri andarono a tutti quei poveri cristi le cui membra maciullate non avrebbero avuto bende, siringhe, ferri chirurgici e medicine. Le orecchie piene delle urla disperate dei feriti privi di morfina, Pampuri mise in atto un gesto di eroismo non distruttivo ma costruttivo. Mise a rischio la vita (infatti, ce la rimise) non per un’azione da Rambo ma da cristiano, per salvare vite e non per spegnerle. Si badi: non è un discorso pacifista, il nostro, né da obiezione di coscienza; chi ci conosce sa come la pensiamo al riguardo. Certo, Pampuri era nel corpo della Sanità, non in prima linea. Ma anche quelli della Sanità scapparono. Lui, no.