(CorSera) Le spie in Vaticano

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Un saggista Usa ricostruisce due secoli di intrighi nella Santa Sede. E mostra dove l’intelligence pontificia fallì

Le spie che vennero dal seminario



DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
WASHINGTON – E’ il luglio del 1942 e a Roma il Sim, il Servizio informazioni militari, ferma due spie sovietiche, Alexander Kurtna, un ex seminarista estone impiegato come traduttore in Vaticano, e la moglie russa Anna Hablitz, una dipendente della radio italiana per l’estero. Il Sim non sa però che Kurtna, un giovane storico protetto dei gesuiti, è da anni la talpa dell’Urss nella Santa Sede e che può arrivare al potente cardinale Tisserant e al sottosegretario di Stato Montini, il futuro Paolo VI. Soprattutto non sa che fa il doppio gioco: Kurtna è anche al servizio del maggiore Herbert Kappler, il capo della Gestapo a Roma, che diverrà noto come il boia delle Fosse Ardeatine.


Occorrono 14 mesi al Sim per ricostruire l’operato della spia sovietica. Kurtna non ha solo tenuto Mosca aggiornata sulla politica anticomunista del Vaticano e su ciò che la Santa Sede apprendeva dell’Italia e della guerra. Ha anche denunciato i leader cattolici nell’Urss. Il 29 settembre del ’43, un tribunale militare lo condanna a morte. Ma 21 giorni prima, il governo Badoglio si è arreso agli alleati e le forze tedesche hanno occupato Roma. Kappler, che per non scoprirsi ha seguito il processo senza intervenire, ordina che Kurtna sia scarcerato. La spia gli era stata utile nel ’42, quando gli aveva consegnato i nomi dei preti partigiani nei territori occupati dai tedeschi e quelli degli alti prelati italiani ostili a Hitler. Il maggiore è certo che lo sarà di nuovo, se rientrerà in Vaticano. Non è chiaro se Tisserant e Montini, informati di questi retroscena, riaprano le porte a Kurtna per fare pervenire a Kappler informazioni false. Ma è certo che l’ex seminarista estone fa la sua scelta: lavora solo per l’Urss, tradendo il maggiore. Kurtna seduce la segretaria di Kappler, fraulein S chwarzer, di nascoste simpatie comuniste, e si fa consegnare i nuovi codici cifrati della Gestapo e il piano segreto del Gladio nazista, i sabotatori e i golpisti che resterebbero dietro le linee alleate in caso di sconfitta. Il 4 giugno ’44, alla liberazione di Roma, passa i dossier a un funzionario della segreteria di Stato del Vaticano, con l’incarico di trasmetterli a una delegazione sovietica in arrivo. Inspiegabilmente, il funzionario esegue.
La romanzesca storia di Kurtna, che scompare poi da Roma e finisce nel gulag (così Stalin ricompensava spesso i suoi James Bond) è raccontata per la prima volta dallo storico David Alvarez in un libro, «Spie in Vaticano», pubblicato dalla Kansas University. Il libro è una carrellata su due secoli di intrighi alla Santa Sede, Ottocento e Novecento, dal sapore del giallo, teso a dimostrare che l’intelligence pontificia, inizialmente formidabile, s’indebolì dopo la perdita del potere temporale. E che nella Seconda guerra mondiale apprese dell’Olocausto dopo l’Inghilterra, il cui silenzio sarebbe stato più colpevole di quello di Pio XII. «Spie in Vaticano» si apre con la rivolta di Macerata del 24 giugno 1817, soffocata nel sangue dalla polizia pontificia. Pochi giorni dopo, un pentito, Paolo Monti, si presenta al vescovo di Fermo e si offre come informatore. Portato dal segretario di Stato in Vaticano, il cardinale Consalvi, ne diviene la spia nelle Marche. Nel giro di un mese, fa arrestare trenta congiurati e l’Italia centrale torna alla normalità. Questi episodi si ripetono anche dopo l’annessione di Roma ai Savoia, con la differenza che lo spionaggio non è più diretto contro i sudditi ma contro i riformisti della Chiesa, che sovente vengono epurati. Alla fine dell’Ottocento, un pupillo della segreteria di Stato, Umberto Benigni, forma una specie di Cia, con un bilancio segreto, reclutando persino agenti delle grandi potenze europee. Cadrà in disgrazia attorno al 1910.
Alvarez sostiene che già nel primo conflitto mondiale lo spionaggio della Santa Sede non è più all’altezza delle sue tradizioni. La Germania riesce a infiltrarlo e a pagarlo affinché impedisca all’Italia di entrare in guerra (ma l’ingresso è solo ritardato). E un decennio più tardi, dopo il fiasco dei negoziati segreti di Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, sui cattolici nell’Urss, cade nella trappola del Cremlino. Manda due volte in Russia padre Michel d’Herbigny affinché contatti di nascosto i pochi preti ancora liberi e consacri quattro nuovi vescovi. Ma il prelato è ingenuo, viene pedinato dal Kgb, la polizia politica sovietica, che scheda i membri della gerarchia cattolica e li rinchiuderà nel gulag. L’esperienza farà di Pacelli un anticomunista irriducibile e un alleato dell’America.
La parte centrale del libro riguarda i maneggi di Hitler e Mussolini per influenzare la politica estera della Santa Sede. Alvarez riferisce che il duce ha numerose spie in Vaticano, da monsignor Enrico Pucci, il portavoce del Papa, a Giovanni Fazio, un ufficiale della Guardia pontificia. E che alla morte di Pio XI nel ’39, il Führer punta sulla elezione di due cardinali filofascisti, Schuster di Milano e Dalla Costa di Firenze (il suo terzo uomo sarebbe il cardinale di Torino, Fossati, un errore madornale, perché Fossati è antifascista). Ma i due dittatori non hanno il minimo successo. Negli ultimi capitoli, lo storico conferma il ruolo di sostegno del Vaticano agli Usa dal ’40 al ’45. Aggiunge che i tedeschi ne sono al corrente e tentano di inserire delle loro talpe nella Santa Sede. Ma i tentativi vengono sventati. I vertici della Chiesa, dal cardinale Tardini al cardinale Tisserant, i più influenti di tutti, sono schierati. Se c’è qualcosa d’importante, viene riferita all’Oss, il servizio segreto americano, e all’Mi6 quello inglese. C’è ancora molto da scoprire sulle spie in Vaticano, conclude David Alvarez. Ma il quadro alla liberazione di Roma è chiaro: la Santa Sede vi ha dato un forte contributo.



Ennio Caretto


Corriere della Sera 8-8-2003