Corriere della Sera 10-6-2003 Costituzione europea |
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA
Ammettere la sopraggiunta radicale ambiguità del progresso vuol dire accettare il fatto che ormai, in Occidente, l’Illuminismo è finito. È finito non solo in quanto promessa di emancipazione totale dell’uomo o in quanto possibile orizzonte dell’intera umanità (cinesi o islamici illuministi ci appaiono oggi alquanto improbabili), ma è finito altresì l’Illuminismo come effettivo fronte di battaglia dentro di noi e dentro le nostre società tra Ragione e Superstizione, tra Libertà e Asservimento. Di conseguenza ha perso senso anche l’obbligatorio tabù antireligioso e in specie anticattolico che era un aspetto centrale dell’Illuminismo progressista ma che, sono convinto, è il vero motivo dell’inspiegabile silenzio con cui la cultura di quell’orientamento ha oggi accolto il famoso preambolo.
La quale cultura non si avvede, tra l’altro, che l’Illuminismo è finito anche perché dovunque poteva, e fino al limite che era giusto e possibile, esso ha in realtà ormai vinto. Ha riportato grandi vittorie proprio sul suo avversario più aspro: sul Cattolicesimo, obbligato da tempo ad accettare la libertà di coscienza, i diritti dell’uomo, la piena laicità delle istituzioni secolari. Cattolicesimo che forse proprio per questo si mostra consapevole – come indicano le richieste di perdono da parte del Papa – della necessità di aprire se stesso ai tanti ripensamenti che i tempi chiedono, condizione indispensabile, questa, per riuscire ad ascoltare anche la voce di nuove profezie.
Come risponde a tutto ciò la cultura laico-progressista italiana (cultura politica ma non solo)? L’ho detto: con la paura di rompere il suo piccolo tabù illuministico-antireligioso e assumendo le vesti di un distratto, svagato osservatore di fronte alle pur clamorose falsificazioni storiche dei signori della Convenzione europea. La cultura laico-progressista risponde mostrandosi apparentemente indifferente di fronte ai grandi problemi del nostro passato e della nostra identità , di ciò che siamo e che, è augurabile, vogliamo continuare a essere; dando quasi a credere che di passato, alla fin fine, gliene interessa davvero soltanto uno: il suo e basta.
Ernesto Galli della Loggia