L’EPOPEA DEI MISSIONARI |
di LUCETTA SCARAFFIA
Il patrimonio di fiducia di cui i missionari godono nel Terzo Mondo non si fonda però su posizioni ideologiche, bensì sulla presa di distanza più significativa fra la Chiesa e la società occidentale nel Novecento, cioè quella relativa al controllo delle nascite: l’enciclica papale Humanae Vitae (1968), tanto criticata in Occidente perché proibisce ai cattolici l’uso dei contraccettivi artificiali, è stata salutata con favore nei Paesi del Terzo Mondo, che conoscono le sterilizzazioni forzate e pressioni costanti ad adottare un comportamento lontano dai loro valori.
Oggi le diocesi e le circoscrizioni dipendenti dall’antica Propaganda Fide costituiscono il 40 per cento della Chiesa cattolica, con più di 85 mila sacerdoti, 450 mila suore, un milione e 650 mila catechisti, mentre in 390 seminari studiano 150 mila giovani. Si aggiungono 42 mila scuole, 1.600 ospedali, 6.000 dispensari, 780 lebbrosari e 12 mila opere caritative e sociali, destinate soprattutto a non cattolici e non cristiani. Un solo esempio: i cattolici in India sono il 6,9 per cento della popolazione, mentre le loro opere caritative rappresentano il 27 per cento di quelle esistenti nel Paese.
Il mondo missionario cattolico – in massima parte composto da donne, una novità senza precedenti – è però diviso sulle grandi questioni mondiali fra una minoranza radicale, vicina ai pacifisti (come nel caso del comboniano Alex Zanotelli, ex direttore di Nigrizia , autore di bestseller), corteggiatissima dai media e per questo forse sopravvalutata per numero e importanza, e una maggioranza meno impegnata ideologicamente, ma alla ricerca di un modo di colloquiare con le altre religioni senza perdere la propria identità.
Appare però evidente che lo spostamento dei conflitti mondiali sull’identità religiosa riconsegna ai missionari un ruolo centrale. Il loro contributo è infatti indispensabile per superare la difficile situazione internazionale. Come scrive Piero Gheddo, uno dei principali intellettuali missionari, «la massima sfida fra la Chiesa e l’Occidente è proprio la convivenza pacifica con l’Islam che sta diventando la prima religione dell’umanità, ma non ha autorità a livello mondiale, non ha direttive né linee comuni, non si riesce a capire in base a quali rivolgimenti interni o esterni potrebbe integrarsi nel mondo moderno». I missionari vivono alle frontiere del mondo islamico – dove in Africa il proselitismo musulmano sta coinvolgendo Paesi di antica tradizione cristiana, come l’Etiopia – o addirittura al suo interno, in Paesi arabi e in Indonesia. Lì convivono e si confrontano, subiscono soprusi o raccolgono timidi successi. Lì provano cosa sia la realizzazione dei diritti umani, che tanti Paesi si rifiutano di accettare in quanto estranei alle loro tradizioni. Quando infatti il rispetto dell’essere umano si realizza con esempi concreti è compreso, e quindi accettato, più facilmente.
Oggi i missionari sono fra i migliori conoscitori del mondo musulmano e sanno gettare squarci illuminanti sulle differenze, come fa in Indonesia uno di loro: «In Occidente abbiamo un diverso concetto di tolleranza. Per noi è il rispetto dell’altro e delle sue idee (…) per i musulmani la tolleranza è questo: tu sei nell’errore, io sono tollerante quindi non ti uccido, però non posso permettere all’errore di diffondersi». E questo fa pensare che una via praticabile per la convivenza mondiale non sia la secolarizzazione, bensì una conoscenza, critica e consapevole, tra identità che riconoscono le loro radici religiose differenti.
2 – Fine
(la prima puntata è uscita
sul Corriere del 29 giugno)
CorSera 27/7/2004