Questa frase è scelta da Joris-Karl Huysmans come esergo alla biografia che, dopo la clamorosa conversione al cattolicesimo, egli dedicò nel 1901 a Santa Lidwina di Schiedam (1380-1433), adesso ottimamente tradotta e presentata per Aragno da Giovanni Pacchiano col titolo La donna che parlava con gli angeli (pagine 296, euro 15,00). Luogo comune della tradizione religiosa, ascetica e mistica, la mortificazione della carne conosce tuttavia forme, gradi ed esiti diversi. Se la nobile monaca tedesca Ildegarda (1098-1179) ebbe certamente alcune infermità , che tuttavia non le impedirono di vivere una vita tanto lunga quanto attiva e varia e di attingere una nitida visione cosmologica fondata sulla conoscenza particolare del pensiero di S. Agostino, dello pseudo-Dionigi l’Areopagita e di Giovanni Scoto Eriugena, come testimonia il Libro delle opere divine (appena tradotto e commentato, con testo a fronte, in un eccellente Meridiano dei «Classici dello Spirito» di Mondadori, a cura di Marta Cristiani e Michela Pereira, con miniature del XIII secolo, pagine 1322, euro 48,00), Lidwina, povera e semplice ragazza olandese, conobbe invece l’estasi dell’unione divina rimanendo inchiodata a un letto e trasformando se stessa in un cumulo di orrori e di sofferenze, nella «maschera in pezzi di una gorgone». Sapendo che «Dio non abita nei corpi benportanti», come già diceva Ildegarda, Lidwina invoca e attira su di sé i mali più ripugnanti: inferma dall’età dei quindici anni in seguito a una caduta sulla pista di pattinaggio, assiste alla decomposizione del proprio corpo, che si copre di ferite, vomita pus, brulica di vermi e addirittura si smembrerebbe sotto gli occhi degli astanti se non fosse tenuto solidamente legato da bende, asciugamani e tovaglie. Nello stesso tempo Lidwina, le cui piaghe sono come bruciaprofumi, spande intorno effluvi paradisiaci e opera miracoli di ogni sorta. Insaziata di mali, la santa soffre non solo per rendersi meno indegna del Salvatore, ma anche per espiare, frenare o allontanare, a sua imitazione, i crimini del mondo. E’ la dottrina della sostituzione mistica dell’innocente al colpevole, vero motivo conduttore dell’agiografia. Se il cattolico reazionario, se l’oblato Huysmans (che trascorse un periodo nell’abbazia benedettina di Ligugé, nel Poitou) crede certamente in questa suggestiva e improbabile teoria, non c’è dubbio però che l’interesse del libro risieda nella fascinazione estetica, e anche metafisica, che esercitano su di lui e su di noi gli eccessi e gli estremi dell’esperienza umana. A quelli individuali della santa si uniscono e corrispondono quelli collettivi della Francia e dell’Europa fra Tre e Quattrocento, che Huysmans descrive – con uno stile sulfureo memore di Maistre – governata da re dementi, straziata da lotte feroci, flagellata sotto un’inesausta pioggia di sangue. «E’ molto difficile – dichiara lo scrittore – analizzare questa strada così differente dalle nostre che intrecciano, per la maggior parte del tempo, modeste torture e minime gioie. Infatti le nostre esultanze sono, come le nostre pene, mediocri; viviamo in un clima temperato, in una zona di pietà tiepida ove la flora è stenta e la natura debole. Lidwina era stata sradicata da una terra inerte per essere trapiantata nel suolo ardente della mistica; e la linfa sino ad allora intorpidita ribolliva sotto il soffio torrido dell’Amore, ed essa fioriva in incessanti fioriture di delizie impetuose e di tormenti furiosi». Sono le stesse ragioni, credo, per le quali la vita di Lidwina interessava anche a Cioran, che ne cita esemplarmente il nome nel Précis de Décomposition (da lui, d’altronde, ricordo di aver avuto il libro di Huysmans, quando nel 1989 fu ristampato in Francia da Maren Sell).
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