(CorSera) L’appello di Pacelli in Vaticano: c’è un comunista da aiutare

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L’appello di Pacelli in Vaticano: c’è un comunista da aiutare



Il 1° ottobre 1927, l’allora nunzio Eugenio Pacelli in Germania scrive al segretario di Stato Cardinale Gasparri: «Eminenza Reverendissima, il Signor Bratman-Brodowski, incaricato d’Affari di Russia in Berlino mi ha rimesso il qui accluso documento concernente due comunisti italiani, Gramsci e Terracini… con preghiera che Essa voglia adoperarsi per la liberazione dei menzionati prigionieri, aggiungendo che il governo sovietico sarebbe disposto a rilasciare in contraccambio due sacerdoti cattolici incarcerati in Russia, a scelta della Santa Sede medesima».










Il cardinale Gasparri incarica di occuparsi della faccenda il noto gesuita padre Tacchi Venturi, tramite ufficioso, eppure del tutto autorevole, tra il Duce e la Santa Sede. E’ significativo già il fatto che l’incarico sia stato affidato a lui, protagonista delle più importanti mediazioni del Vaticano con il regime. Il 20 ottobre Tacchi Venturi riassume l’esito della sua missione al cardinale Gasparri, riportando la risposta del sottosegretario all’interno, il conte Suardo: «Trattandosi di imputati tuttora sottoposti al giudizio del Tribunale speciale manca allo stato attuale delle cose la possibilità giuridica di un atto di clemenza» cosa, prosegue la lettera, che si potrebbe ottenere solo dopo la sentenza di condanna. «Posso peraltro assicurare che… è escluso possa essere applicata, nei riguardi di Terracini e di Gramsci la pena di morte. Comunque, non appena sarà esaurito il processo tuttora in corso… non si mancherà, per riguardo all’alto interessamento di cui V.S. Rev.ma si è fatto interprete… di esaminare con ogni benevolenza la possibilità di proporre un atto di clemenza a favore dei su nominati…».
In conclusione, dunque una risposta più che interlocutoria e decisamente rassicurante. Ma, allora, se la Santa Sede si era impegnata ai massimi livelli e il regime non dimostrava un atteggiamento negativo chi e cosa aveva bloccato la trattativa per la liberazione di Gramsci? Si insinuava il sospetto sulle possibili responsabilità di Togliatti.
Su questo esplose una furiosa polemica negli Anni ’80 quando furono pubblicati i documenti del ’27 che abbiamo citati. Un carteggio che non è stato scoperto ora negli Archivi segreti vaticani ma che fu pubblicato il 30 ottobre del 1988 sul giornale
Il Tempo da Giulio Andreotti, con una garbata e acuta presentazione, nella quale dedicava questa «scoperta» allo storico Paolo Spriano, da poco scomparso che aveva sollecitato la ricerca e che, scriveva Andreotti, «non ha potuto gioirne». Un richiamo che trovo di particolare sensibilità umana, sensibilità che, per usare un eufemismo è così spesso mancata negli scontri che hanno lacerato il mondo della sinistra da quel momento in poi.
Al di là dell’interesse storico di questa documentazione vaticana, la polemica che divampò allora tra intellettuali socialisti e comunisti sul ruolo di Togliatti era la ennesima testimonianza di come sull’affare Gramsci si giocassero e si giochino (ora, ovviamente, con ben minore coinvolgimento politico) polemiche di natura più generale. E come l’uso degli archivi e dei documenti sia ormai entrato in un vortice ingovernabile, che ne snatura inesorabilmente un uso corretto, scientificamente attendibile. Il rischio di strumentalità, nel caso di Gramsci suona particolarmente odioso. Una sorta di accanimento su una vicenda, umana oltre che politica; di una tragicità come poche nel Novecento. Segnata da una solitudine assoluta e dalla ossessione che l’accompagnava.
Del resto il ruolo svolto dalle donne di Gramsci sta ormai troppo stretto nello stereotipo storiografico proposto per decenni, quello dei tre ruoli complementari: Eugenia, la politica lucida, Tatiana, l’amica-sorella e Giulia la moglie, romantica e pazza. Tre pezzi di femminile che solo insieme fanno un intero, tutte un po’ mogli, e tutte un po’ madri dei suoi figli (ricordate le fotografie spedite in carcere firmate «mamme»; così come anche nella lettera pubblicata ieri le sorelle si definiscono come un tutt’uno). La ricerca storica più recente ne ha ricostruito le storie più distinte tra loro e ben diverse da quegli stereotipi. Pensiamo alla moglie Julia e al suo ruolo di informatrice, tutt’altro che ingenua, una figura da sottrarre all’agiografia più scontata.
E infine da una tale sequenza di dolori femminili, affannati dietro alla Grande Storia si staglia comunque la angosciante, totale solitudine privata e pubblica di Antonio Gramsci.

Emma Fattorini

Corriere della Sera 18-7-2003